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GESU’: RIVOLUZIONARIO ARMATO? UNA FAVOLA!

Ultimo Aggiornamento: 05/11/2011 16:45
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Venaria Reale, 28 giugno 2003

“A questo, infatti, siete stati chiamati, poiché Cristo soffrì per voi, lasciandovi un esempio perché seguiate le sue orme; egli non commise peccato, né fu trovato inganno nella sua bocca; insultato, non restituiva l’insulto, soffrendo, non minacciava ma si affidava a colui che giudica rettamente”.
(I Pietro 2:21-23)

Mi chiamo Adriano Baston. Sono un ex testimone di Geova. Dopo più di 40 anni di appartenenza al gruppo mi sono dissociato dallo stesso in seguito ad un confronto con la letteratura cristiana dei primi secoli. E’ stato un confronto sofferto da una crisi durata alcuni anni per scoprire alla fine che il cristianesimo che seguivo non era quello autentico, ma quello settario privo di fondamento. Quello che segue è una breve critica di un credente al libro “L’altro Gesù” di A. S..
Questo scritto non ha lo scopo di giudicare il suo autore e le sue convinzioni filosofiche, Dio ci ha creati liberi, liberi anche di negarlo, ciò che a Lui non è concesso. A Gesù Cristo il verdetto!
Se nello scritto si trovano espressioni un po’ forti, esse sono motivate dall’amore per le Scritture e il loro Protagonista, Maestro e Salvatore del mondo, anche se A. non si trova d’accordo.


Signor A., o don S.?
La domanda è scaturita alla prima lettura del libro: “L’altro Gesù” - che mi è stato dato dall’amico G. D. A. - una specie di girone dantesco, un Cristo ridotto in poltiglia e una demonizzazione del sacro. Che cosa è accaduto per aver determinato nella sua vita un cambiamento così profondo nei confronti di Gesù?
Mi sono domandato subito come A. possa conciliare le sue tesi e le sue convinzioni su Gesù a capo di un movimento rivoluzionario armato, con la celebrazione del mistero dell’Eucarestia che amministra tutti i giorni da buon sacerdote agli ignari fedeli.
Non gli passa per la testa che sta ingannando se stesso e, ancor più grave, la fede di “questi miei piccoli” che si affidano a lui per ricevere il dono di Dio?
Non sarebbe da parte sua doveroso - dopo una sì lunga riflessione condotta nel suo libro - sbarazzarsi di tutto, specialmente della veste che porta, e trovare così il coraggio della sua scelta?
Che cosa è successo nella sua vita perché abbiano trovato posto nel suo cuore le cose che ha scritto?
Che cosa lo trattiene nell’essere ancora legato alla Chiesa se nutre questi pensieri?
Ha paura dell’isolamento? E’ assediato dal dolore dal quale non riesce a liberarsi?
Ha paura dell’ignoto dell’esistere?
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Lo trattiene la speranza che la Chiesa prima o poi riconoscerà le sue tesi, le sue convinzioni “storiche”, come verità da proporre al mondo? E quando la Chiesa riconoscerà “L’altro Gesù” il rivoluzionario armato peggiore di Barabba e di Giuda il Galileo, perché “odiatore dell’umanità”, che dovrà fare? Rinnegare, convinta di seguire il Figlio di Dio, tutto quello che di bene il nome di Gesù ha compiuto in tutta la storia? Dovrà autodistruggersi? E il miliardo e più di cristiani a quale religione dovrà convertirsi, se il cristianesimo è il prodotto di una frode apostolica? Perché A. non ci propone una conversione?
La Chiesa, e questo lui lo sa meglio di me, non ignora affatto le cose che sono sottolineate nel suo libro e, mentre essa è andata avanti, lui si è fermato a Reimarus (1694 - 1768), che non era teologo, ma professore di lingue e ormai in gran parte superato dagli studi storici e scientifici condotti sia da parte protestante che da quella cattolica. A proposito di questo autore, il grande studioso Joachim Jeremias dice: “Evidentemente la rappresentazione fatta da Reimarus del Gesù storico era stolta e dilettantistica. Gesù non era un rivoluzionario politico. Le nostre fonti attestano in modo unanime e attendibile che egli si oppose aspramente alle tendenze zeloto-nazionalistiche del suo ambiente…”. Circa il tentativo di liberare Gesù dal dogma, afferma Jeremias: “La parola d’ordine è «tornare all’uomo Gesù di Nazaret».
“Dietro questa parola d’ordine nasce una pletora di Gesù, che oggi ci fanno sorridere. Queste immagini di Gesù sono svariatissime. I razionalisti descrivono Gesù come un moralista, gli idealisti come quint’essenza dell’umanità, gli esteti lo lodano come l’artista geniale della parola, i socialisti come l’amico dei poveri e riformatore sociale, e gli innumeri pseudoscienziati ne fanno una figura da romanzo. Queste vite di Gesù sono tutte rappresentazioni di comodo: il risultato è che ogni epoca, ogni teologia, ogni autore ritrova nella personalità di Gesù il proprio ideale. Dove sta l’errore? Senza che ci si avveda, si pongono psicologia e fantasia al posto del dogma. Infatti tutte queste diverse vite di Gesù hanno in comune che proprio con l’aiuto di questi due mezzi, cioè della psicologia e della fantasia, disegnano la personalità di Gesù. Essa non solo viene dedotta dalle fonti, ma è prevalentemente frutto di costruzione psicologica deliberatamente creata” (Gesù e il suo annuncio, Paideia 1993, pp. 15-16).
Molti dei problemi sollevati da A., specialmente su Gesù e sugli esseni, sono stati chiariti e risolti. Si riconosce che c’è ancora molta strada da fare nella ricerca scientifica e alcuni problemi storici non saranno mai risolti, proprio per la mancanza di documentazione, lasciando dei vuoti significativi per un’accurata analisi del tempo di Gesù.

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Mi è stato chiesto dall’amico G. che, se avessi trovato interessante il suo libro, avrei potuto chiederne altre copie allo scopo di diffonderne la conoscenza; ma dico francamente - e per questo A. non me ne abbia - non l’ho trovato affatto edificante per la fede cristiana, né sul piano storico, né su quello di una seria ricerca scientifica. Non parliamo poi degli accostamenti storici e fra le Scritture che, abilmente, per creare le sue idee e i suoi miti, egli ha legato insieme. Da testimone di Geova ho inconsapevolmente spacciato menzogne come verità per più di 40 anni e non sono più disposto a farlo, tanto meno con il suo scritto. Almeno i testimoni di Geova credono, a differenza di A., in un Gesù Figlio di Dio terreno che predicava l’amore e un Regno di pace terrestre.
Gran parte dei problemi sollevati dal suo libro sono stati risolti dalla critica letteraria già da parecchio tempo e in seguito calerà il sipario su tanti altri ancora. E’ comprensibile anche che la “Formgeschichte” (storia delle forme) e il “Sitz im Leben” (ambiente vitale), come metodi di risoluzione dei problemi storici ed esegetici, non siano infallibili e richiedano un maggior impegno, altre tecniche e metodologie nella ricerca della verità fin dove è possibile. Comunque le posizioni radicali di Reimarus e di altri come lui sono state da tempo superate dalla critica moderna. Una strada da percorrere nei nuovi metodi di ricerca ci è fornita dallo studio della papirologia. C.P.Thiede, papirologo, confuta gran parte dello scritto di A., perché riporta gli scritti dei vangeli indietro almeno a prima del 66 d.C. Lo studioso cita Marco 9,1 e Matteo 10, 23 che non avrebbero avuto senso per il “falsificatore” cristiano se lo scritto fosse stato steso nel 70 d.C., periodo del “fallimento” del gruppo “armato” di Gesù. Parlando delle sopracitate parole di Gesù, Thiede sostiene: “Vero o falso, profezia adempiuta o malinteso? Va ripetuto che un detto simile non sarebbe stato tramandato se il Vangelo fosse stato scritto in un’epoca in cui esso sarebbe apparso come profezia sbagliata. E va anche sottolineato che il suo significato è molto meno evidente di quanto la gente pensi. Preso alla lettera, il testo greco non riferisce, come invece traduce la Bibbia CEI, al <<percorrere le città>>. Il testo è dunque molto ambiguo e non contiene perciò un’allusione certa alla “Seconda Venuta”, ma allude probabilmente a un evento che anche Paolo attendeva con forza, senza aspettarsi tuttavia che si verificasse subito o in un futuro remoto: la conversione di tutto Israele (Rom. 11, 26). I primi cristiani erano espulsi e perseguitati e dal momento che dovevano fuggire di città in città - come si era dimostrata amaramente realistica questa profezia! - Gesù si aspettava che essi utilizzassero questa opportunità per predicare ed evangelizzare. Questo fu debitamente fatto e narrato negli Atti degli Apostoli.
Proprio questo passaggio - Matteo 10, 23 - rappresenta una prova inconfutabile per una datazione antica di questo Vangelo”. Lo stesso si può dire per Marco 9, 1: “Una logica stringente suggerisce che questo detto sarebbe stato omesso in seguito, se ci fosse stato davvero un riferimento alla “Seconda Venuta” di Gesù e se, per conseguenza, Gesù fosse stato in errore. Ma questo detto non si riferisce affatto alla “Seconda Venuta” di Gesù. Esso si riferisce, come la struttura del Vangelo mostra chiaramente, alla Trasfigurazione narrata nei versetti seguenti, <<sei giorni dopo>>. Qui Gesù viene rivelato come l’unico figlio di Dio, investito della gloria e del potere di Dio... <<Matteo avrebbe difficilmente scritto il versetto 23 se la fuga a Pella avesse già avuto luogo quando compose la sua opera. Il suo Vangelo fu composto prima del 66 d.C. (Th.Zahn)>>”.


