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Obiezione di coscienza

Ultimo Aggiornamento: 03/11/2007 07:17
31/10/2007 10:52
 
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All'invito del "pastore" tedesco verso i farmacisti di fare obiezioni di coscienza,riprendo un'articolo che mostra la mistificazione clericale.


Quoto una frase dell'articolista molto significativa:

"L'obiezione di struttura pare piuttosto rientrare nell'ambito del sabotaggio........E' in quest'ottica,dunque,che vanno inquadrati gli inviti rivolti dalle massime autorità ecclesiastiche ai medici,agli operatori sanitari e,più in generale,a tutti i titolari di pubbliche funzioni....
La legge, dunque, non prevede l’opzione di coscienza del farmacista alla vendita della pillola del giorno dopo. Questa condotta è oggi illecita, costituisce una grave abdicazione del farmacista alla propria funzione pubblica, sino a quando il legislatore non interverrà predisponendo adeguati meccanismi di conversione dell’obbligo di cui all’art. 38 cit., al fine di tutelare l’obiezione di coscienza del farmacista e salvaguardare al contempo la funzionalità del servizio farmaceutico garantendo l’accesso al farmaco nei tempi necessari alla sua efficacia....
"


Dunque,Ratzi sarebbe istigherebbe al sabotaggio nel caso della pillola del giorno dopo...vale la pena di leggersi l'articolo con calma,perche' chiarisce alcuni punti di vista normativi i merito all'aborto e alla pillola del giorno dopo.


da www.radioradicale.it/obiezione-opzione-impostazione-di-c...

Obiezione, opzione, imposizione di coscienza
Pubblicato il 3 Aprile 2007 da Simone Sapienza Invia a un amico, Stampa Note di aggiornamento ad uso anticlericale per la promozione dello Stato laico e della libertà di coscienza.





A cura di Daniele Bertolini.

La nuova arma
E’ in corso da alcuni anni, da parte della Chiesa cattolica, una spregiudicata operazione politica di attacco al fondamentale principio di laicità delle istituzioni, giocata su una furbesca manipolazione del fondamento e del significato dell’obiezione di coscienza.

L’episodio più discusso risale al 30 ottobre del 2000 (all’indomani della messa in vendita previa prescrizione medica nelle farmacie italiane del Norlevo, la c.d. “Pillola del giorno dopo”) quando dal Vaticano giunse un invito, quasi una intimazione, rivolto a medici e farmacisti, a rifiutarsi di prescrivere e vendere il Norlevo, facendo ricorso all’”obiezione di coscienza”. La sfida clericale si collocava in questo modo sia sul piano del merito della controversia circa il momento in cui inizia la gravidanza, sia sul piano (assai più devastante) dei confini di legittimità della legge statuale.

Quanto al primo punto la Pontificia Accademia affermava la natura antiabortiva del farmaco, sulla base della premessa che la “pillola del giorno dopo” provochi una interruzione della gravidanza, processo che – afferma la nota ufficiale diffusa il 30 ottobre 2000 - “comincia dalla fecondazione e non già dall’impianto della blastocisti nella parete uterina”. La gran parte della comunità scientifica internazionale è contraria a questa indebita estensione della nozione di aborto poichè la gravidanza ha inizio con l’annidamento dell’ ovulo fecondato nell’utero, processo che richiede almeno sei o sette giorni. Ma ciò che davvero contava in quella vicenda era il salto di qualità che la Chiesa imprimeva nel suo attacco ai diritti civili e alla libertà di coscienza. La vera novità di quell’esternazione della Pontificia Accademia era lo strumento che furbescamente ed efficacemente la Chiesa brandiva a difesa delle proprie concezioni integraliste sui temi della vita. Da sempre ostile alle concezioni individualiste anche sul terreno degli strumenti della lotta politica, in quanto estranea all’elaborazione liberale e contrattualista del diritto di resistenza di cui sono espressione gli strumenti dell’obiezione di coscienza e della disobbedienza civile, la Chiesa Cattolica con quell’invito al rifiuto della prescrizione e del commercio del medicinale contraccettivo, si appropriava, a sostegno del suo tradizionale disegno clericale, dello strumento libertario per definizione. Dando prova di tenace e machiavellica capacità di adattamento ai mutevoli contesti sociali, ribaltava la logica dell’obiezione di coscienza trasformandola da strumento di affermazione della libertà individuale a strumento di imposizione contro le libertà individuali.

Obiezione di coscienza e resistenza al potere politico
Per comprendere il significato e apprezzare l’efficacia politica di questa mistificazione clericale occorre inquadrare brevemente l’obiezione di coscienza nel contesto delle diverse forme di resistenza al potere e nel raffronto all’ordinamento giuridico vigente.

Bisogna anzitutto considerare che dovere fondamentale di ogni persona soggetta ad un ordinamento giuridico è il dovere di obbedire alle leggi. Questo dovere è chiamato obbligo politico. L’obbedienza alle leggi è basata non sul consenso alle singole norme dell’ordinamento giuridico, ma sull’obbligo politico derivante dall’accettazione di un potere riconosciuto come legittimo. Tale distinzione (obbedienza all’obbligo politico e obbedienza al singolo precetto giuridico) assume un’importanza fondamentale al fine di comprendere il significato dell’obiezione di coscienza. Il tema della resistenza rappresenta l’aspetto negativo – o per meglio dire il rovescio – del problema dell’obbligo politico. Occorre pertanto chiarire che quando si parla parla di “diritto” di resistenza non si allude ad un diritto positivizzato, riconosciuto dall’ordinamento, ma si intende fare riferimento ad un diritto naturale incomprimibile che precede l’obbligo politico e che si richiama ad una sfera immune da coercizioni esterne all’individuo.

L’obiezione di coscienza è una delle più importanti forme di manifestazione del diritto di resistenza al potere e si fonda su una concezione tipicamente liberale e antiautoritaria del potere politico. Essa consiste nel rifiuto deliberato e palese di una legge allo scopo di porre in essere un atto di testimonianza individuale di obbedienza ad un dovere ritenuto superiore, ad una scelta di vita coerente con gli imperativi della propria coscienza. Il rifiuto di obbedire ad uno specifico precetto non implica affatto, in tali situazioni, il rifiuto dell’ordinamento giuridico considerato nel suo insieme. In questo senso la resistenza al potere si colloca nell’alveo della concezione liberale e sfugge a qualsiasi impostazione anarchica di rifiuto in toto del potere politico dello Stato. La disobbedienza civile si distingue dall’obiezione di coscienza e va intesa come azione politica, non violenta, posta in essere, di regola, da un gruppo di persone e sulla base di un piano preordinato, che si richiama non solo a principi di moralità personale, ma a concetti di giustizia generalmente accolti in una determinata società, allo scopo esplicito di ottenere un cambiamento delle leggi o degli indirizzi politici. Mentre l’obiettore non necessariamente compie il suo gesto con l’intenzione di realizzare un atto politico pubblico, ma semplicemente rifiuta per motivi di coscienza di obbedire ad un comando legale, il disobbediente civile con il suo comportamento intende rivolgere un appello al senso di giustizia della maggioranza. Connotati essenziali dell’obiezione di coscienza al potere sono quello dell’apertura, della passività e della nonviolenza. In particolare, l’obiezione di coscienza è aperta in quanto deliberata, non occulta, realizzata pubblicamente; passiva poiché l’obiettore si sottomette volontariamente alla pena prevista per la violazione della legge; nonviolenta in quanto la trasgressione intenzionale della legge se compiuta in modo da arrecare offesa alle persone o all’altrui diritto si porrebbe in contrasto con il significato profondo del gesto di resistenza. Infatti l’obiezione di coscienza è contraria ad una imposizione del potere e, come tale, non può tradursi a sua volta in una forma di imposizione o coercizione su altri individui. In poche parole, l’obiezione di coscienza è immunità da e di coercizione. Esula totalmente dalla logica dell’obiezione di coscienza il conflitto tra scelte individuali differenti. Essa si pone in rapporto (di negazione) con il potere politico, non riguarda il conflitto tra individui, ma tra individuo e potere e, pertanto, l’obiezione non coinvolge soggetti terzi.

L’opzione di coscienza
Chiarito il significato dell’obiezione di coscienza occorre introdurre una importante distinzione. L’espressione obiezione di coscienza, intesa alla stregua di un gesto filosoficamente fondato sul diritto di resistenza al potere, si connota come gesto antigiuridico, cioè contrario all’ordinamento giuridico (obiezione contra legem). Nel momento in cui l’obiezione di coscienza viene giuridicizzata essa perde la sua essenza, sbiadendosi fortemente il suo valore di testimonianza e di affermazione di coscienza capace di ristabilire il proprio primato sulle norme imposte dal potere politico. Qualora l’ordinamento facultizzi il soggetto a scegliere l’uno o l’altro dei comportamenti previsti dalla legge, il conflitto tra norma “interna” e norma “esterna” non viene neppure a porsi, e l’eventuale dichiarazione delle ragioni di coscienza che inducono il soggetto a preferire un comportamento all’altro finisce per rientrare nelle mere modalità di esercizio del diritto di opzione riconosciuto dall’ordinamento.