[Modificato da Adriano Baston 05/11/2011 16:16]
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“Anche se i primi cristiani aspettavano la “Seconda Venuta” come oggi la aspettano i loro discendenti, nessuna autorità della Chiesa primitiva la giudicava imminente. Né questo senso di attesa sarebbe stato considerato una buona ragione per non registrare i detti di Gesù e dar loro la struttura di Vangeli. Lo stesso Paolo, le cui lettere più antiche precedono cronologicamente, secondo la maggioranza degli studiosi, i Vangeli, rende abbastanza chiaro questo fatto, prima di tutto con le lettere più antiche; nella Prima Lettera ai Tessalonicesi, che è in assoluto la più antica di tutte, scrive quello che dovrebbe essere considerato come un avvertimento contro le speculazioni: <<Riguardo ai tempi ed ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore… Poiché Dio non ci ha destinati alla sua collera, ma all’acquisto della salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con Lui.>> (1 Tess. 5, 1-2; 9-10)”. Inoltre questo studioso afferma sulla divinità di Cristo: “Non vi sono prove che la <<deificazione>> di Gesù rappresenti uno sviluppo posteriore. La fede nella sua divinità fu spontanea e inequivocabile. Nella prima lettera ai Corinti, datata al 55 d. C., Paolo dice più o meno la stesse cose basate su un insegnamento più antico che egli stesso ha ricevuto e autenticato. <<Per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo con lui, e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi siamo per Lui>> (1° Cor 8,6)” (P.Thiede, Matthew D’Ancona, Testimone oculare di Gesù, ed.Piemme, Casale Monferrato 1996, pag. 26, 28, 29).
La storia antica che ci è pervenuta non è completa, è solcata da profondi vuoti storici che gli studiosi in materia cercano di colmare, con interpretazioni e argomenti, allo scopo di dare alla storia continuità e coerenza e non è tanto facile; purtroppo, molto è andato perduto e molte verità non sono più recuperabili. Questo però non significa che non si possa ottenere un quadro, almeno parziale, della vita di Gesù. E’ stato fatto e continua ad esserlo per arricchirlo di nuovi elementi che l’indagine storica e teologica ci fornisce. Un’indagine che gli studiosi conducono con rigorosa professionalità ed etica.
Anche la traduzione dei testi e la loro interpretazione non si presenta facile, alcuni punti sono oscuri e si tenta, ove è possibile, di spiegarli. Sulla traduzione e sull’interpretazione dei testi un’autorità in materia afferma che quando si traduce un testo in un “linguaggio altro” non è possibile la “fedeltà assoluta”e di conseguenza si arriva alla “falsificazione” oppure alla “rimozione” per i passi più difficili ed oscuri. Ma “falsificazione” e “rimozione” certamente non da intendere in senso letterale, non che avvenga allo scopo di falsificare e manomettere lo scritto dando così un falso messaggio dell’autore. Si intende invece che leggere nella lingua madre Shakespeare sia una cosa e leggerlo in italiano sia un’altra, cioè si perde qualcosa del suo valore poetico e anche di contenuto: <<Il testo letterario, che affrontiamo con i nostri personali strumenti di analisi, non ci si presenta mai come una superficie liscia, cera vergine, sulla quale noi andiamo ad imprimere per la prima volta la nostra impronta. Il testo letterario si colloca da sé in uno spazio tridimensionale, in una dimensione stereoscopica. Infatti, esso è come un campo arato da innumerevoli altre precedenti interpretazioni: in lui noi leggiamo sempre non solo ciò che è, ma anche ciò che altri hanno voluto che fosse>> (Letteratura Italiana, Einaudi editore, Vol.IV, l’Interpretazione, 1985 pagg. 9-11).


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Quanto detto, anche con tutti i limiti della traduzione, non vuol dire che non si stia leggendo la verità del testo. Il testo biblico, specialmente, è di continuo sottoposto all’esame critico letterario allo scopo di renderlo sempre meglio illuminato a beneficio della verità e della fede. I Vangeli nella loro diversità hanno riportato quello che i loro protagonisti avevano osservato e capito dell’opera e delle parole di Gesù. Sono come quattro quadri dello stesso soggetto dipinti da quattro artisti diversi. Certo non tutti i loghia in bocca a Gesù sono autentici e gli studiosi si rendono conto che sono interpretazioni degli autori, ma questo non significa che non si abbia il messaggio autentico di Gesù, sia del Gesù storico che del Gesù della fede che poi in ultima analisi è il medesimo Gesù. Storicamente e scientificamente, ci si rende conto che la Parola incarnata è un atto di fede, che, per il cristiano, anche la morte e resurrezione di Gesù sono un fatto storico. E, lungi da fare da maestro ad A., queste cose lui le conosce meglio di me e quel che dispiace è che lui ha finto di non conoscerle, presentando un Cristo orrendo, non quello vero, ma un “Altro Gesù”, deformato spiritualmente e moralmente, attingendo quali verità dagli apocrifi del Nuovo Testamento e altre letture allo scopo di stabilire se gli apostoli abbiano detto il giusto o no. Quindi il criterio per stabilire la verità dipenderebbe dalla letteratura apocrifa e dalla critica del razionalismo, quello più estremo!
Sulla storiografia proto-cristiana, dove sono inclusi anche gli scritti apocrifi dai quali lui ha abbondantemente attinto e per i quali simpatizza, lo studioso Martin Hengel spiega così il problema: “Il libero, sciolto <<piacere di fabulare>>, contrastante con l’autentica storiografia, si trova invece nel romanzo - oppure nell’ambito del cristianesimo dei primi tempi - nei romanzeschi Atti degli Apostoli (apocrifi). Ma proprio il romanzo veniva considerato nel mondo antico, diversamente da oggi, un genere letterario di rango inferiore, una forma di letteratura amena per persone di modesta cultura. Un autore conscio del proprio valore non si impegnava in questo genere letterario. Si possono fare svariate ipotesi sul <<genere letterario>> dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli di Luca. Il loro intento non fu sicuramente quello di essere dei romanzi religiosi. Essi aspiravano (certo in ambito antico e non secondo criteri moderni) a fornire non finzioni letterarie, ma resoconti di avvenimenti reali. Non si intende presentare storie edificanti rinunciando alla verità. Che il problema della pia finzione fosse ben noto e almeno in parte criticamente voluto ci risulta da Tertulliano, il quale attesta (bapt. 17) che il presbitero, che nella seconda metà del sec. II d.C. in Asia Minore <<scrisse gli atti di Paolo e di Tecla>> come se fosse in grado di accrescere di suo la gloria di Paolo, fu destituito dal suo incarico dopo che ne era stata provata la colpevolezza ed egli aveva ammesso di aver fatto ciò per amore di Paolo”. Questo la dice lunga sugli apocrifi! (La Storiografia protocristiana, Paideia; Brescia 1985, pagg. 28-29).


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E’ riconosciuto che i Vangeli e altri scritti apocrifi del N.T. sono stati scritti molto dopo i Vangeli canonici; essi contengono sì delle verità, ma sono verità immerse in un mare di contraddizioni e leggende. Si possono dire interessanti e di valore letterario per capire l’ambiente dove è sorto il cristianesimo e si è sviluppato. Questo il motivo per il quale la Chiesa spesso li cita anche per trovare coerenza con gli scritti canonici.
Gran parte di quello che dice A. viene da molto lontano, dai tempi di Reimarus il quale con miti e leggende costruì una vita di Gesù rappresentandolo come un capo di un gruppo rivoluzionario contro Roma, per liberare la Palestina dalla schiavitù della potenza dominante. Il discorso poi viene seguito con accenti sempre meno radicali attraverso G.L. Bauer, D.F.Strauss, A.Schweitzer, per arrivare poi al grande studioso R.Bultmann con la sua “demitizzazione” del Vangelo sfrondandolo da tutti i miti e le leggende che, secondo lui, gli apostoli avevano sovrapposto al vero annuncio che era quello della salvezza dell’uomo. L’argomento della “demitizzazione” sarà in seguito contrastato dagli stessi discepoli di Bultmann che, a differenza del loro maestro, affermano con forza che non si può dividere il Cristo della fede da quello storico, sia i suoi discepoli che i loro successori avevano fede in colui che aveva predicato il regno di Dio con segni e prodigi. (E.Kæsemann; Bornkamm e altri). R.Bultmann, pur parlando di “demitizzazione” in alcuni suoi scritti, nella sua opera Teologia del Nuovo Testamento, non mi spiega nulla di un Gesù “rivoluzionario armato” istigatore della rivolta contro l’impero di Roma per stabilire il regno di Dio in terra: “Il mio regno non è di questo mondo”, dice Gesù.
Nella loro composizione siamo consci che ci siano delle divergenze, ma queste, a mio modesto parere, non inficiano le verità fondamentali ivi riportate. Sarebbero stati più credibili i vangeli se fossero stati tutti uguali, uno la copia dell’altro? Non sarebbe stato sufficiente, invece di quattro Vangeli, averne uno solo? Aveva allora ragione Marcione ad accettare solo le lettere di Paolo e solo il Vangelo di Luca, spurgandolo di ogni forma di ebraismo, aveva ragione Taziano con il suo “Diatessaron”? Non viene il dubbio ad A. che cercare di armonizzare e ricucire insieme, come abilmente ha fatto, scritture bibliche, citazioni storiche e scritti apocrifi fuori contesto, significhi creare un Gesù a propria immagine letteraria, somigliante, più che ad un predicatore di bene, ad un rivoluzionario nichilista della natura di Petr Vechovenskij, uno dei maggiori personaggi chiave del romanzo “I demoni” di Dostoevskij? Il suo scritto mi ha dato la sensazione che, invece di essere una seria ricerca storica e critica su Gesù, sia una specie di “Catechismo” del rivoluzionario Necaev che ispirò Dostoevskij, nella descrizione di uno dei suoi personaggi del romanzo su menzionato, che tra l’altro dice: ”Il rivoluzionario è un uomo perduto. Egli non ha né interessi personali né fatti privati, né sentimenti, né affetto, né proprietà e non deve neppure avere un nome. Tutto in lui deve essere assorbito da un unico interesse esclusivo, da un unico pensiero, da un’unica passione: la rivoluzione… Tutti i sentimenti teneri, che indeboliscono, come quelli di parentela, amicizia, amore, gratitudine e perfino dell’onore stesso, devono essere soffocati dall’unica fredda passione della causa rivoluzionaria…”. E come sfondo del romanzo sta l’immagine del branco di porci investito dai demoni secondo il Vangelo di Luca 8, 32-37 che descrive vividamente l’abisso nel quale la follia ideologica dei personaggi dostoevskijani li ha precipitati, ma per la fine dei loro tormenti il lago è ancora lontano.