Tuttavia l’obiezione di coscienza ha assunto nel corso della seconda metà del secolo scorso, proprio in seguito al progressivo affermarsi di una concezione laica e pluralista della democrazia e delle sue istituzioni, la dimensione di un vero e proprio istituto giuridico. E’ ricorrente l’osservazione che gli ordinamenti giuridici hanno legalizzato alcune forme di obiezione di coscienza, la quale viene così a manifestarsi non più solo come contra legem, ma anche come obiezione secundum legem. Per le ragioni sopra esposte non pare corretto riferirsi a questo secondo ordine di fattispecie legali in termini di “obiezione di coscienza”, come se si fosse in presenza di due species riconducibili al medesimo genus. L’obiezione di coscienza appartiene al genus delle resistenza al potere e come tale è per definizione contra legem. Quando l’ordinamento rimette all’individuo la scelta tra comportamenti alternativi pare più corretto parlare di “opzione di coscienza” alludendo così non più ad un gesto di resistenza, ma ad uno spazio di scelta individuale pienamente legittimato dall’ordinamento vigente. Il caso che per primo è stato oggetto di considerazione da parte degli ordinamenti giuridici contemporanei, e che tuttora costituisce il caso praticamente più importante, è quello del rifiuto, motivato da ragioni di coscienza, di prestare servizio militare. La storia dell’obiezione in questo caso conduce dall’ambito della resistenza al potere (contra legem) - della lotta nonviolenta e delle varie iniziative politiche volte al riconoscimento del diritto a non prestare il servizio militare, attuate mediante deliberate trasgressioni degli obblighi di leva – a quello dell’opzione di coscienza (secundum legem), in cui la legge riconosce all’individuo il diritto di essere contrario in ogni circostanza all’uso personale delle armi per imprescindibili motivi di coscienza e di essere ammesso a soddisfare l’obbligo di leva in altri modi previsti dalla legge.

In Italia, ad esempio, fino alla promulgazione (1972) di una legge che regolamentasse la fattispecie, l’obiezione di coscienza fu sempre trattata alla stessa stregua della renitenza alla leva (mancata presentazione al distretto militare per le visite di leva, o alla destinazione assegnata per lo svolgimento del servizio), oppure alla diserzione (che scatta al sesto giorno di renitenza). La legge del 12 dicembre del 1972, n. 772 sull’obiezione di coscienza permise di scegliere il servizio civile sostitutivo obbligatorio, di durata di 8 mesi superiore alla durata del servizio militare che si sarebbe dovuto svolgere.

Intesa in questo seconda accezione (secundum legem) non c’è dubbio che l’obiezione di coscienza sia istituto destinato ad una progressiva estensione del suo ambito di applicazione, proprio per effetto dell’evoluzione sociale in senso pluralistico e dell’accentuarsi del fenomeno della secolarizzazione. Dinanzi a tali fenomeni è evidente il pericolo che si inneschi una dinamica di progressiva disgregazione sociale sino al limite estremo della impossibilità della convivenza. Oggi dunque il problema dell’obiezione di coscienza legale (rectius: opzione di coscienza) non è tanto quello della sua ammissibilità, quanto quello della individuazione dei limiti che ad essa legittimamente possono apporsi, nel giusto contemperamento delle esigenze individuali e di quelle della collettività generale. Per orientarsi in questa complessa tematica conviene analizzare brevemente il fondamento e la struttura dell’obiezione come istituto giuridico.

Il riconoscimento giuridico dell’opzione di coscienza
Nel nostro ordinamento sono tre i casi di opzione di coscienza espressamente riconosciuti dal legislatore. Il primo, ed il più antico, consiste nel rifiuto di compiere il servizio militare (originariamente previsto dalla legge 772 del 15/12/1972) per la ripulsa dell’uso delle armi contro esseri umani. Altro caso riguarda il rifiuto di praticare la vivisezione sugli animali da esperimento, previsto dalla legge 413 del 12/10/1993 che permette a medici, ricercatori, personale sanitario, studenti universitari che abbiano dichiarato la propria obiezione di coscienza di non prendere parte alle attività ed agli interventi diretti alla sperimentazione animale. Il terzo più problematico caso, entrato in uso con la legge 194 del 22/5/1978, è quello che autorizza, in particolari condizioni, l’interruzione della gravidanza entro il primo trimestre di gestazione.

La dottrina e la giurisprudenza che si sono occupati dell’istituto giuridico dell’obiezione di coscienza (rectius: opzione) hanno rinvenuto un fondamento costituzionale negli articoli 2, 19 e 21 della Costituzione. Dalla lettura di queste disposizioni emerge un “abito costituzionale” dell’opzione di coscienza che, ferma restando la necessità dell’ordinamento di realizzare i propri fini, situa l’obiettore (rectius: il soggetto optante) in una posizione di equilibrio tra la ferma volontà di rispettare i precetti della coscienza senza, tuttavia, venir meno all’adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà. Tra le norme citate, quella che maggiormente viene in rilievo quale fondamento costituzionale dell’opzione di coscienza è senz’altro l’art. 19 che costituisce il pilastro di riferimento di tutte le facoltà discendenti dal diritto di libertà religiosa e di coscienza. E’ bene mettere in guardia da una lettura formalistica di tale disposizione che guarda alla libertà di religione non come libertà esclusiva dei credenti, ma come libertà di tutti in materie che toccano la coscienza. Si consideri poi che alla libertà di coscienza è funzionale il principio di laicità dello Stato, che secondo una famosa pronuncia della Corte Costituzionale (n. 203 del 1989), è da considerarsi principio supremo dell’ordinamento. Non è un caso che l’art. 19 abbia fondato le istanze più pregnanti del separatismo liberale.

E’ chiaro, a questo punto, come l’opzione di coscienza sia espressione del principio di laicità e che radicare l’opzione di coscienza sull’art. 19 della Costituzione pone un chiaro limite ad un’applicazione dell’istituto che da strumento di tutela della coscienza individuale non può trasformarsi in strumento di tirannia della coscienza individuale. L’art. 19 Cost., infatti, non configura un diritto all’ “intransigenza in materia religiosa”, chè, altrimenti, si finirebbe col negare la libertà religiosa finendo per riconoscere un paradossale diritto all’intolleranza.

Il principio della libertà di coscienza si raccorda dunque al principio del rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione.

Volendo trarre una conclusione dalla lettura delle norme costituzionali si può dire che nel nostro ordinamento l’opzione di coscienza si colloca nel contesto del rapporto tra la “inviolabilità” della coscienza individuale e la “inderogabilita” dei doveri di solidarietà e di cittadinanza.

A questo punto, chiarito il fondamento costituzionale dell’opzione di coscienza, possiamo analizzare la struttura dell’istituto, che, ovviamente, discende direttamente dalle enunciazioni costituzionali.

Il problema fondamentale è quello della c.d. interpositio legislatoris che può riassumersi nel quesito se per rendere effettiva la garanzia che la costituzione riconosce all’obiettore sia necessaria una interposizione del legislatore che configuri nel caso concreto i termini del contemperamento tra le diverse situazioni giuridiche soggettive attive e passive. A nostro avviso, rimanendo nell’ambito dell’obiezione secundum legem (opzione di coscienza), deve ritenersi che, una volta riconosciuto (da una ormai consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione) il diritto costituzionale di libertà (e dunque di opzione) di coscienza, è necessario che, per le nuove obiezioni “rivendicate”, intervenga la positiva interpositio legislatoris. In altri termini, il legislatore interviene dando piena attuazione al precetto costituzionale, disciplinando le modalità esecutive dell’obiezione in modo da comporre in equilibrio i diversi valori costituzionali configgenti nella singola fattispecie, trasformandola da atto contra legem a obiezione secundum legem. È bene tenere presente che questa impostazione legittima l’intervento della Corte Costituzionale, che potrà così sindacare la legittimità costituzionale delle norme di legge ordinaria sotto il profilo del rispetto della libertà di obiezione di coscienza.

Chiarita la natura giuridica dell’opzione di coscienza e il suo fondamento costituzionale occorre ora analizzare brevemente la struttura del suo riconoscimento giuridico e i limiti che essa incontra in rapporto all’ordinamento costituzionale.

La norma che riconosce e disciplina l’opzione di coscienza tutela l’obiettore mediante la conversione (oggettiva o soggettiva) dell’obbligo giuridico in altra situazione giuridica passiva. Il legislatore prevede la possibilità di convertire un determinato obbligo imposto in un altro diverso, che consenta ugualmente di realizzare i fini e di adempiere i doveri posti alla base della previsione dell’obbligo stabilito in via principale. Così la conversione dell’obbligo giuridico diviene la tecnica mediante la quale il legislatore armonizza le diverse forme di esercizio delle libertà costituzionali e gli specifici obblighi sanciti per l’adempimento dei doveri di solidarietà. Le norme che riconoscono e disciplinano le opzioni di coscienza si possono distinguere in tre differenti modelli, a seconda della diversa situazione giuridica passiva nella quale si riconverte l’obbligo principale. Abbiamo così:

i) norme che contemplano un obbligo necessariamente maggiormente gravoso rispetto a quello previsto dalla norma oggetto di obiezione;

ii) norme che statuiscono un obbligo che può essere ugualmente gravoso;

iii) norme che pongono meri oneri per il riconoscimento della condotta obiettante.

Il caso emblematico di obiezione di coscienza – il rifiuto di adempiere agli obblighi di leva – è stato inizialmente riconosciuto mediante una norma del tipo i), infatti, la legge 772/1972 permetteva di scegliere il servizio civile sostitutivo obbligatorio di durata di 8 mesi superiore alla durata del servizio che si sarebbe dovuto svolgere. La legge 230/1998 prevedeva che l’obiettore fosse tenuto a prestare servizio civile per la durata pari a quella del servizio militare di leva scivolando così nel modello del tipo ii). Attualmente, con il venir meno dell’obbligatorietà del servizio militare in Italia (legge 333/2001) è venuta meno anche l’opzione del servizio civile per obiezione di coscienza.

Un esempio di obiezione del tipo iii) è contenuta nella legge 413/1993 che riconosce ai medici, ai ricercatori ed al personale sanitario dei ruoli dei professionisti laureati, tecnici ed infermieristici, che abbiano dichiarato all’atto della presentazione della domanda di assunzione o di partecipazione a concorso la propria obiezione di coscienza, il diritto a non prendere parte direttamente alle attività e agli interventi specificamente e necessariamente diretti alla sperimentazione animale. Questa disposizione subordina l’esercizio del diritto all’opzione di coscienza all’onere formale della dichiarazione fatta nei termini e nelle forme stabilite dalla legge.

L’obiezione all’aborto
Il caso più problematico di opzione legale di coscienza è quello previsto dall’art. 9 della legge 194/78 che stabilisce che

«Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non e’ tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. >La dichiarazione dell’obiettore deve essere comunicata al medico provinciale e, nel caso di personale dipendente dello ospedale o dalla casa di cura, anche al direttore sanitario, entro un mese dall’entrata in vigore della presente legge o dal conseguimento della abilitazione o dall’assunzione presso un ente tenuto a fornire prestazioni dirette alla interruzione della gravidanza o dalla stipulazione di una convenzione con enti previdenziali che comporti l’esecuzione di tali prestazioni. >L’obiezione può sempre essere revocata o venire proposta anche al di fuori dei termini di cui al precedente comma, ma in tale caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione al medico provinciale. L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attivita’ ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attivita’ specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento. Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalita’ previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilita’ del personale. L’obiezione di coscienza non puo’ essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attivita’ ausiliarie quando, data la particolarita’ delle circostanze, il loro personale intervento e’ indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo. L’obiezione di coscienza si intende revocata, con effetto immediato, se chi l’ha sollevata prende parte a procedure o a interventi per l’interruzione della gravidanza previsti dalla presente legge, al di fuori dei casi di cui al comma precedente».

Questa disposizione è particolarmente problematica poiché riconosce l’opzione di coscienza senza prevedere obblighi sostitutivi, ma solo alcuni deboli oneri compensativi. Occorre però sottolineare come la norma preveda espressamente che l’opzione di coscienza non possa tradursi in ostacolo alla effettiva possibilità di eseguire gli interventi interrottivi della gravidanza. Dunque, conformemente all’abito costituzionale dell’opzione di coscienza, così come sopra ricostruito, la norma va interpretata (e applicata!) nel senso che l’esplicazione della libertà di coscienza incontra un limite nell’esigenza di salvaguardare la salute della donna e, in particolare, il suo diritto di accedere al servizio pubblico di interruzione della gravidanza. Infatti, per assicurare il raggiungimento delle finalità perseguite, la legge 194, al quarto comma dell’art. 9, fa implicito riferimento al meccanismo di conversione soggettiva dell’obbligo, prevedendo il ricorso alla mobilità del personale; anzi, rivelandosi insufficiente questa misura, a causa del gran numero di obiettori, il legislatore è intervenuto nuovamente sulla materia con l’art. 1, comma 8 del D.l. 678/1981 (convertito con l. 12/1982), permettendo alle unità sanitarie locali, al fine di garantire in ogni caso gli interventi interruttivi della gravidanza, da una parte l’ampliamento delle piante organiche delle unità sanitarie locali con la contestuale copertura dei relativi posti, in deroga al blocco degli organici, dall’altra il ricorso alle consulenze professionali.

Occorre dunque sottolineare con forza che la lettera della legge, in conformità ai precetti costituzionali, impedisce che la c.d. obiezione di struttura (che coinvolge, cioè, un intero reparto), laddove essa si è determinata, faccia prevalere il diritto alla opzione del medico sul diritto della donna a interrompere la gravidanza, determinando un impedimento all’applicazione della norma vigente e quindi “un’abrogazione di fatto” della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza. Chiarita la corretta interpretazione della norma occorre comunque rilevarne criticamente la debolezza, rispetto alle finalità generali della legge sull’interruzione di gravidanza, derivante dalla scarsa strumentazione predisposta al fine di rendere effettivamente operante la conversione soggettiva dell’obbligo di erogazione della prestazione sanitaria. La norma è esplicita nello stabilire che le strutture sanitarie siano tenute in ogni caso ad assicurare l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti, ma non prevede meccanismi volti a rendere effettivo l’adempimento di tali prestazioni da parte degli enti ospedalieri. Ciò trova una conferma in alcune drammatiche realtà venutesi a creare in quelle regioni dove a causa degli elevati livelli di obiezione la diminuzione delle interruzioni volontarie di gravidanza nelle strutture pubbliche ha comportato l’aumento del fenomeno dell’aborto clandestino o il procrastinarsi dei tempi dell’intervento abortivo fino a periodi gestazionali limite, con notevole aggravio psicologico per la donna e per lo stesso operatore non obiettore. Alla luce di queste considerazioni pare davvero condivisibile la proposta di legge n. 849 presentata alla Camera dei Deputati nella XIV legislatura volta alla istituzione negli ospedali pubblici di un servizio di fisiopatologia della riproduzione (con competenze in materia di contraccezione, diagnosi prenatale, pap-test, e sterilizzazione oltre che di interruzione volontaria di gravidanza) affidato alla responsabilità un medico non obiettore. Si stabilisce inoltre che la funzionalità del servizio debba essere garantito in ogni caso da un organico medico e paramedico, che non abbia sollevato obiezione di coscienza almeno nella misura del 50 per cento. Si prevede infine l’obbligo per tutte le strutture di ricovero e cura, convenzionate con il Servizio sanitario nazionale per la ostetricia e ginecologia, di applicare la legge relativamente all’interruzione volontaria della gravidanza pena il decadimento della convenzione per il servizio di ostetricia e ginecologia. In tal modo di verrebbe ad integrare l’attuale legge sull’interruzione di gravidanza, garantendone l’effettiva applicazione in modo da impedire l’obiezione di struttura.

L’imposizione di coscienza: ”obiezione di struttura” e sabotaggio clericale
E’ bene, a questo punto, fissare due importanti principi, anticipando in parte le conclusioni della nostra riflessione. In primo luogo, la c.d. obiezione di struttura si colloca al di fuori del quadro costituzionale determinando la prevalenza del diritto alla opzione di coscienza sul diritto della donna a interrompere la gravidanza. Come visto, l’opzione è garantita come diritto costituzionale in quanto strumento di attuazione della libertà di coscienza e garanzia del principio di laicità. Un’obiezione realizzata in modo da pregiudicare un ragionevole contemperamento dei valori costituzionali in gioco, determinando il sacrificio dei doveri inderogabili di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., si pone in palese contrasto con l’abito costituzionale dell’opzione di coscienza. L’obiezione di struttura è contraria alla legge e come tale si colloca al di fuori dell’istituto dell’obiezione secundum legem (opzione di coscienza).

Potrebbe a questo punto ritenersi che i medici che con la loro obiezione di coscienza pregiudichino la piena funzionalità del servizio della struttura nella quale operano pongano in essere una obiezione contra legem del tipo di quelle rientranti nell’alveo della resistenza al potere. Si tratterebbe di gesti illegali ma giustificabili (eticamente e politicamente) alla luce di una particolare concezione dei rapporti tra individuo e potere politico. Tuttavia, a ben vedere, un obiezione di tal fatta esulerebbe completamente anche dall’ambito della resistenza al potere politico. S’è visto infatti che una caratteristica saliente dell’obiezione di coscienza è quella di non coinvolgere soggetti terzi. Per questo motivo, qualora coinvolga un intero reparto, la mancata disponibilità dei medici ginecologi di strutture sanitarie pubbliche a praticare l’operazione di aborto non può essere qualificato come “obiezione di coscienza”, neppure se intesa come forma di resistenza al potere contra legem. In questi casi il c.d. “obiettore” affronta alcuna conseguenza penale o civile. L’obiezione di struttura è, nei fatti, un’azione priva di qualsivoglia responsabilità personale e le cui conseguenze vanno a carico di un soggetto terzo (nel caso di mancata prestazione sanitaria, l’utente richiedente il servizio al sistema sanitario nazionale), contraddicendo pienamente uno dei fondamentali requisiti costitutivi dell’obiezione di coscienza come forma di resistenza al potere. Neppure la disobbedienza civile può essere richiamata, poiché difettano i fondamentali requisiti della passività e della nonviolenza. L’obiezione di struttura pare piuttosto rientrare nell’ambito del sabotaggio, tipica forma di lotta politica basata sull’eversione dell’obbligo politico, estranea ad una concezione nonviolenta dell’agire politico. E’ in quest’ottica, dunque, che vanno inquadrati gli inviti rivolti dalle massime autorità ecclesiastiche ai medici, agli operatori sanitari e, più in generale, a tutti i titolari di pubbliche funzioni.

Sono a questo punto sufficientemente chiari i limiti nell’ambito dei quali si colloca l’istituto dell’opzione di coscienza.