[Modificato da Adriano Baston 05/11/2011 16:21]
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A proposito dei demoni che Gesù invia nel branco di porci “a danno del proprietario”, come già sottolineato da altri “credenti” come A., gli segnalo che il maiale in Israele era considerato un animale impuro, come lo stesso A. afferma a pag. 178 e179 del suo libro. Quindi il proprietario dei porci non era rispettoso della legge che vietava di mangiarne la carne, ma commerciava in modo fraudolento. La legge di Mosè doveva continuare il suo corso fino alla morte di Gesù, morte con la quale egli abrogò in modo definitivo l’obbligo da parte del cristiano di osservare la legge, tanto è vero che a Pietro, che nella visione ricevuta al comando di mangiare ciò che vide in visione rispose: “<<No davvero, Signore, perché io non ho mai mangiato nulla di profano e di immondo>>”, ma il vaticino celeste è chiaro “<<ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo più profano>>” (Atti 10, 9-33). Anche da una lettura superficiale dei Vangeli, più volte Gesù aveva detto loro del cambiamento che Lui apportava rispetto alla Legge dicendo appunto “ma io vi dico”, cosa che lì per lì gli apostoli non compresero bene.
I Vangeli nella loro diversità hanno riportato quello che i loro protagonisti avevano visto e udito e anche capito di Gesù. Non sono un trattato storico, nel senso che si intende per “storia” nel nostro tempo, e questo A. lo sa meglio di me.
N. Bachtin sulla differenza tra autobiografia e biografia, come la intendiamo oggi rispetto all’antico mondo greco-romano, prima e dopo Gesù, afferma che aveva un diverso significato; egli spiega: “Queste forme classiche di autobiografia e biografia non erano opere di carattere letterario-libresco, isolate dal concreto evento politico-sociale della loro rumorosa pubblicazione. Anzi, esse erano interamente determinate da questo evento, cioè erano atti verbali politico-civili di glorificazione pubblica o di auto-rendiconto pubblico di persone reali… Proprio all’interno di questo crono-topo reale, nel quale si scopre (si rende pubblica) la propria e l’altrui vita, si sfaccetta l’immagine dell’uomo e della sua vita e se ne da una determinata illuminazione. Questo crono-topo reale è la piazza (agorà). Nella piazza per la prima volta si è scoperta ed ha preso forma l’autocoscienza autobiografica (e biografica) dell’uomo e della sua vita sul terreno dell’autocritica classica…Ogni realtà per il greco dell’epoca classica era visiva e sonora. Per principio egli non conosceva una realtà invisibile e muta. Ciò riguardava tutta la realtà e, naturalmente, prima di tutto quella umana.Una vita interiore muta, un dolore muto, un pensiero muto erano del tutto estranei al greco. Tutto ciò - cioè tutta la sua vita interiore - poteva esistere solo manifestandosi all’esterno in forma sonora e visiva.” E la letteratura di quei secoli, presente ancora al tempo di S. Agostino, non sfugge a questa realtà. (M. Bachtin, Estetica e romanzo, Einaudi, Torino 1997, pagg. 277-298).
Su questi argomenti e su tanti altri di questo genere gli studiosi sono consapevoli a quali difficoltà si va incontro quando si affrontano fatti complessi molto lontani dal nostro tempo e dalle cognizioni scientifiche e storiche rispetto al nostro tempo letterario. Tra l’altro, da tener in considerazione, è il fatto che, mentre noi abbondiamo di letteratura di fonti storiche tracciate anche nei particolari, nel mondo antico si abbonda invece di scarse informazioni storiche e di molti vuoti storici. Mi chiedo allora come fa A. ad essere così sicuro, per come scrive, da proporre ai cristiani un Cristo come Barabba, sulla base di un presunto profilo storico esistente? Sono proposte oneste intellettualmente quello di servirsi di citazioni che nel loro contesto hanno un significato diverso da quello con le quali A. ha dipinto Gesù? Se i Vangeli e il corpo paolino sono il frutto dei manipolatori senza scrupoli, perché ci chiamiamo ancora cristiani? Si vuole giustificare la rivoluzione armata in nome di Gesù?


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Se Gesù Cristo dal volto divino non è mai esistito, ma è solo un rivoluzionario armato, chi farà giustizia dell’innocente che, in nome del Cristo da lui costruito, viene ucciso? E’ per un rivoluzionario armato che i primi cristiani affrontarono le arene senza opporre resistenza? O sono morti perché il cielo si è unito alla terra? Se Dio non è venuto in terra nelle spoglie di Gesù Cristo, ma è soltanto tutta una falsa costruzione degli apostoli o degli apologisti o dei padri greci, allora Dio non esiste e, se Dio non esiste, “tutto è permesso” (Dostoevskij) anche il libro che lui vuole divulgare. Se “Dio è morto” cantiamo assieme all’“uomo folle” il “Requiem aeternam Deo”, e si gridi pure: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?” (Nietzsche). Per un mondo senza Dio dobbiamo affidarci soltanto all’uomo; ucciso il “padre” l’uomo rimane orfano ed Ivan diventa nostro fratello. E non posso fare a meno di citare, in questa solitudine e abbandono di un mondo senza Cristo divino, come spiega il libro di A., le parole di Versilov al giovane adolescente all’alba dell’ateismo moderno: “Immagino - cominciò con un sorriso pensieroso, che la battaglia fosse finita e la lotta quietata. Dopo le maledizioni, dopo il fango e dopo i fischi pareva che fosse subentrata la quiete e gli uomini fossero rimasti soli, come desideravano; pareva che la grande idea di una volta li avesse abbandonati; la grande sorgente di forza, che finora li aveva nutriti e riscaldati, stesse per tramontare, come quel sole maestoso del quadro di Claude Lorrain, quasi fosse l’ultimo giorno dell’umanità. Ed ecco che a un tratto gli uomini comprendono d’essere rimasti completamente soli e sentono di essere orfani derelitti. Caro ragazzo mio, non ho mai potuto immaginare gli uomini ingrati e istupiditi. Gli uomini, rimasti orfani, si sarebbero subito stretti l’uno all’altro, vicini vicini e con più amore; si sarebbero presi per mano, avendo capito ora che sono tutto l’uno per l’altro! Sarebbe sparita la grande idea dell’immortalità e si sarebbe dovuto sostituirla: e tutta l’esuberanza immensa dell’amore di prima per Dio, che era immortalità, si versa sulla natura, sull’universo, sugli uomini, sul più piccolo filo d’erba. I loro cuori si sarebbero accesi d’un amore sconfinato per la terra e la vita, d’un amore sempre più grande, a misura che riconoscessero la finalità e il carattere passeggero di questa vita; un amore tutto speciale, diverso dall’amore di prima…” (Dostoevskij, L’adolescente, Einaudi 1957, pagg. 463-464). L’uomo in rivolta contro tutto, da quel tempo, specialmente dal 1700 e “tutto ciò che apparteneva a Dio sarà ormai reso a Cesare” (A. Camus, L’uomo in rivolta).