Un primo limite intrinseco all’istituto è dato dal suo carattere di eccezionalità. Abbiamo già considerato la tendenza alla progressiva estensione dell’ambito soggettivo e oggettivo delle opzioni di coscienza, ma è chiaro che i casi in cui la soluzione del conflitto tra valori contrapposti è rimessa alla discrezionalità del singolo individuo, specie nell’ambito dell’esercizio di pubbliche funzioni, non possono che rappresentare un ristretto numero di ipotesi. Vi sono già nel nostro ordinamento altri strumenti procedurali che dovrebbero garantire esigenze di bilanciamento e ragionevolezza (meccanismi della rappresentanza politica, il procedimento legislativo, il referendum, istituti di negoziazione legislativa, le funzioni del potere esecutivo e della pubblica amministrazione etc.).

In secondo luogo, l’opzione di coscienza cede quando confligge con altri diritti costituzionali di pari grado o, eventualmente, di grado superiore. (è il caso dell’obiezione c.d. di struttura).

Infine specifici limiti all’opzione di coscienza riguardano situazioni particolarmente qualificate sotto il profilo soggettivo. E’ il caso di cittadini investiti di pubbliche funzioni, tenuti in ragione del proprio status ad un determinato comportamento. In tali casi, la prevalenza dell’obbligo sul diritto individuale all’opzione deriva come conseguenza necessaria dei sopraesposti precetti costituzionali: la “pubblica funzione” prevale sull’opzione di coscienza individuale, a meno che il legislatore non sia intervenuto (interpositio legislatoris) prevedendo adeguati meccanismi di conversione dell’obbligo in funzione compensativa.

Il caso emblematico è proprio quello della c.d. “pillola del giorno dopo” dal quale ha preso le mosse la nostra analisi. In questa ipotesi sussiste una chiaro obbligo a carico del farmacista sancito espressamente dall’art. 38 del D.R. del 30 settembre 1938 n. 1706 a norma del quale

«I farmacisti non possono rifiutarsi di vendere le specialità medicinali di cui siano provvisti e di spedire ricette firmate da un medico per medicinali esistenti nella farmacia. I farmacisti richiesti di specialità medicinali nazionali, di cui non siano provvisti, sono tenuti a procurarle nel più breve tempo possibile, purché il richiedente anticipi l’ammontare delle spese di porto».

Taluno ha invocato, a fronte di questo chiaro dettato normativo, la prevalenza dell’art. 9 della legge 194/1978. L’argomento è infondato poiché quest’ultima disposizione si riferisce al caso dell’interruzione di gravidanza praticata da un medico del servizio ostetrico-ginecologico presso le strutture sanitarie autorizzate. La fattispecie differisce dunque sia sotto il profilo oggettivo, mancando in questo caso una interruzione di gravidanza, sia sotto il profilo soggettivo, dato che la disposizione si riferisce chiaramente al medico del servizio ginecologico e non al farmacista che eroga il servizio farmaceutico. Piuttosto occorre ricordare che la stessa legge 194/1974 all’art. 2, comma 3, ult. parte precisa che

«La somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile e’ consentita anche ai minori.»

La legge, dunque, non prevede l’opzione di coscienza del farmacista alla vendita della pillola del giorno dopo. Questa condotta è oggi illecita, costituisce una grave abdicazione del farmacista alla propria funzione pubblica, sino a quando il legislatore non interverrà predisponendo adeguati meccanismi di conversione dell’obbligo di cui all’art. 38 cit., al fine di tutelare l’obiezione di coscienza del farmacista e salvaguardare al contempo la funzionalità del servizio farmaceutico garantendo l’accesso al farmaco nei tempi necessari alla sua efficacia.

Stupiscono, non poco, la prese di posizione in merito di quei medici - singolarmente preoccupati più dell’efficacia politica del loro rifiuto che delle conseguenze in termini di negazione dei diritti degli utenti – i quali affermano che in tal caso l’obiezione di coscienza consentirebbe a chi subisce la legge di sottrarvisi, rilevando il proprio dissenso utile per successive revisioni migliorative della stessa. In tal modo, non solo si confondono in modo grossolano le condotte di obiezione di coscienza con quelle di disobbedienza civile, ma si dimenticano colpevolmente sia i limiti legali dell’obiezione di coscienza, sia i tratti salienti (da un punto di vista etico-politico) del non coinvolgimento di terzi con le conseguenze della propria trasgressione (e delle proprie convinzioni). S’è già detto come tali comportamenti rientrino più correttamente nell’ambito del sabotaggio, storicamente noto come strumento violento di lotta politica e di condizionamento delle scelte politiche delle pubbliche autorità e che, dal punto di vista strettamente giuridico, spesso si traduce nella commissione di fatti penalmente rilevanti.

In conclusione, in questo caso, come nel caso dell’obiezione di struttura e negli altri casi in cui il cittadino è investito di pubbliche funzioni, l’obiezione di coscienza, diviene espressione di un diritto all’intolleranza religiosa e si traduce in un strumento di negazione del principio di laicità, anteponendo le convinzioni individuali della persona fisica titolare di una “pubblica funzione” al pieno rispetto dei doveri derivanti dal suo officium. L’obiezione, da diritto fondato sulla laicità e sul rispetto della coscienza individuale, diviene strumento di attacco al principio di laicità, attraverso il sabotaggio delle “pubbliche funzioni”: l’obiezione diviene “imposizione” di coscienza.

[Modificato da pcerini 31/10/2007 12:45]
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Continua il dibattito sull'intervento del Papa sul diritto dei farmacisti all'obiezione di coscienza: il commento di Pietro Uroda, presidente dei Farmacisti cattolici

Continua a far discutere il recente intervento del Papa sul diritto dei farmacisti all'obiezione di coscienza per “non collaborare, direttamente o indirettamente, alla fornitura di prodotti aventi per scopo scelte chiaramente immorali, come ad esempio l’aborto e l’eutanasia”. Il presidente del Movimento per la Vita in Italia, Carlo Casini, ha affermato che la legge 194 sull’interruzione di gravidanza, interpretata in modo corretto, prevede il diritto all’obiezione, per esempio, nel caso della pillola abortiva. Manuela Campanile ha sentito in proposito Pietro Uròda, presidente dell’Unione Cattolica Farmacisti Italiani:

R. – La faccenda presenta due aspetti. Non c’è nessuna legge precisa che ci consenta l’obiezione di coscienza, però, il combinato disposto, come si dice, di alcune leggi e di alcune sentenze, ci consente di poter affrontare l’eventuale giudizio con delle coperture. Per esempio, secondo l’art. 54 del codice penale, se uno compie un’infrazione ad una legge per salvare qualcuno è esentato dalla punizione, se spinto da cause maggiori. Quindi, noi per salvare l’embrione ci rifiutiamo di dare la pillola del giorno dopo. Ci sono delle sentenze della Corte di Cassazione sul diritto dell’embrione, c'è la legge 40. Per cui noi riteniamo di poterci difendere a livello giudiziario. Altrimenti, rimane il fatto di principio. Noi non vogliamo accettare di dare la morte a qualcuno. Siccome l’embrione - è un fatto scientificamente dimostrato - è una vita umana, noi riteniamo che vada sostenuto e difeso.

D. – Quindi lei è obiettore...

R. – Sì, io non ho mai venduto la pillola abortiva.

D. – Ci può raccontare un’esperienza nata dal suo essere obiettore di coscienza?

R. – Io ho avuto un caso – mi ricordo benissimo – di una signora che mi aveva chiesto un prodotto per abortire e gliel’ho negato. Abbiamo avuto modo di parlarne e questa persona, dopo qualche anno, mi ha fatto vedere un bellissimo bambino, dicendomi che era stato merito del mio discorso se lei aveva rinunciato a sopprimerlo.

D. – A chi le rinfacciasse che prima di tutto bisogna essere deontologicamente corretti cosa rispondere?

R. – Che io sono deontologicamente corretto. Il nostro codice deontologico dice che noi siamo al servizio della vita. Noi non riteniamo questo prodotto un farmaco, perchè non cura niente. E’ un prodotto farmaceutico, non è un farmaco. E’ un prodotto farmaceutico, che serve ad uccidere un embrione eventuale. Se non uccide un embrione eventuale fa altri danni. A Perugia hanno denunciato che i casi di gravidanza extrauterina sono significativamente molto più alti in persone che hanno usato la pillola del giorno dopo, perché viene somministrata, gettata nell’organismo, una bomba ormonale. E’ un fatto molto grave che non viene documentato: la parte tossicologica di questo prodotto viene minimizzata o addirittura coperta.