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Similmente in questa desolazione umana senza Dio, perché l’uomo si è sostituito a lui, una grande voce del razionalismo si alza con forza ad affermare il crepuscolo di Dio quasi con accenti di rancore; è la voce del poeta e scrittore Heinrich Heine: “Il nostro cuore è pieno di un fremito di pietà, perché è lo stesso vecchio Jehovah che si prepara alla morte. Noi l’abbiamo così ben conosciuto dalla sua culla in Egitto, dove fu allevato fra i vitelli e i divini coccodrilli, le cipolle, l’ibis e i gatti sacri… l’abbiamo visto dire addio a questi suoi compagni d’infanzia, agli obelischi, poi alle sfingi del Nilo, poi in Palestina diventare un piccolo dio-re presso un povero popolo di pastori… lo vedemmo più tardi entrare in contatto con la civiltà assiro-babilonese; rinunciò alle sue passioni troppo umane, si astenne dal vomitare collera e vendetta, per lo meno non tuonò più su ogni minima inezia…Lo vedemmo emigrare a Roma, la capitale, dove abiurò ogni specie di pregiudizio nazionale, e proclamò l’uguaglianza celeste di tutti i popoli; creò con queste belle frasi, un’opposizione al vecchio Giove, e intrigò tanto che arrivò al potere, e dall’alto del Campidoglio governò la città e il mondo: urbem et orbem…L’abbiamo visto purificarsi, spiritualizzarsi ancora di più, diventare paterno, misericordioso, benefattore del genere umano, filantropo… Niente ha potuto salvarlo! Non sentite la campanella? In ginocchio! Si portano i sacramenti a un Dio che muore.” (L’ateismo contemporaneo, S.E.I. Torino 1967, 1° vol. pag.464). Heine, dopo tante esperienze passate da una vita tormentata di negazioni e di dubbi, alla fine, qualche anno prima della morte, che pose termine alle sue sofferenze anche fisiche (a differenza di A., che si allontana da Dio), opera la “metanoia”, per usare un termine di Paolo, cioè la conversione. “<<Sì io sono ritornato a Dio, come il figliol prodigo, dopo aver custodito per lungo tempo i porci presso gli hegeliani>>, scrive Heine nella post-fazione a <<Romanzero>>. La nostalgia del cielo:<<Fu la miseria a ricondurmi indietro? Forse un motivo meno miserabile. La nostalgia del cielo mi assalì e mi spinse per foreste e burroni, al di là dei vertiginosi sentieri della dialettica>>. Heine conclude:<<Se ora si desidera un Dio in grado di recare aiuto – e questa è certamente la cosa principale – si deve accettare anche la sua personalità, la sua trascendenza e i suoi sacri attributi, la bontà infinita, l’onniscienza, la giustizia infinita, ecc. L’immortalità dell’anima, la nostra sopravvivenza dopo la morte, ci viene allora data, per così dire, in sovrappiù…>>.
<<Come si oppone la nostra anima all’idea della cessazione della nostra personalità, dell’annientamento eterno!>>…Ora però Heine ha bisogno di un Dio (in tutta l’ambivalenza di questa parola) contro il quale, come Giobbe i suoi lamenti, poter scagliare la propria disperazione, la propria ira: <<Fortunatamente ora ho di nuovo un Dio, così che nell’eccesso del dolore posso permettermi alcune bestemmie imprecanti; all’ateo non è concesso un tale ristoro>>”. (Hanz Küng, Vita eterna!, ed. CDE, A. Mondatori, Milano 1983, pagg.257-258).


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Il libro di A. fa parte di questo spirito di un mondo privo di Dio? Senza il Cristo dei Vangeli non esiste nessun punto di riferimento al credente per la sofferenza e tutte le ingiustizie di questo mondo, dove altrimenti andare a parare? Non accetto il suo Cristo, neppure il Dio che crea “gli uomini imperfetti” attribuendo a lui la responsabilità dei misfatti umani ed allora d’accordo con Ivan dico: “non accetto il suo mondo”. Pertanto faccia piazza pulita del suo Dio e del suo Cristo, anche del Vecchio Testamento, del Nuovo Testamento e di tutta quella letteratura cristiana che tanto aiutò gli esseri umani devoti a sopportare tanta sofferenza. Faccia anche piazza pulita di tutte le citazioni storiche per sostenere i suoi miti. Come si può credere che abbiano detto la verità? E che dire di Socrate, dei dialoghi di Platone, delle riflessioni filosofiche di Aristotele e degli altri grandi pensatori? Chi mette in dubbio se essi hanno detto o no la loro verità? Perché rifiutare ai Vangeli ciò che invece affermiamo per tutte le altre opere ritenute autentiche? E, poi, quali sono gli scritti storici di una vita di Gesù per contrapporla al Nuovo Testamento?
Non sono uno studioso e non ho certo la presunzione di rispondere a tutti i complessi problemi letterari da A. sollecitati. Lascio il compito a quelli preparati in materia, alla loro profondità di pensiero per spiegare con puntuale ricerca storica le risposte al suo libro che, come gran parte delle sue analisi, secondo il mio modesto parere, non collima con la seria ricerca scientifica: è pieno di fantasie e di convinzioni personali prive di fondamento.
Il suo è uno scritto che va ad alimentare tutta quella letteratura che ha la presunzione di spiegare che Gesù era un rivoluzionario armato o che facesse parte della comunità essena. Lo studioso H. Stegemann, direttore del centro studi del Qumran e autore di circa quaranta opere scientifiche, confuta queste dicerie: “Naturalmente, la letteratura amante del sensazionale, le trasmissioni televisive e innumerevoli agenzie di stampa, continuano tuttora a gabellare al pubblico fantasiose ipotesi come solide conoscenze, non tenendo minimamente conto di ciò che le scienze naturali e la paleografia hanno elaborato già da molto tempo come incontestabili dati di fatto.” Questo riguarda il fatto che alcuni critici vorrebbero far risalire gli scritti di Qumran nel periodo apostolico, argomento “definitivamente confutato” (H.Stegemann, Gli esseni, Qumran, Giovanni Battista e Gesù, ed. Deoniane, Bologna 1997, pag.19)
Il libro di A., per quanto io sappia, è un po’ la sintesi di quello che varie opere del genere hanno elaborato su teorie nello spirito nella critica alla Chiesa sospettata di aver nascosto la verità su Gesù in opposizione a quello tradizionale, un Cristo leader di un gruppo armato che si oppone alla potenza dominante per realizzare in terra il regno di Dio nella libertà e giustizia. Si tratta appunto, stando alle sue parole, di una banda armata di criminali “odiatori dell’umanità” (A. fa sue le parole di Tacito).
Ma per il fatto che Tacito si esprima in questi termini è perché, come spiega lo studioso Jean Danielou, in quella situazione storica si trovava in “conflitto fra le diverse idolatrie nazionali e il cattolicesimo universalista. In uno stato di cose ove l’ordine politico e l’ordine religioso erano strettamente legati come nell’Impero romano, le due questioni erano necessariamente connesse. Il cristiano, per il fatto stesso della sua rottura con gli idoli della città, si metteva fuori dalla città e dalla vita sociale del paese. Questa è la problematica nella quale dobbiamo situare la prospettiva di Origene. Essa è quella di tutto il Cristianesimo primitivo. Noi oggi dissociamo il problema politico dal problema religioso, ma questa è una conquista del cristianesimo” (Origene, Il genio del cristianesimo, ed. Arkeios, Roma 1991, pagg.280-281).


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Ora mi soffermerò brevemente su alcuni punti di fondo dell’ “altro Gesù” servendomi naturalmente di testi di studiosi che hanno analizzato a fondo il problema del Gesù storico e del Gesù della fede, studiosi ai quali spesso A. fa riferimento, ma di cui non cita né nomi, né opere.
A pagina 65 così afferma: “Gesù faceva parte degli esseni” e le prime comunità cristiane erano pure composte da esseni, uomini “violenti, sanguinari… alla scuola di Gesù. Lui li aveva plasmati e plagiati, essendo anch’egli, come abbiamo visto, un violento” (pag.146). L’autore continua a fare il sacerdote? In nome di chi, di un “violento”? Un “sanguinario”? Perché nel suo libro non si qualifica? Chi è Salvatore A.? Non sarebbe opportuno, per amore della verità, tracciare un breve profilo biografico?
Ora la risposta allo studioso H. Stegemann: “Tutte le analisi serie del materiale disponibile giungevano allora (al tempo della scoperta dei rotoli di Qumran e dei vari studi condotti su di essi) all’unanime conclusione che Gesù e il cristianesimo primitivo erano profondamente diversi dalla formazione del giudaismo antico (compresi gli esseni) che si potevano ricavare dai testi recentemente scoperti.” (opera cit. pag.21). Che Gesù non fosse un esseno ci viene fornito anche dalle parabole come quelle riportate in Mat 18:2-14; Lu. 15: 3-32; Mat. 8: 11,12; Lu. 13:28,29; Mat. 21:31; 21:23: “Se fosse necessario una prova per dimostrare che Gesù non era una esseno, basterebbe una qualunque di queste parabole o espressioni che contraddicono tutto ciò che gli esseni ritenevano santo” (Stegemann, op.cit. pag. 349).
Intanto c’è da precisare che gli esseni come gruppo , ad eccezione di qualcuno, non erano affatto violenti, erano piuttosto dei pii molto rispettati: “Gli esseni si mantenevano neutrali nelle questioni di realpolitik. Sebbene il maestro di giustizia fosse morto solo nel 110 a.C. nei testi di Qumran non si trova nessuna traccia di una particolare polemica contro Simeone o Giovanni Ircano I come sommi sacerdoti” (opera cit.pag.222).
Al di là del fatto che non tutto sappiamo sugli esseni: “Due cose si possono affermare con certezza: che “la loro principale attività era di natura puramente religiosa e che verso il 100 a.C. essi fondarono l’insediamento di Qumran per la preparazione dei rotoli in grande stile. …gli esseni non hanno fatto nulla per cambiare con la forza o in modo sovversivo la situazione politica del paese…Gli esseni hanno guardato impassibili a tutte queste figure di dominatori, così come impassibili hanno guardato alla dominazione straniera da parte dei romani…Giuseppe Flavio racconta che durante la rivolta erano soprattutto gli esseni ad accettare in modo ammirevole, senza rinunciare alla loro fede, ma anche senza opporre resistenza, le torture e la morte loro inflitte dai romani (BJ 2, 152-158). Questo atteggiamento era analogo a quello di quei devoti che avevano preferito lasciarsi trucidare senza opporre resistenza dai soldati seleucidi piuttosto che profanare, difendendosi, in giorno di sabato…(purtroppo) alcuni finiscono per perdere la vita nella fortezza di Masada, quando la loro resistenza contro i romani fu piegata nel 74 d. C..” Si racconta, da parte di Giuseppe Flavio, che Giovanni l’esseno si associò a Giuseppe il fariseo, il “comandante supremo degli insorti di Galilea. (BJ 2, 562-568)”. (Stegemann, opera cit. pag.224-229).


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La storia registra (specialmente quella di Giuseppe Flavio) che la rivolta ebraica contro Roma non fu sostenuta dalla maggioranza essena, ma da alcune fazioni violente del popolo ebraico palestinese. Gli esseni come gruppo rimasero neutrali. Solo alcuni di loro vi parteciparono, ma per motivi che esulano dalla predicazione di Gesù e degli apostoli: “L’ultimo esseno di quel tempo di cui conosciamo il nome si chiamava Giovanni. Nel 66 d.C. ebbe inizio la rivolta del giudaismo palestinese…ci furono degli esseni, alcuni, che parteciparono attivamente alla rivolta contro i romani… L’unica cosa sorprendente nel caso dell’esseno Giovanni è il fatto che egli non se ne sia rimasto passivo come la maggior parte degli esseni, ma abbia preso parte attiva alla rivolta.” (oper cit. pag.229, 230). Si sottolinea con forza dallo studioso che Gesù non era un esseno: “Il mercato librario tedesco registra immancabilmente una crescita di interesse sul tema degli esseni ogni volta che nel titolo della pubblicazione appare il nome di Gesù, anche se poi nel testo non gioca praticamente alcun ruolo. Pochi scampoli di frasi e singole parole, estrapolate dal loro contesto, molto spesso sono interpretate anche pedestremente, suggeriscono in queste opere da strapazzo collegamenti che storicamente non sono mai esistiti. Apparenti somiglianze vengono trasformate in evidenti concordanze. Il “Gesù” di queste pubblicazioni è una figura artificiale costruita mediante il congiungimento di tessere di un mosaico scelte a caso, esattamente come il loro tappeto - forzatamente cucite a colpi d’ago - di apparenti verità su “Qumran” o sugli “esseni”. Tutto ciò non ha assolutamente nulla a che vedere con la realtà del tempo” (opera cit. pagg. 327, 328).
Se Gesù, come crede A., era davvero a capo di un gruppo armato, perché i romani, e non era loro abitudine, uccidono Gesù e lasciano stare il gruppo? I romani, lo sappiamo bene, per garantire la pace sia presente che futura si preoccupano di eliminare, con la morte o in qualche caso con il lavoro forzato, ogni traccia rivoluzionaria pericolosa per l’ordine romano. Si osservino le varie rivolte degli schiavi o dei vari condottieri rivoluzionari come Giuda il Galileo o Bar Koba menzionati dalla storia. Tutto il racconto del signor Salvatore, in fondo, si basa sull’idea che i cristiani, con a capo Gesù, siano stati dei sanguinari senza scrupoli, un gruppo tra i tanti che operavano in Palestina per abbattere l’impero romano e istaurare il regno di Israele, non trova fondamento, e per rendersene conto è sufficiente leggere ‘Le guerre giudaiche’ di Giuseppe Flavio. Da rilevare è che A. fa ricorso ad alcune espressioni su Gesù, isolate dal testo biblico ed isolate dalla storia, per provare quello che dice. Gesù invece è stato vittima dell’intolleranza religiosa, guardandosi bene dall’essere coinvolto dalle beghe politiche e religiose dei governanti sia giudaici che romani del tempo.

Pag. 48 e 49, “Gesù… è venuto a portare la guerra, la lotta armata… (il discepolo) deve essere incline a usare la violenza. Alla luce di questa violenza si comprendono le parole di Gesù: <<Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo>> (Lc. 14, 26 - 27)…per essere liberi da ogni affetto ed essere pronti per la lotta armata”.
Il discorso così come viene concepito è tipico del “Catechismo” di Nečaev il rivoluzionario non deve avere affetto né sentimenti teneri…di parentela”. Questo profilo sconcertante è l’ombra sinistra nečaeriana che attraversa la storia e giunge prepotentemente ad inquietare il nostro tempo dietro la quale è suggerita dall’immagine demoniaca di “Stavrogin” che la suggerisce. Quello che stupisce è che questo quadro così sinistro di un Cristo dai tratti così violenti sono suggeriti da un sacerdote!
“Odio”, nella cultura semitica, significa anche: preferire, posporre, disprezzare. E’ evidente che si tratta di un puro ebraismo come dimostra Deuteronomio 21: 15-17.
E’ chiaro anche secondo il Midras sull’Esodo. Gesù naturalmente si espresse con categorie culturali consone al suo ambiente. I suoi discorsi sono spesso caratterizzati da paradossi ed iperbole. Egli usò un termine forte per imprimere nei suoi discepoli la convinzione che lui doveva essere considerato il primo in assoluto. Pertanto è giusto dire “amare di meno”.

Pag. 65 e seguente: Gesù non faceva miracoli ed essendo un “esseno” “certamente praticava l’arte di guarire attraverso conoscenze erboristiche o financo con poteri terapeutici o prano- terapeutici, di cui si dice che gli esseni fossero a conoscenza”.
Un grande studioso invece spiega il contrario: “A differenza degli esseni che praticavano la medicina influenzati dal mondo greco-romano… (nei Vangeli) è, di fatto, del tutto assente qualsiasi traccia di tecniche mediche e, come ovvio, non vi si trova una sillaba del linguaggio della prescrizione e della diagnosi che appare nella letteratura medica romana del primo secolo… In questi racconti non c’è nulla che si possa correttamente definire ‘magico’” (H.C. Kee, Medicina, miracolo e magia nei tempi del Nuovo Testamento, Ed. Paideia, Brescia 1993).


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Si citano le apparenze come verità! Strano discorso per un uomo che amministra l’eucarestia! Quali sono le fonti storiche e gli studiosi che affermano tutto questo?
Sui racconti dei miracoli narrati dai vangeli operati da Gesù, dice lo studioso Stegemann: “In tutti questi racconti Gesù non si comporta come i guaritori ebrei del tempo, i quali operavano le guarigioni con medicine miracolose, unzioni con olio, imposizioni delle mani o preghiere (cf. Giac. 5,13-18), ma media semplicemente la forza di Dio che è il vero operatore dei miracoli…Ma Gesù non si comportò mai come gli esorcisti. Egli non usava né i nomi di Dio, né quelli degli angeli, né preghiere magiche, né riti magici, né testi di esorcismo davidici…Quelli che in questi racconti sono presentati come operati da Gesù sono autentici miracoli di Dio. Per questo genere di miracoli non esisteva assolutamente nessuna tecnica che Gesù avrebbe potuto apprendere dagli esseni o da altri suoi contemporanei…La concezione del Messia, da una parte come figlio di Dio e, dall’altra, come operatore di prodigi è genuinamente cristiana e sorta unicamente in relazione con la concezione e la presentazione di Gesù quale operatore di prodigi”. (opera cit. pagg. 340,355) Questa è la verità, tutto il resto sono frutto di supposizioni personali, favole narrate per amore del sensazionale. Come si nota, la vera esegesi biblica si presenta con ben altro volto!
Pag. 91: Il diavolo non esiste e non è il principe del mondo: “Quindi anche Gesù, (come Paolo in 1Cor.2,6-8) parlando del principe che verrà giudicato e Giov.12,31) e che non ha potere su di lui, vuole intendere Pilato o le autorità religiose giudaiche che non hanno potere di togliergli la vita: <<nessuno me la può togliere, ma la do da me stesso>> (Giov.10,28). Per ciò che riguarda il <<Principe di questo mondo sarà gettato fuori>> significa che l’esercito romano sarà cacciato dalla Palestina e che l’impero romano non avrà più potere sugli ebrei”
E pensare che credevo fossero solo i testimoni di Geova a narrare le favole! Mi perdoni A.! Con i termini: principe, podestà, governante ecc. si fa di ogni erba un fascio! Nelle Scritture, sempre in relazione al contesto, si parla di principe invisibile e di principe visibile, di governante visibile e di quello invisibile. Il cristiano, è vero, è un combattente, ma non “contro sangue e carne” il suo è un combattimento di natura spirituale che avviene con armi spirituali, in senso spirituale il cristiano ha indossato l’armatura spirituale per combattere: “le potenze…le Potestà…i dominatori del mondo delle tenebre, contro gli spiriti della malvagità dei cieli…” La potenza del cristiano si fonda nell’onnipotenza del Signore che lo avvince per resistere alla malvagità nelle sue varie forme sia del mondo invisibile che di quello visibile. Paolo prega che Dio li rafforzi sempre di più col suo Spirito Santo per una vita interiore sempre più potente. Paolo usa due immagini dei combattimenti: uno dell’agonista sportivo e l’altro di quello militare, ma sempre in senso spirituale per illustrare con quale fatica si muove il cristiano, quello vero, per stare in piedi e non cadere sotto le milizie del male. Il male sia in senso impersonale e personale; questo è quello che dicono Gesù e Paolo.
Se “qualche corrente religiosa afferma che il principe di questo mondo è il diavolo” ciò vuol dire che la maggioranza delle religioni affermano il contrario! Ma è così? Davvero la maggioranza delle religioni cristiane insegnano che l’impero romano è il principe di questo mondo? Mi sorprende che una persona come A., che ha a disposizione tanta letteratura, insegni una cosa del genere, quando sa benissimo che è proprio la maggioranza ad insegnare che il principe di questo mondo è proprio satana. Le analisi condotte sui Vangeli da tutti gli studiosi sia cattolici che di altre confessioni religiose cristiane sono unanimi nel definire che il principe di questo mondo è satana, il nemico vero alla cui esistenza A. non crede. Ci sono anche molte persone che non credono in Dio, ma questo non significa che Dio non esista. Il male c’è, c’è anche il bene, come esistono il bianco ed il nero. Le due cose coesistono, purtroppo, per un disegno di Dio a noi ora incomprensibile, finché viviamo in questo mondo immerso nel suo mistero.