«Obiezione per i farmacisti? Lo esige la 194»

Casini (MpV) risponde al ministro Turco e Federfarma Santolini (Udc): «La pillola del giorno dopo è un abortivo»

ROMA. Una corretta interpretazione della legge 194 sull’interruzione di gravidanza esige che i farmacisti abbiano la facoltà di dichiarare la loro obiezione di coscienza rifiutando la collaborazione ad un possibile aborto. Lo mette in chiaro il presidente del Movimento per la Vita, Carlo Casini, rispondendo al ministro Livia Turco e a Federfarma, che invocano la legge per negare la possibilità dell’obiezione. Che la pillola del giorno dopo provochi l’aborto, precisa Casini, è dimostrato anche dalla sentenza del Tar del Lazio che ha imposto di «specificare tale possibilità nel foglio illustrativo». Il problema non si pone per la Ru486 perché avrà uso esclusivamente ospedaliero.
«L’obiezione di coscienza – afferma l’azzurra Isabella Bertolini – riconosciuta dal nostro ordinamento giuridico a favore di molte categorie professionali, permette, ai farmacisti che lo vogliano, di rispettare l’invito di Benedetto XVI in difesa della vita umana, nel pieno rispetto della normativa vigente». La Turco, insiste la udc Luisa Capitanio Santolini, «ignora che l’obiezione è prevista dalla legge in campo militare e sanitario, e che i farmacisti fanno parte del personale sanitario, come previsto dall’articolo 9 della Legge 194/78 e come testimoniano le disposizioni normative fondamentali ripetutesi dal 1934 ad oggi». A guidare il fronte avverso all’obiezione, il radicale Marco Cappato che rovescia le carte in tavola invitando a «denunciare i farmacisti che attuano 'l’imposizione di coscienza'». Ma replica Riccardo Pedrizzi di An: i farmacisti possono legittimamente rifiutarsi di vendere una pillola abortiva ed «è giusto che per loro sia prevista una tutela giuridica». Dire che il monito del Papa non deve essere preso in considerazione, avverte Maurizio Lupi di Fi, è un giudizio che dimostra «una totale chiusura ideologica». «La Turco – ammonisce Olimpia Tarzia, vicepresidente della Confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana, – anziché impedire ai farmacisti il diritto all’obiezione di coscienza, si dovrebbe maggiormente preoccupare della vendita sempre più frequente della pillola del giorno dopo alle minorenni, con conseguenti rischi per la salute ed inevitabile spinta diseducativa».







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Diceva Rabbi Yeudà in nome di Rav:"Dodici ore ci sono nel giorno: nelle prime tre il Santo, benedetto sia, si dedica alla Torà; nelle seconde tre giudica tutto il mondo e, quando vede che questo meriterebbe la distruzione, si alza dal trono del Giudizio e si siede su quello della Misericordia...(b'Avodà zarà 3b)
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01/11/2007 16:52
 
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Re X Maurif

Sei il reggi pitale di B.16 !!!! [SM=x1061908] [SM=x1061908] [SM=x1061908] [SM=x1061908] [SM=x1061908] [SM=x1061908] [SM=x1061908] [SM=x1061908]

Un doppio vaffanculo ci sta bene a tutti e due!!!!! [SM=x1061910] [SM=x1061910] [SM=x1061910] [SM=x1061910] [SM=x1061910] [SM=x1061910] [SM=x1061910] [SM=x1061910]


omega [SM=x1061912] [SM=x1061912] [SM=x1061912]



O=============O===========O

Se la vita ti sorride,ha una paresi.(Paco D'Alcatraz)

Il sonno della ragione genera mostri. (Goya)

Apocalisse Laica

Querdenker evangelico anticonvenzionale del 1° secolo. "Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam!" g.b.--In nece renascor integer ./Satis sunt mihi pauci,satis est unus,satis est nullus. Seneca-Ep.VII,11


Vivo fra lo Stato Sovrano della Fica e la Repubblica Popolare del Cazzo
01/11/2007 22:07
 
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Io dico solo una cosa,sembra proprio che Ratzinger abbia preso di mira l'Italia nel tentativo di trasformarla sul modello etico cattolico,evidentemente,visto che ci tiene tanto,allora perche' la sua farmacia non consente di dare gratuitamente oppure ad un costo contenuto certi farmaci costosissimi che in Italia non si trova?

(morale per morale)


Ormai Ratzinger sta facendo vera e propria politica,ma come si permette un capo di Stato Estero interferire negli affari politico-legislativi di un'altro stato?


Visto che si parla di legge 54,allora che Ratzinger corra lo stesso rischio di chi intenda adottare una obiezione di coscienza contra-legem,fino a che non verra' regolata questa obiezione in opzione segundum legem,percio',che subisca gli stessi processi di coloro che obietteranno nel rilascio della pillola abortiva.

In secondo luogo,aver dimostrato scientificamente che l'embrione sia un'essere umano e' tendenzioso e inesatto,non e' stato ancora dimostrato che gli zogoti e i feti delle prime due settimane siano una vera persona,la citazione di MauriF percio' e' tendenziosa perche' vorrebbe dire che la scienza lo avrebbe dimostrato gia' a partire dal'atto della fecondazione,cosa assolutamente falsa.

Secondo l'analisi del giurista dei radicali,Ratzinger starebbe incitando ad un vero e proprio sabotaggio e percio' anche lui dovrebbe essere penalmente perseguibile.


La soluzione e' semplice,visto che Ratzinger non puo' pretendere di avere il copyright della vita e della coscienza di tutti i cittadini italiani (e' mai possibile che non voglia riconoscere che oggi l'Italia e' una repubblica e non una teocrazia? E' cosi' difficile accettare che ormai l'Italia e' orientata al pluralismo etico e culturale a scanso di quei politici che la vorrebbero ricattolicizzare eticamente in toto?).Una tale soluzione sarebbe:

1. Lo stato deve garantire su tutto il territorio nazionale e capillarmente la vendita della pillola.

2. I farmacisti di orientamento cattolico posso rifiutarsi di venderla.

3. Il cittadino si orienta alla farmacia dove sa di poter comprare il prodotto di cui necessita.

4. La distribuzione territoriale delle farmacie "cattoliche" e "laiche" deve essere tale da poter consentire comodamente a chi desidera la pillola di poterla avere senza farsi decine di chilometri.



da www.korazym.org/news1.asp?Id=25952
Lo sapevate che…






Farmacisti e obiezione di coscienza. Un diritto che fa discutere

di Mattia Bianchi/ 30/10/2007

L'appello del papa all'obiezione di coscienza dei farmacisti divide. Nel mondo politico si ripresentano le contrapposizioni ideologiche tipiche del dibattito sui temi etici, mentre anche le associazioni di categoria non stanno a guardare.

Come era prevedibile, l'appello del papa all'obiezione di coscienza dei farmacisti sta facendo discutere. Nel mondo politico si ripresentano le contrapposizioni ideologiche tipiche del dibattito sui temi etici, mentre anche le associazioni di categoria non stanno a guardare. Al centro della discussione, l'idea dell'obiezione come "diritto riconosciuto", specie in caso di medicine con "scopi immorali", come aborto ed eutanasia. Benedetto XVI aveva trattato ad ampio raggio questi temi nell'udienza che ha concesso ai partecipanti al congresso internazionale dei farmacisti cattolici, nel giorno in cui in Cile il ministero della Salute ha imposto una multa di 33 milioni di pesos a tre catene farmaceutiche che non vendono la pillola abortiva.

Già in giornata, Franco Caprino, presidente di Federfarma, l'associazione che riunisce le 16 mila farmacie italiane, e l'Ordine dei farmacisti avevano fatto sapere che senza una modifica della legge, l'obiezione dei farmacisti non è possibile. "Siamo costretti, - aveva detto Caprino - dietro prescrizione medica, a consegnare il farmaco o a procurarlo, se non disponibile, nel più breve tempo possibile. Se non si modifica l'articolo 38 del testo unico delle leggi sanitarie non si può fare altrimenti".

In serata, tuttavia, il diritto all'obiezione è stato riaffermato con forza dal direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, in un'intervista a Skytg24. ''I farmacisti, proprio come i medici - ha spiegato padre Lombardi - sono chiamati esplicitamente a non collaborare a ciò che va contro la vita in modo diretto''. E ancora: ''In questo discorso, il papa ribadisce un concetto classico che è già stato chiarito varie volte anche dall Accademia Vaticana per la Vita. Quella della richiesta dell'obiezione di coscienza è una linea molto chiara con cui la Chiesa pensa di poter testimoniare il suo servizio alla vita nella società di oggi". Concetto condiviso anche dai farmacisti cattolici che attraverso il presidente Pietro Uroda, fanno sapere di essere "intransigenti sull'obiezione di coscienza perché è una posizione a difesa della vita''. E ''non è vero che non è possibile fare oggi obiezione: ci sono - ha detto respingendo quanto affermato da Ordine e Federfarma - appigli legali tali da giustificare il no dei farmacisti a certi prodotti''.

La posizione del papa non piace tuttavia a diverse organizzazioni. Federcasalinghe parla di abuso, mentre la Consulta di bioetica ricorda che è obbligatorio prestare servizi ai cittadini, ''indipendentemente da pregiudizi derivanti dalla sacralità della vita''. Nessuno, dice il presidente Maurizio Mori, ''nega il diritto all'obiezione di coscienza di farmacisti privati in condizioni normali, quando cioè ci sono altri professionisti che possono eventualmente soddisfare le esigenze dei cittadini. Il problema si pone nel caso delle farmacie pubbliche e di quelle private uniche sul territorio''. In questo caso, sottolinea, ''la presunta obiezione di coscienza risulta essere una mancata erogazione di servizi dovuti''.