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In relazione a Giov.12:31 citerò soltanto alcuni studiosi di indubbia preparazione teologica ai quali devo molto per la mia fede cristiana e per la mia conoscenza.
Dei numerosi studi condotti sul problema neo-testamentario con seria ricerca teologica e storica citerò soltanto alcune parti:
W. Pannenberg (Giov. 12:31): <<Stando alla testimonianza del Nuovo Testamento, il mondo stesso nel suo insieme è caduto sotto la tirannia di una potenza antidivina, del ‘principe di questo mondo’, comunque sconfitto da Gesù Cristo (Gv 12,31; 14,30; 16,12; cfr .Ef.2,2). Il contesto di peccato e morte, che mantiene asservita nella sua caducità l’intera creazione (Rom. 8,20 e 22), induce a prendere in considerazione proprio l’eventualità di un potere esercitato da una simile forza di perdizione.>> (Teologia sistematica, vol.2, pag130, Queriniana, Brescia 1994)
H.Strattmann esprime in altre parole lo stesso pensiero: <<Dietro alla malignità di questo mondo c’è il principe di questo mondo, Satana, il quale ora che sono giunte al punto culminante le sue arti di seduzione, sarà costretto all’impotenza; la sua apparente vittoria è la sua sconfitta definitiva…comunque la morte di Gesù è vista qui come una vittoria sulla potenza personale di Satana, che ormai non può più impedire che colui che è stato elevato dalla terra tragga tutti a sé…>> (Il Vangelo di Giovanni, ed. Paideia, Brescia 1973, pag.316).
Ancora su Giov. 12: 31 così afferma un altro grande studioso, R.Schnackemburg: << “Il principe di questo mondo” nel N.T. si incontra solo in Io (oltre che 12,31 anche 14,30). Questo malvagio dominatore spirituale dell’umanità e del cosmo è familiare al giudaismo sotto vari nomi e notevoli aspetti, e di là è inviato nel mondo cristiano>> (Il Vangelo di Giovanni, parte seconda, ed Paideia, 1977, pag.649). Gli ebrei credevano nell’esistenza di satana e Gesù, quale ebreo, era dello stesso pensiero, come pure tutti i cristiani che discendono da lui. Anche Maometto e altri maestri credono nell’esistenza del demonio sia in senso personale e sia come rappresentazione del male.

Pag. 111 “…se noi leggiamo Luca 22,36 troviamo non un Gesù pacifico, ma un rivoluzionario che spinge alla lotta armata”. Alle parole di Gesù in Luca 22:36 “<<chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una>>”.
Si possono abbinare le altre espressioni in Luca 12:51 e Matteo 10:34, Gesù spesso si esprime in parabole per far comprendere ai suoi discepoli le sue parole che essi nella maggioranza dei casi non capivano. Conoscendo bene la natura umana, che spesso si manifesta con atti di violenza, disse agli apostoli di comprarsi delle spade per capire che al momento di usarle, coloro che mettono mano alla spada, di spada periscono. Inoltre Gesù chiarisce, e A. lo sa, che, a differenza degli zeloti, Gesù non è un “brigante”: “Siete venuti con spade e bastoni come contro un brigante? Ogni giorno (non nelle tenebre della notte o in luoghi nascosti) ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me, ma questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre” (Luca 22:49-53; Matteo 25, 51-53).
Accettare Gesù mette in discussione ogni legame familiare e con il mondo che giace nelle tenebre. Per chi è alla sequela di Gesù ogni vincolo è spezzato e da questo amore per Cristo e per la pace che Egli infonde. I familiari sono i primi nemici proprio per la radicalità degli insegnamenti di Gesù che il cristiano ha accettato senza riserve. Si tratta perciò, per il cristiano, di una spada quale arma di guerra spirituale. Per il nemico “spada” è “guerra” vera e propria nella maggioranza dei casi.
Cristo nel mondo, come ogni cristiano che decide di viverlo, è un corpo estraneo e per la legge del rigetto viene espulso, purtroppo per questo il mondo ha i suoi anticorpi: le potenze avverse al bene.


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Pag. 119, 139 Gli apostoli “credevano nella reincarnazione (Giov. 9, 1)”
A. confonde la reincarnazione con la retribuzione, nella quale credeva la maggior parte del popolo ebraico. Se ad una persona capitava nella sua vita qualche disgrazia, il fatto era attribuito ad una condotta peccaminosa dell’individuo o da suo padre. Gli apostoli conoscevano bene che secondo una corrente la salvezza era legata alla grazia divina. Secondo un’altra corrente non c’era perdono se veniva violato il patto con la Legge. Si può dunque parlare di due teologie: teologia della retribuzione e teologia della gioia; oppure: teologia del patto e teologia della promessa.
La domanda degli apostoli si fondava su due principi scritturali:
1°-“L’Eterno, il tuo Dio, sono un Dio geloso che punisce l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano” (Es. 20:5).
2°- Sulle parole che “il figlio non porterà l’iniquità del padre e il padre non porterà l’iniquità del figlio; la giustizia del giusto sarà su di lui, l’empietà dell’empio sarà su di lui” (Ez.18:20). Quindi il contrario di Es. 20:5.
Gli apostoli quando scrissero i vangeli conoscevano anche che nel libro della Sapienza, contrario alla reincarnazione è scritto: “La nostra esistenza è il passar di un’ombra e non c’è ritorno alla nostra morte, poiché il sigillo è posto e nessuno torna indietro.” (2:5). E’ evidente poi, che non credevano a questa dottrina dalle parole di Matteo 25:31-46 quando alla presenza di Gesù Cristo verrà assegnata la salvezza per i giusti e la condanna per gli impenitenti.
Pure l’apostolo Paolo avversa questa dottrina: “E come è stabilito che gli uomini muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio” (Eb. 9:27). Non sembra strano che Giustino martire, convertito al cristianesimo, rigetti la dottrina della reincarnazione e anche quella della metempsicosi? (Dialogo con Trifone, 1-9).
Origene pure rigetta la reincarnazione, egli credeva che le anime fossero preesistenti, ma non che alla morte dell’individuo l’anima trasmigrasse in altri corpi. I cristiani non sono reincarnazionisti, come evidenziano le Scritture.

Pag. 120 “Dal momento che non c’è stata nessuna resurrezione di Gesù, gli studiosi (quali?) si domandano come è andata formandosi questa idea…la resurrezione di Gesù è stata inventata apposta ammesso che veramente sia morto”. A. poteva continuare la favola dicendo che i seguaci di Gesù ne avevano trafugato il corpo ancora in vita, lo avevano nascosto, medicato e, dopo molte avventurose peripezie, egli giunse in India, dove diventò un guru, si sposò ed ebbe molti figli.
A. non crede nei miracoli, come Hume, perché “contrari alle leggi della natura”. “I molti esempi di miracoli inventati, di profezie e di eventi soprannaturali che, in tutte le età, o sono stati smascherati da un’evidenza contraria o si sono smascherati da se stessi con la loro assurdità, provano a sufficienza la forte inclinazione degli uomini allo straordinario ed al meraviglioso e dovrebbero ragionevolmente far sorgere dei sospetti contro tutte le narrazioni di questo genere” per concludere poi sulla “ricerca sull’intelletto umano” che: “Quando scorriamo i libri di una biblioteca persuasi da princìpi (delle “quantità” e del “numero” nell’ambito della matematica e dell’esperienza) che cosa dobbiamo distruggere se ci viene alle mani qualche calunnia, per esempio di teologia o di metafisica scolastica, domandiamoci: contiene qualche ragionamento astratto sulla quantità o sui numeri? No. Contiene qualche ragionamento sperimentale su questioni di fatto e di esistenza? No. E allora, gettiamolo nel fuoco, perché non contiene che sofisticherie ed inganni” (Ricerca sull’intelletto umano, La Terza 1971, pagg. 121,125,175).