Scontata la posizione dei Radicali che, con il medico Silvio Viale, accusano il papa di essere in difficoltà sui diritti civili in tutto il mondo e di ricorrere all'obiezione come "ultima spiaggia per ricattare i Governi e imporre ai cattolici la propria volontà".



un vecchio dibattito:
da isole.ecn.org/reds/donne/italia/italiaembrione0302.html

NON LEGIFERARE SUL NOSTRO CORPO
IL 27 MARZO LA XII COMMISSIONE AFFARI SOCIALI DELLA CAMERA INIZIERA' A DISCUTERE SULLE TECNICHE DI RIPRODUZIONE ASSISTITA. PUBBLICHIAMO L'APPELLO PROMOSSO DAL TAVOLO DI DONNE SULLA BIOETICA E INVITIAMO TUTTE AD INVIARLO FIRMATO ALLA COMMISSIONE STESSA PRIMA DELL'INIZIO DELLA DISCUSSIONE, ALL'INDIRIZZO CHE PONIAMO IN CALCE ALL'APPELLO



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marzo 2002

Il parlamento italiano si appresta a discutere e ad approvare una legge sulla fecondazione assistita che di fatto riconosce all'embrione statuto di persona: si tratta di una via subdola intesa ad abrogare di fatto la legge 194 sull'interruzione di gravidanza. Una legge invasiva sul corpo e sulla libertà delle donne è fuori luogo. Basta un regolamento del Ministro della Sanità per controllare i centri pubblici e privati che praticano le TRA, come già aveva proposto il Tavolo di donne sulla bioetica, che nella passata legislatura era riuscito, con l'aiuto di alcuni/e senatori/trici, a bloccare una legge pericolosa, da cui oggi si vorrebbe ripartire per peggiorarla.
La nascita non dipenderebbe dal desiderio e dalla volontà di una donna, la gestazione non sarebbe più un intreccio di relazione madre/figlio/a. Piccoli individui uscirebbero da un contenitore artificiale, fuori dal corpo, dal cervello, dal cuore di una donna. Come in esilio.
Il tentativo di legiferare sul corpo e sul desiderio delle donne comporta la definizione degli esseri umani sulla base di "identità genetiche"; riduce la vita a un puro atto di fusione dei gameti e la scelta della maternità/paternità alla trasmissione del corredo cromosomico; pone tutte le differenze su un piano strettamente biologico.
Siamo decisamente di fronte ad un grave attacco alla laicità dello Stato: le leggi regionali sulla famiglia (come sta accadendo nel Lazio) tendono a bloccare le donne nella funzione di mogli e madri legalmente riconosciute e si apprestano a concedere assistenza, denaro e diritti solo alle coppie eterosessuali santificate dal matrimonio.
La materia della riproduzione e la connessa autodeterminazione delle donne è di grandissima portata, rappresenta la base dell'identità femminile e del suo diritto di cittadinanza, indica una strada per legiferare in materie nuove e difficili attraverso un dibattito ampio, reale; suggerisce un rapporto ricco di umanità con la ricerca scientifica non astratta, ma relazionata ai corpi viventi pensanti ed emozionati dalle esperienze di vita che attraversano. Vogliamo una politica che di tutto ciò faccia tesoro, non scempio e siamo certe che la vita dell'intera specie umana si libererà, sarà più piena, solidale e vitale se a noi donne sarà riconosciuto il diritto che ci spetta storicamente e persino per "natura" di decidere e indicare il valore umano, etico, sociale e politico del mettere liberamente al mondo figli e figlie proprie o di accettare e amare figli e figlie di altre donne senza una orribile mediazione giuridica, che smembra la vita e pone noi donne in conflitto con ciò che abbiamo nel nostro corpo. In altro modo, opponendo alla madre l'embrione si offende la nostra appartenenza alla specie umana e si riduce la donna a corpo artificiale.
Sappiamo che le destre e le gerarchie ecclesiastiche in Italia non si rassegnano ad accettare una legge (la 194) che - proprio riconoscendo l'autodeterminazione delle donne - ha ridotto il ricorso all'aborto. Se la sciagurata proposta attuale dovesse passare renderemo subito noti i nomi dei e delle parlamentari che avessero votato a favore e ci impegniamo a fare una campagna contro la loro rielezione; raccoglieremo immediatamente le firme per un referendum abrogativo.

Inviate l'appello firmato a questo indirizzo:
on. Giuseppe Palumbo - presidente della XII Commissione Affari sociali
e-mail: PALUMBO_G@camera.it


[Modificato da pcerini 01/11/2007 23:33]
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01/11/2007 23:27
 
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Re: Re X Maurif
=omegabible=, 01/11/2007 16.52:


Sei il reggi pitale di B.16 !!!!

Un doppio vaffanculo ci sta bene a tutti e due!!!!!




Intanto continuate pure a rosicare! [SM=x1061910] [SM=x1061910]

NON CE LA FARETE A FARE AMMAZZARE OBBLIGATORIAMENTE I BAMBINI ALLA GENTE!!!








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Diceva Rabbi Yeudà in nome di Rav:"Dodici ore ci sono nel giorno: nelle prime tre il Santo, benedetto sia, si dedica alla Torà; nelle seconde tre giudica tutto il mondo e, quando vede che questo meriterebbe la distruzione, si alza dal trono del Giudizio e si siede su quello della Misericordia...(b'Avodà zarà 3b)
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01/11/2007 23:34
 
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Diamo la voce a chi porta la LUCE sulla terra!! Dove c'è tanto buio!!!


Secondo l’art. 54 del codice penale, se uno compie un’infrazione ad una legge per salvare qualcuno è esentato dalla punizione, se spinto da cause maggiori. Quindi, noi per salvare l’embrione ci rifiutiamo di dare la pillola del giorno dopo. Ci sono delle sentenze della Corte di Cassazione sul diritto dell’embrione, c'è la legge 40. Per cui noi riteniamo di poterci difendere a livello giudiziario. Altrimenti, rimane il fatto di principio. Noi non vogliamo accettare di dare la morte a qualcuno. Siccome l’embrione - è un fatto scientificamente dimostrato - è una vita umana, noi riteniamo che vada sostenuto e difeso.



Isaia 49:15 Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se queste donne si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.



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Diceva Rabbi Yeudà in nome di Rav:"Dodici ore ci sono nel giorno: nelle prime tre il Santo, benedetto sia, si dedica alla Torà; nelle seconde tre giudica tutto il mondo e, quando vede che questo meriterebbe la distruzione, si alza dal trono del Giudizio e si siede su quello della Misericordia...(b'Avodà zarà 3b)
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01/11/2007 23:54
 
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SE TI SERVE UNA CRUNA
CHIAMAMI


[SM=g1380270] [SM=x1061946] [SM=x1061946] [SM=x1061946] [SM=x1061946] [SM=x1061946] [SM=x1061946] [SM=x1061946] [SM=x1061946] [SM=x1061946] [SM=x1061946] [SM=x1061946]


P.S.

DI AL TUO PAPA CHE LA BIBBIA E' INADEGUATA, NON CI SI PUO' FIDARE DI UN LIBRO ANTICO PER FARSI GUIDARE OGGI.

CHISSA COSA AVREBBE DETTO ALL'INGEGNERE SPAZIALE ITALIANO CON CUI HA CONVERSATO NAPOLITANO

FORSE GLI AVREBBE CHIESTO SE SCORGEVA QUALCHE ENTITA' SUPERIORE ?
[SM=x1061943] [SM=x1061943] [SM=x1061946] [SM=x1061946] [SM=x1061946] [SM=x1061946] [SM=x1061946] [SM=x1061946] [SM=x1061946]
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01/11/2007 23:57
 
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TU LA COMPRERESTI UNA CARTINA STRADALE VECCHIA DI 10 ANNI PER
FARTI GUIDARE ??
02/11/2007 00:22
 
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A forza di essere ripetitivo,riporto di nuovo la mia risposta,aggiungendo che il fondamentalismo etico cattolico va arginato,bisogna tutelare anche i diritti e le idee di chi non e' credente o di chi non e' cattolico.
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Io dico solo una cosa,sembra proprio che Ratzinger abbia preso di mira l'Italia nel tentativo di trasformarla sul modello etico cattolico,evidentemente,visto che ci tiene tanto,allora perche' la sua farmacia non consente di dare gratuitamente oppure ad un costo contenuto certi farmaci costosissimi che in Italia non si trova?

(morale per morale)


Ormai Ratzinger sta facendo vera e propria politica,ma come si permette un capo di Stato Estero interferire negli affari politico-legislativi di un'altro stato?


Visto che si parla di legge 54,allora che Ratzinger corra lo stesso rischio di chi intenda adottare una obiezione di coscienza contra-legem,fino a che non verra' regolata questa obiezione in opzione segundum legem,percio',che subisca gli stessi processi di coloro che obietteranno nel rilascio della pillola abortiva.

In secondo luogo,aver dimostrato scientificamente che l'embrione sia un'essere umano e' tendenzioso e inesatto,non e' stato ancora dimostrato che gli zogoti e i feti delle prime due settimane siano una vera persona,la citazione di MauriF percio' e' tendenziosa perche' vorrebbe dire che la scienza lo avrebbe dimostrato gia' a partire dal'atto della fecondazione,cosa assolutamente falsa.

Secondo l'analisi del giurista dei radicali,Ratzinger starebbe incitando ad un vero e proprio sabotaggio e percio' anche lui dovrebbe essere penalmente perseguibile.


La soluzione e' semplice,visto che Ratzinger non puo' pretendere di avere il copyright della vita e della coscienza di tutti i cittadini italiani (e' mai possibile che non voglia riconoscere che oggi l'Italia e' una repubblica e non una teocrazia? E' cosi' difficile accettare che ormai l'Italia e' orientata al pluralismo etico e culturale a scanso di quei politici che la vorrebbero ricattolicizzare eticamente in toto?).Una tale soluzione sarebbe:

1. Lo stato deve garantire su tutto il territorio nazionale e capillarmente la vendita della pillola.

2. I farmacisti di orientamento cattolico posso rifiutarsi di venderla.

3. Il cittadino si orienta alla farmacia dove sa di poter comprare il prodotto di cui necessita.

4. La distribuzione territoriale delle farmacie "cattoliche" e "laiche" deve essere tale da poter consentire comodamente a chi desidera la pillola di poterla avere senza farsi decine di chilometri.



da www.korazym.org/news1.asp?Id=25952
Lo sapevate che…






Farmacisti e obiezione di coscienza. Un diritto che fa discutere

di Mattia Bianchi/ 30/10/2007

L'appello del papa all'obiezione di coscienza dei farmacisti divide. Nel mondo politico si ripresentano le contrapposizioni ideologiche tipiche del dibattito sui temi etici, mentre anche le associazioni di categoria non stanno a guardare.

Come era prevedibile, l'appello del papa all'obiezione di coscienza dei farmacisti sta facendo discutere. Nel mondo politico si ripresentano le contrapposizioni ideologiche tipiche del dibattito sui temi etici, mentre anche le associazioni di categoria non stanno a guardare. Al centro della discussione, l'idea dell'obiezione come "diritto riconosciuto", specie in caso di medicine con "scopi immorali", come aborto ed eutanasia. Benedetto XVI aveva trattato ad ampio raggio questi temi nell'udienza che ha concesso ai partecipanti al congresso internazionale dei farmacisti cattolici, nel giorno in cui in Cile il ministero della Salute ha imposto una multa di 33 milioni di pesos a tre catene farmaceutiche che non vendono la pillola abortiva.

Già in giornata, Franco Caprino, presidente di Federfarma, l'associazione che riunisce le 16 mila farmacie italiane, e l'Ordine dei farmacisti avevano fatto sapere che senza una modifica della legge, l'obiezione dei farmacisti non è possibile. "Siamo costretti, - aveva detto Caprino - dietro prescrizione medica, a consegnare il farmaco o a procurarlo, se non disponibile, nel più breve tempo possibile. Se non si modifica l'articolo 38 del testo unico delle leggi sanitarie non si può fare altrimenti".

In serata, tuttavia, il diritto all'obiezione è stato riaffermato con forza dal direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, in un'intervista a Skytg24. ''I farmacisti, proprio come i medici - ha spiegato padre Lombardi - sono chiamati esplicitamente a non collaborare a ciò che va contro la vita in modo diretto''. E ancora: ''In questo discorso, il papa ribadisce un concetto classico che è già stato chiarito varie volte anche dall Accademia Vaticana per la Vita. Quella della richiesta dell'obiezione di coscienza è una linea molto chiara con cui la Chiesa pensa di poter testimoniare il suo servizio alla vita nella società di oggi". Concetto condiviso anche dai farmacisti cattolici che attraverso il presidente Pietro Uroda, fanno sapere di essere "intransigenti sull'obiezione di coscienza perché è una posizione a difesa della vita''. E ''non è vero che non è possibile fare oggi obiezione: ci sono - ha detto respingendo quanto affermato da Ordine e Federfarma - appigli legali tali da giustificare il no dei farmacisti a certi prodotti''.

La posizione del papa non piace tuttavia a diverse organizzazioni. Federcasalinghe parla di abuso, mentre la Consulta di bioetica ricorda che è obbligatorio prestare servizi ai cittadini, ''indipendentemente da pregiudizi derivanti dalla sacralità della vita''. Nessuno, dice il presidente Maurizio Mori, ''nega il diritto all'obiezione di coscienza di farmacisti privati in condizioni normali, quando cioè ci sono altri professionisti che possono eventualmente soddisfare le esigenze dei cittadini. Il problema si pone nel caso delle farmacie pubbliche e di quelle private uniche sul territorio''. In questo caso, sottolinea, ''la presunta obiezione di coscienza risulta essere una mancata erogazione di servizi dovuti''.

Scontata la posizione dei Radicali che, con il medico Silvio Viale, accusano il papa di essere in difficoltà sui diritti civili in tutto il mondo e di ricorrere all'obiezione come "ultima spiaggia per ricattare i Governi e imporre ai cattolici la propria volontà".



un vecchio dibattito:
da isole.ecn.org/reds/donne/italia/italiaembrione0302.html

NON LEGIFERARE SUL NOSTRO CORPO
IL 27 MARZO LA XII COMMISSIONE AFFARI SOCIALI DELLA CAMERA INIZIERA' A DISCUTERE SULLE TECNICHE DI RIPRODUZIONE ASSISTITA. PUBBLICHIAMO L'APPELLO PROMOSSO DAL TAVOLO DI DONNE SULLA BIOETICA E INVITIAMO TUTTE AD INVIARLO FIRMATO ALLA COMMISSIONE STESSA PRIMA DELL'INIZIO DELLA DISCUSSIONE, ALL'INDIRIZZO CHE PONIAMO IN CALCE ALL'APPELLO



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marzo 2002

Il parlamento italiano si appresta a discutere e ad approvare una legge sulla fecondazione assistita che di fatto riconosce all'embrione statuto di persona: si tratta di una via subdola intesa ad abrogare di fatto la legge 194 sull'interruzione di gravidanza. Una legge invasiva sul corpo e sulla libertà delle donne è fuori luogo. Basta un regolamento del Ministro della Sanità per controllare i centri pubblici e privati che praticano le TRA, come già aveva proposto il Tavolo di donne sulla bioetica, che nella passata legislatura era riuscito, con l'aiuto di alcuni/e senatori/trici, a bloccare una legge pericolosa, da cui oggi si vorrebbe ripartire per peggiorarla.
La nascita non dipenderebbe dal desiderio e dalla volontà di una donna, la gestazione non sarebbe più un intreccio di relazione madre/figlio/a. Piccoli individui uscirebbero da un contenitore artificiale, fuori dal corpo, dal cervello, dal cuore di una donna. Come in esilio.
Il tentativo di legiferare sul corpo e sul desiderio delle donne comporta la definizione degli esseri umani sulla base di "identità genetiche"; riduce la vita a un puro atto di fusione dei gameti e la scelta della maternità/paternità alla trasmissione del corredo cromosomico; pone tutte le differenze su un piano strettamente biologico.
Siamo decisamente di fronte ad un grave attacco alla laicità dello Stato: le leggi regionali sulla famiglia (come sta accadendo nel Lazio) tendono a bloccare le donne nella funzione di mogli e madri legalmente riconosciute e si apprestano a concedere assistenza, denaro e diritti solo alle coppie eterosessuali santificate dal matrimonio.
La materia della riproduzione e la connessa autodeterminazione delle donne è di grandissima portata, rappresenta la base dell'identità femminile e del suo diritto di cittadinanza, indica una strada per legiferare in materie nuove e difficili attraverso un dibattito ampio, reale; suggerisce un rapporto ricco di umanità con la ricerca scientifica non astratta, ma relazionata ai corpi viventi pensanti ed emozionati dalle esperienze di vita che attraversano. Vogliamo una politica che di tutto ciò faccia tesoro, non scempio e siamo certe che la vita dell'intera specie umana si libererà, sarà più piena, solidale e vitale se a noi donne sarà riconosciuto il diritto che ci spetta storicamente e persino per "natura" di decidere e indicare il valore umano, etico, sociale e politico del mettere liberamente al mondo figli e figlie proprie o di accettare e amare figli e figlie di altre donne senza una orribile mediazione giuridica, che smembra la vita e pone noi donne in conflitto con ciò che abbiamo nel nostro corpo. In altro modo, opponendo alla madre l'embrione si offende la nostra appartenenza alla specie umana e si riduce la donna a corpo artificiale.
Sappiamo che le destre e le gerarchie ecclesiastiche in Italia non si rassegnano ad accettare una legge (la 194) che - proprio riconoscendo l'autodeterminazione delle donne - ha ridotto il ricorso all'aborto. Se la sciagurata proposta attuale dovesse passare renderemo subito noti i nomi dei e delle parlamentari che avessero votato a favore e ci impegniamo a fare una campagna contro la loro rielezione; raccoglieremo immediatamente le firme per un referendum abrogativo.

Inviate l'appello firmato a questo indirizzo:
on. Giuseppe Palumbo - presidente della XII Commissione Affari sociali
e-mail: PALUMBO_G@camera.it
[Modificato da pcerini 02/11/2007 00:26]
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02/11/2007 00:28
 
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Stai attento perchè c'è qualche archeologo che ha trovato talune città che sul GPS non esistevano...mentre sulla Bibbia erano indicate scrupolosamente... [SM=x1061909]


Dai...vai a letto, non fa male...non fa male.

Puoi resistere... [SM=g1380275]



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Diceva Rabbi Yeudà in nome di Rav:"Dodici ore ci sono nel giorno: nelle prime tre il Santo, benedetto sia, si dedica alla Torà; nelle seconde tre giudica tutto il mondo e, quando vede che questo meriterebbe la distruzione, si alza dal trono del Giudizio e si siede su quello della Misericordia...(b'Avodà zarà 3b)
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Re: Diamo la voce a chi porta la LUCE sulla terra!! Dove c'è tanto buio!!!


Cavoli spiace anche a me essere ripetitivo, ma perchè non sfugga alla gente l'enorme rosicata che si fanno ste ANTI-BAMBINI...




Secondo l’art. 54 del codice penale, se uno compie un’infrazione ad una legge per salvare qualcuno è esentato dalla punizione, se spinto da cause maggiori. Quindi, noi per salvare l’embrione ci rifiutiamo di dare la pillola del giorno dopo. Ci sono delle sentenze della Corte di Cassazione sul diritto dell’embrione, c'è la legge 40. Per cui noi riteniamo di poterci difendere a livello giudiziario. Altrimenti, rimane il fatto di principio. Noi non vogliamo accettare di dare la morte a qualcuno. Siccome l’embrione - è un fatto scientificamente dimostrato - è una vita umana, noi riteniamo che vada sostenuto e difeso.