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Ebbene il libro di A. ha gettato nel fuoco quello che di più sacro esiste per il credente e per la Chiesa che è custode e depositaria delle parole del Salvatore Gesù Cristo in virtù del quale il cristiano trova, in questo mondo arido, desertico, un punto di riferimento e ristoro dalle sofferenze. La sofferenza o allontana o avvicina a Dio. Il mondo è un mistero che va sempre studiato per cercare di capire: l’alba, il tramonto del sole, il canto degli uccelli, un’aria di Bach, di Vivaldi, di Beethoven, le leggi che governano il mondo, se tutto si affida al caso allora il caso è l’essere più intelligente. Alcuni dicono che tutto si può spiegare scientificamente, ma è altrettanto vero che non riescono a spiegare da quale causa prima le leggi che governano la natura siano arrivate. A. può fare tutti i discorsi degli agnostici come crede, ma il vero credente si affida alle testimonianze dell’apostolo appartenente alla primissima comunità cristiana, alla memoria, non dei libri, ma di quelli che in vita furono i testimoni oculari della morte e risurrezione di Cristo. L’apostolo testimonia la sua esperienza molti anni prima che si sviluppassero le teorie ci Marcione o di Valentino (che A. chiama “maestro”). Gli scritti di Paolo, e questo A. non lo può negare, sono gli unici scritti autentici del Nuovo Testamento, scritti prima della formazione dei Vangeli, avvenuta dopo la distruzione di Gerusalemme, quale prodotto (sempre stando al parere di A.) della deplorevole mistificazione dei suoi autori per nascondere il fallimento del “rivoluzionario armato” Gesù Cristo. Tutto il discorso di Paolo è di altra natura, per lui la risurrezione di Cristo non è semplicemente un atto di fede, ma un fatto storico realmente accaduto e lo scrive con tanta tristezza e lacrime per la mancanza di fede di alcuni corinzi, forse i primi germi dello gnosticismo che egli confuta con la sua esperienza personale e quella degli altri che egli ha conosciuto: “Vi ho, infatti, trasmesso anzitutto ciò che io stesso ricevetti, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve a me come a un aborto…Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la nostra fede. Noi poi risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono…” 1 Cor. 15:1-19
Per Paolo non si trattava di essere stato preso da un fremito emotivo del momento o il risultato di uno stato di esaltazione psicologica, ma di qualcosa che lo ha profondamente segnato nello spirito e nel corpo e che, dopo il fatto, vuole testimoniare con mente lucida la sua esperienza personale e quella di altri compagni e testimoni di ciò che videro e udirono. Il cristianesimo poggia proprio su questo evento, altrimenti non ha motivo di esistere. Nel tempo si segnala che molti sono stati disarcionati da Cristo dalle proprie filosofie!


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Pag. 126 “Certamente…il gruppo (dei cristiani) di Gerusalemme (è) formato da esseni”.
Come già dimostrato anche questo non corrisponde a verità. E’ risaputo che tutti i gruppi che componevano il popolo ebraico avevano qualcosa in comune a causa della stessa matrice storica. I gruppi che maggiormente esercitarono la loro influenza sul popolo erano quattro: i Sadducei, i Farisei, gli Zeloti (alcuni di questi, che componevano l’ala estrema del nazionalismo zelota, erano i sicari che significa i pugnalatori) e gli esseni che erano circa quattromila sparsi in tutto il territorio palestinese. Poi c’era la diaspora ebraica, i cui componenti erano più numerosi di quelli che occupavano il territorio della Palestina, discretamente integrati nel territorio dove risiedevano. La visione religiosa e politica era diversa da un gruppo all’altro.
Gli zeloti, per esempio, acclamavano alla liberazione dalla potenza straniera romana specialmente con l’azione armata. Gli esseni invece in generale erano pacifisti, non violenti, attendevano che fosse un intervento da parte di Dio a rovesciare sia Roma che le autorità ebraiche infedeli, per portare il regno di Dio di pace tra loro (che si consideravano l’autentico popolo di Dio) e i popoli gentili. Fin dal loro nascere, 150 a.C., gli esseni credettero di essere nel tempo della fine, stabilendo anche delle date. Dopo la morte del Maestro di Giustizia, che non si sa chi fosse, avvenuta verso il 110 a.C., gli esseni credettero che Dio avrebbe posto fine al mondo nel 70 a.C.. Dopo il fallimento di questa data spostarono la fine al 70 d.C. Può darsi che tra i rivoltosi dei quel tempo ci fosse anche qualche esseno o qualche cristiano. Ma è certa una cosa: né il gruppo degli esseni e tanto meno il gruppo giudaico-cristiano parteciparono alla rivolta armata assieme agli zeloti e agli altri rivoltosi.
Quindi riguardo agli esseni, che non erano cristiani, si potrebbe dare adito con la “Regola della guerra” all’ipotesi che essi fossero dei rivoltosi armati. Ma tali ipotesi proposte da qualcuno, che gli esseni partecipassero a rivolte armate contro Roma per restaurare il regno messianico, sono smentite dalla storia. Sia Filone che Giuseppe Flavio affermano che gli esseni erano uomini pacifici, niente affatto degli uomini rivoltosi come si vuol farli apparire. Essi vengono descritti in “Vita contemplativa” e “Hypoth” di Filone come uomini giusti dal rigore etico esemplare e anche Giuseppe Flavio sulla stessa linea traccia un profilo storico con parole di elogio mirabile della loro condotta e della virtù morale ineccepibile. Tutt’altro che guerrafondai come vuol farli apparire Angelone! Tutti gli studiosi sono concordi nello stabilire che gli esseni erano un gruppo a parte, un gruppo che si riteneva essere l’unico approvato da Dio. Da loro i farisei e gli altri gruppi erano ritenuti infedeli alla legge e al patto stipulato da Dio con Mosè ed aspettavano che Dio intervenisse per porre fine alla loro malvagità.
I cristiani costituivano pure un gruppo a parte, dotato di armi spirituali, per combattere sì una guerra, ma una guerra spirituale. E’ errato fare di ogni erba un fascio e questo succede quando si fanno citazioni, per conformarle ad un certo pensiero, fuori contesto, consapevoli che esse all’interno dell’opera assumono il significato dal loro autore. Giuseppe Flavio conosceva i cristiani e non li ha mai confusi con gli ebrei in genere. Conosceva anche gli esseni e tutte le altre sette del giudaismo del tempo, ma non li ha mai confusi con i cristiani. Da nessuna parte dei suoi scritti egli ha mai affermato che ci sia stata un’insurrezione armata da parte di Cristo e dei suoi seguaci contro Roma. Anzi, egli afferma (degli studiosi ne contestano l’autenticità) che: “Visse in questo tempo Gesù, uomo sapiente, seppure lo si deve definire uomo. Operò, infatti, azioni straordinarie e fu maestro di uomini che accolgono con diletto la verità, e così ha tratto a sé molti Giudei e anche molti Greci. Egli era il Cristo. Anche quando per denuncia di quelli che tra di noi i capi Pilato lo fece crocifiggere,quanti da prima lo avevano amato non smisero di amarlo. Egli apparve loro il terzo giorno di muovo in vita, secondo che i profeti avevano predetto di lui tutto ciò e mille altre meraviglie. Ancora oggi sussiste il genere di quelli che da lui hanno assunto il nome di cristiani” (Giuseppe Flavio, Antichità XVIII, 63, Mondatori, I Meridiani 2002, pagg. 412, 413). Anche se si volessero eliminare le parole che presumibilmente alcuni pensano di essere interpolazioni cristiane, il testo non ci offre assolutamente nulla del genere sostenuto da A.. Pertanto è la negazione,da parte di Giuseppe Flavio, che Gesù sia il capo carismatico di un gruppo armato!
Il gruppo dei giudeo-cristiani di Gerusalemme, separato dagli Ebrei per aver accettato il Cristo, ubbidienti al comando di Gesù “di deporre la spada”, invece di partecipare all’azione armata assieme ai rivoltosi palestinesi, fuggirono lontano dalla zona in fiamme per rifugiarsi a Pella. I cristiani capirono in seguito, con l’opera dello Spirito Santo che la loro patria non era terrestre, come credeva in genere il popolo ebraico, ma celeste.


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Pag. 146 e 147: Gli apostoli non erano “sani di mente”, erano “ degli esaltati, dei fanatici”…”com’è che diventarono dei violenti sanguinari e crudeli? Certamente alla scuola di Gesù. Lui li aveva plasmati e plagiati, essendo anch’egli, come abbiamo visto, un violento.” “Che il cristianesimo fosse un movimento armato e rivoluzionario, ce lo dice anche Giuseppe Flavio (e chi sono gli altri studiosi!?): << Coloro che attendono la venuta di un Messia da risollevare Israele, costruendo un regno eterno, dopo aver vinto tutti i nemici, sono banditi da strada. Tutti costoro sono i veri nemici che sobillano il popolo, lo ingannano e lo portano a certa rovina, perché lo istigano ad una guerra disperata contro i Romani>>”
A. ha suonato la campana a morto per Gesù Cristo Dio e per tutto il cristianesimo e per il suo stesso ministero sacerdotale. Dove si è collocato don Salvatore?
Come già detto, sono affermazioni false. Siamo per l’ennesima volta di nuovo in presenza di credenze e teorie sorte nell’800: Reimarus, Strauss, B. Bauer, ecc… che lo studioso G. Barbaglio (a proposito di Bauer, ma valido anche per gli altri) così caratterizza: “E’ comunque un filone senza futuro, data l’ovvia e insuperabile obiezione che di lui (Gesù) possediamo valide testimonianze non solo cristiane, dunque di parte, eppure non per questo destituite a priori di ogni valore storico, ma anche giudaiche, come Flavio Giuseppe e la letteratura rabbinica, e di storici romani come Tacito e Svetonio. Ed è sorprendente che ancora oggi non manchi chi osa avventurasi su strade senza uscita; L’ardito studioso merita di essere menzionato per nome e cognome: G. A. Wells, The Jesus Myth, Chicago 1999” (Gesù ebreo di Galilea, Indagine storica, Ed. Deoniane, Bologna 2003, pagine da 19 a 23). Lo stesso autore afferma a proposito dei movimenti messianici: “Ora Gesù, puro dalla tentazione di imbracciare le armi, come dimostra il fatto che la sua condanna non implicò alcuna azione violenta dei romani contro i suoi seguaci, si è tenuto lontano dalle posizioni di aperta e armata ribellione all’oppressore romano, dunque dai movimenti messianici. (cfr. Schmeller)”. (G. Barbaglio, op. cit. pag. 100). Ci sono anche quelli che dicono che Gesù era un collaborazionista del potere romano! E. Renan, “Vita di Gesù”, anche se presenta Gesù come un uomo comune, l’immagine da lui proposta non è quella di un rivoluzionario armato, ma di un uomo che emanava “straordinaria dolcezza”. Altro che un uomo della peggior specie come lo presenta A.!
Dunque l’autore di “L’altro Gesù” da che parte milita? E, parlando del problema del tempio, che riguarda la cacciata dei profanatori, G.Barbaglio dice: “Ma il vero interrogativo verte sul significato del gesto. Si deve scartare subito come arbitraria l’interpretazione politico-militare di Reimarus e, in tempi più vicini, di Brandon di un’aperta e bellicosa ribellione al potere romano e ai suoi accoliti giudaici, conclusosi con la cattura del ribelle o “terrorista”” (opera citata pag. 501,502) E’ evidente che la critica storica moderna più avanzata smantella tutte le costruzioni abilmente congeniate per far apparire Gesù Cristo uno dei rivoluzionari armati più spietati della storia. Anzi, si sta confermando sempre con più forza la verità dell’ortodossia storica su Gesù e che non vi sono vere e proprie contraddizioni dalla figura storica di Gesù con quella della fede, tramandata dai Vangeli e, se differenze esistono, si tratta solo di differenze marginali. Non è possibile slegare Gesù dai racconti evangelici, come non è possibile attraverso essi tracciare un vero racconto storico, nel senso che questo termine assume per noi oggi, della vita di Gesù.


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05/11/2011 16:38
 
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Che Giuseppe Flavio quando afferma che coloro che attendono il messia” si riferirebbe alla sola caratteristica dei cristiani, non mi risulta. Intanto bisogna specificare in quale scritto Giuseppe Flavio ha affermato che i cristiani con a capo Gesù fossero dei rivoluzionari armati. Che gli ebrei come popolo attendessero la venuta del messia nessuno lo nega; non tutti quelli che attendevano il messia, sia pure con modalità diverse, erano dei rivoluzionari. Per esempio la storia dimostra che gli esseni e gli ebrei della diaspora, molto più numerosi di quelli della Palestina, convivevano abbastanza pacificamente con la presenza dei romani. Gli esseni specialmente, riferiscono sia Giuseppe Flavio sia Filone d’Alessandria, erano visti come dei pacifisti, molto apprezzati e stimati dal popolo in generale. Altro che spietati rivoluzionari! Anche i farisei attendevano il messia e, pur detestando Roma, collaboravano con i romani; pertanto anche loro erano molto lontani dalle azioni rivoluzionarie a differenza del radicalismo violento del movimento zelota, specialmente di quello dei sicari, una frangia estremista degli zeloti.
Chi erano coloro che nell’attesa di un messia liberatore fomentarono tumulti? Giuseppe Flavio nei suoi scritti specifica i vari gruppi che operavano in seno alla nazione ebraica che nutrivano le speranze di un messia che li liberasse sia dalle autorità giudaiche che collaboravano con i romani, sia da Roma stessa potenza occupante.
Per tutti i gruppi le modalità della venuta del messia o dell’era messianica, non avevano lo stesso significato: gli esseni, quale gruppo pacifista, attendevano che fosse Dio stesso ad intervenire, come nell’antichità, a portare la liberazione e la salvezza anche per i gentili. Il gruppo dei cristiani si attendeva la seconda venuta di Gesù Cristo alcuni nel prossimo futuro, per altri nel futuro escatologico in un tempo non definibile.
C’erano poi gli zeloti i quali credevano che un uomo eletto da Dio quale messia avrebbe, con l’azione armata, rovesciato il potere politico del tempo per restaurare in Israele la pace e la giustizia. I sicari erano la frangia più estremista di questi movimenti politico-religiosi. Non si dimentichi neppure un altro gruppo che non era politico, ma religioso: gli erodiani che vedevano in Erode il “messia”. Israele stesso, secondo l’interpretazione di allora degli scritti biblici, era visto come popolo messia predetto.
Altri identificavano il Messia con capi carismatici inviati da Dio stesso per procurare, con l’azione armata, la liberazione.
Giuseppe Flavio menziona alcuni di questi capi carismatici e certamente non si tratta di cristiani, ma di violenti rivoltosi intenzionati a sovvertire l’ordine politico-religioso e sono: “Giuda era figlio di Ezechia, un capo di briganti di grande importanza, che solo con grandi sforzi era stato catturato da Erode. Costui, radunata dalle parti di Sepphoris, una schiera di disperati, assale il palazzo reale e, impadronitosi di tutte le armi che stavano colà, arma i suoi uno per uno e porta via tutto il denaro là custodito, alimentando lo spavento di tutti, perché derubava quanti incontrava. Aspirava peraltro a maggiore potenza e ambiva l’onore della regalità, sperando di poterlo conseguire, non perché praticasse la virtù, ma perché era molto capace nel malaffare.”
“C’era anche Simone, uno schiavo di Erode, uomo prestante…osò cingersi del diadema e radunò intorno a sé una schiera di uomini la cui follia giunse a proclamarlo re, ed egli era convinto di essere degno al pari di ogni altro.” I romani poi lo abbatterono. I gruppi che erano scampati alla morte continuavano nei loro disordini: “Un tale vento di follia devastava il paese, perché non c’era un re nazionale capace di tenere a freno la folla grazie alle sue doti di governo, e gli stranieri che venivano per reprimere i moti rivoluzionari li alimentavano di più con la loro arroganza.”
“C’era anche un certo Athronges che perseguiva gli stessi fini rivoluzionari:”
“Così la Giudea era piena di ladrocini e, appena attorno a uno si radunava una banda di rivoltosi, costui voleva farsi re per la rovina di tutta la nazione. Arrecavano poco danno ai romani e invece ne arrecavano uno grande tra i connazionali.”


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“Invece Giuda, un gaulanite della città di Gamala, con l’aiuto del fariseo Saddok, spinse alla ribellione dichiarando che il censimento non apportava altro che effettiva servitù e incitando il popolo a rivendicare la libertà…la divinità li avrebbe favoriti aiutandoli a realizzare i loro propositi, tanto più se, aspirando con fermezza a grandi cose, non avessero avuto timore del sangue che avrebbero dovuto versare…da questi uomini trassero origine discordie tra le varie fazioni e uccisioni di cittadini, alcuni venendo uccisi in stragi intestine per l’infamia di quanti discordavano tra loro e sacrificavano se stessi per non cedere agli avversari, mentre altri li uccidevano i nemici…varie città furono espugnate e distrutte, finché questa rivolta consegnò anche il tempio di Dio alle fiamme dei nemici. Fu in effetti in questa occasione che Giuda e Saddok suscitarono e introdussero tra noi una quarta scuola di filosofia e, forti di una gran quantità di adepti, riempirono la città di disordini e posero radici dei mali che ne seguirono, a causa in primo luogo del carattere insolito di tale filosofia…spinti oltre i giovani vi si dedicarono e si arrivò alla rovina delle nostre case.” (Antichità, XVII, 271-323; XVIII, 4-10, Mondatori, Milano 2002) Sono questi cristiani, come sostiene A.? Ci vuole una bella fantasia per affermarlo! Citare poi l’episodio della cacciata dei mercanti dal tempio da parte di Gesù come fatto che egli fosse a capo di un movimento militare, lo studioso Barbaglio risponde: “Ma il vero interrogativo verte sul significato del gesto. Si deve scartare subito come arbitraria l’interpretazione politico militare di Reimarus e, in tempi più vicini, di Brandon”. Il gesto di Gesù va visto invece come l’azione degli antichi profeti che intervenivano perché il tempio venisse liberato dalle profanazioni idolatriche per ripristinare “la purezza e la genuinità”. (Barbaglio)

Pag. 157 “Abbiamo detto sopra che i cristiani nutrivano un odio profondo non solo verso Roma: la grande Babilonia, la madre delle meretrici e delle abominazioni della terra, ma anche verso tutto ciò che non era ebraismo. I capi rivoluzionari delle varie comunità si agitavano per tenere sempre vivo questo sentimento, ricordando le parole di Gesù: <<sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso>> (Luca 12, 49); e cioè la rivoluzione, la distruzione, la lotta; e Gesù agiva per questo scopo ed era angosciato che ciò non avvenisse ancora (Luca 12, 50), così dobbiamo tendere, esortavano i capi, con tutte le forze a questa meta. Per raggiungerla era necessario metterli anche contro i membri della famiglia”.
Se il Vangelo insegnasse queste cose sarebbe proprio il caso di buttarlo nel fuoco! Al contrario il Vangelo ci insegna ad amare i nemici e il discorso si snoda in tutte le direzioni del comportamento umano. Il fuoco che Gesù accende e che desidera vedere in atto è il fuoco della discordia, la spada degli increduli che si sarebbe levata contro i credenti, anche dagli stessi familiari del credente. E’ la conseguenza di aver accettato Gesù e i suoi insegnamenti ed essendo il cristianesimo un corpo estraneo nel mondo, il mondo avrebbe assunto un atteggiamento ostile e risoluto nei suoi confronti. Lo stesso discorso anche per Matteo 10:34. Il fuoco nella Bibbia assume diversi significati come: il giudizio di Dio, o la teofania di Dio, anche il fuoco del tormento, ecc.
Né i Vangeli, né nessun documento storico delineano un quadro così tragico e odioso del cristianesimo primitivo. Purtroppo, peggio ancora, nel nome di Cristo, si è usata la spada, l’azione armata per diffondere ciò che Gesù Cristo disse, il suo messaggio d’amore e non di odio verso chi è diverso per religione o credo. <<Deponi la spada, perché chiunque prenderà la spada di spada perirà>>. Se le cose non stanno così meglio essere ateo, sarebbe la cosa più ovvia da scegliere, la migliore religione.


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