Isaia 49:15 Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se queste donne si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.









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Diceva Rabbi Yeudà in nome di Rav:"Dodici ore ci sono nel giorno: nelle prime tre il Santo, benedetto sia, si dedica alla Torà; nelle seconde tre giudica tutto il mondo e, quando vede che questo meriterebbe la distruzione, si alza dal trono del Giudizio e si siede su quello della Misericordia...(b'Avodà zarà 3b)
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02/11/2007 00:44
 
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FICCATELO IN QUELLA TESTA MALATA


I testi biblici non dicono nulla sul tema dell'interruzione volontaria della gravidanza, nè sullo statuto morale dell'embrione. Piutosto trattano la persona umana di essere autonomo e responsabile. Gesù stesso è molto critico di sanzioni giuridiche: "Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!" (Luca 11:46). "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei" (Giovanni 8:7). Non è dunque lecito invocare la Bibbia per esigere la minaccia penale in materia.
Per una vera protezione della vita
Proteggere la vita non può significare proteggere l'embrione a qualsiasi costo. Significa:

proteggere le aspirazioni e le prospettive di vita delle donne;
prevenire le gravidanze indesiderate e favorire la possibilità che ogni bambino sia desiderato;
creare le condizioni, con una politica sociale, per favorire una maternità responsabile e consapevole e il benessere complessivo della famiglia.
Vietare il ricorso all'aborto non è un mezzo adeguato di protezione della vita. Piuttosto, le leggi restrittive spingono le donne nell'illegalità, mettendo a repentaglio la loro salute e la loro vita .
[Modificato da ®@ffstef@n 02/11/2007 00:45]
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02/11/2007 00:49
 
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A parte il fatto che tu è meglio se eviti anche solo di citare i versetti biblici...visto che mi sbagli anche i numeri... [SM=x1061910]

Quindi lascia perdere la tua pseudo-esegesi da strapazzo e lascia fare a chi lo fa di lavoro ed ha le basi per poterlo fare...

Non mi va di vederti cadere con il naso per terra troppo tante volte...


...a parte questo, non c'è nessuno che invoca alcun passo biblico, caro il mio Raffa...
Se leggi quello che ha scritto il farmacista sopracitato ti dovrebbe risultare alquanto chiaro....
Siccome forse non si vede bene lo ribadisco un attimino...


Secondo l’art. 54 del codice penale, se uno compie un’infrazione ad una legge per salvare qualcuno è esentato dalla punizione, se spinto da cause maggiori. Quindi, noi per salvare l’embrione ci rifiutiamo di dare la pillola del giorno dopo. Ci sono delle sentenze della Corte di Cassazione sul diritto dell’embrione, c'è la legge 40. Per cui noi riteniamo di poterci difendere a livello giudiziario. Altrimenti, rimane il fatto di principio. Noi non vogliamo accettare di dare la morte a qualcuno. Siccome l’embrione - è un fatto scientificamente dimostrato - è una vita umana, noi riteniamo che vada sostenuto e difeso.




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Diceva Rabbi Yeudà in nome di Rav:"Dodici ore ci sono nel giorno: nelle prime tre il Santo, benedetto sia, si dedica alla Torà; nelle seconde tre giudica tutto il mondo e, quando vede che questo meriterebbe la distruzione, si alza dal trono del Giudizio e si siede su quello della Misericordia...(b'Avodà zarà 3b)
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02/11/2007 00:49
 
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LA REALTA' DELLA CHIESA E' ARRIVARE ALLA TAX
BENE PRENDETELA IN ESAME
PARE CHE UN VERSO DELLA BIBBIA RECITA PIU O MENO:

se qualcuno colpisce una donna incinta e questa abortisce senza altre conseguenze, il colpevole paghi una multa, se invece la donna muore scatta l'occhio per occhio.


OGGI A COLPIRLA PUO' ESSERE UN GINECOLOGO

E BIP BIP BIP VAFFANCULO
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02/11/2007 00:53
 
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FICCATELO IN QUELLA TESTA MALATA


I testi biblici non dicono nulla sul tema dell'interruzione volontaria della gravidanza, nè sullo statuto morale dell'embrione. Piutosto trattano la persona umana di essere autonomo e responsabile. Gesù stesso è molto critico di sanzioni giuridiche: "Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!" (Luca 11:46). "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei" (Giovanni 8:7). Non è dunque lecito invocare la Bibbia per esigere la minaccia penale in materia.
Per una vera protezione della vita
Proteggere la vita non può significare proteggere l'embrione a qualsiasi costo. Significa:

proteggere le aspirazioni e le prospettive di vita delle donne;
prevenire le gravidanze indesiderate e favorire la possibilità che ogni bambino sia desiderato;
creare le condizioni, con una politica sociale, per favorire una maternità responsabile e consapevole e il benessere complessivo della famiglia.
Vietare il ricorso all'aborto non è un mezzo adeguato di protezione della vita. Piuttosto, le leggi restrittive spingono le donne nell'illegalità, mettendo a repentaglio la loro salute e la loro vita .
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02/11/2007 00:56
 
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Re:
®@ffstef@n, 02/11/2007 0.44:



Per una vera protezione della vita
Proteggere la vita non può significare proteggere l'embrione a qualsiasi costo. Significa:

proteggere le aspirazioni e le prospettive di vita delle donne;
prevenire le gravidanze indesiderate e favorire la possibilità che ogni bambino sia desiderato;
creare le condizioni, con una politica sociale, per favorire una maternità responsabile e consapevole e il benessere complessivo della famiglia.
Vietare il ricorso all'aborto non è un mezzo adeguato di protezione della vita. Piuttosto, le leggi restrittive spingono le donne nell'illegalità, mettendo a repentaglio la loro salute e la loro vita .



MA che aspirazioni e prospettive di vita delle donne!!!

Il 90% delle donne che hanno abortito non hanno risolto proprio niente!! ANZI!!
Sono finite dallo psicologo! E ci soffrono tutta la vita con questa colpa nel cuore!!


L'ABORTO E' UN OMICIDIO....ANZI PEGGIO!! E' UN INFANTICIDIO!!
E PEGGIO ANCORA...E' L'INFANTICIDIO COMPIUTO DALLA MAMMA!!


A PROPOSITO DI SALUTE E DI VITA...E DELLA PILLOLA DEL GIORNO DOPO LEGGETE UN PO'!!!





C’è una pillola killer che non viene spiegata


EUGENIA ROCCELLA

Sono in maggioranza italiane, e più istruite delle media, le donne che scelgono la Ru486.
Lo sottolinea con soddisfazione l’assessorato alla Sanità dell’Emilia Romagna, presentando la relazione annuale sull’aborto. Come a dire: chi sceglie la pillola abortiva non è una poveretta qualsiasi, magari straniera, magari munita di una semplice licenza elementare, ma una persona informata, che vuole per sé il meglio che c’è sul mercato.
Bisognerebbe però aggiungere che questa convinzione è frutto di una intensa e spregiudicata campagna propagandistica a favore dell’aborto chimico. Sul «Corriere» e su «Repubblica» nessuno ha mai raccontato di Holly Patterson, la diciottenne californiana uccisa dalla 'kill pill' (è da allora che negli Usa la pillola viene definita così), né della straordinaria e tenace battaglia condotta del padre, che ha permesso la scoperta di altre morti, e ha squarciato il velo di silenzio sull’orrore dell’aborto con la Ru486.

Nessuna trasmissione televisiva ha spiegato che l’aborto chimico è una procedura che richiede almeno 15 giorni, il cui esito è incerto fino alla fine, che avviene in solitudine, tra nausee e crampi dolorosi (è, in sostanza, un piccolo parto), che costringe la donna a controllare continuamente il flusso emorragico e quindi a vedere, nella maggioranza dei casi, l’embrione abortito.

Chi crede che la Ru486 sia un metodo sicuro e indolore dovrebbe leggere la stampa straniera: scoprirebbe così che il «New York Times» ha ampiamente informato sulle morti e gli eventi avversi provocati dal farmaco, mentre l’inglese «Times», solo 15 giorni fa, ha pubblicato un articolo dal titolo significativo: «La brutale verità sull’aborto chimico», in cui ha definito la Ru486 «horror-pill».
Il motivo di tante censure e bugie, qui da noi, è chiarissimo: l’obiettivo non è offrire alle donne una scelta in più, come molti sostengono. Se così fosse, dovremmo vedere schiere di assessori, governatori regionali, parlamentari che si battono strenuamente per il parto naturale e la difesa della maternità, con lo stesso accanimento e le stesse dichiarazioni infuocate spese per promuovere la pillola abortiva. Introdurre in Italia la Ru486 – l’abbiamo detto e ripetuto – serve in realtà a taluni come strumento per smontare la legge 194 sull’interruzione di gravidanza, seguendo il percorso che è già stato sperimentato con successo in Francia. Abolire le garanzie offerte dall’assistenza sanitaria pubblica, riportare l’aborto tra le mura domestiche, in una forma legale di clandestinità, lavarsene finalmente le mani, evitando qualunque intervento di prevenzione: è questo che davvero si vuole.
Una volta diffusa l’abitudine all’aborto fai-da-te si potrà modificare la legge, come hanno fatto i francesi, e come forse faranno gli inglesi. Del resto, perché il sistema sanitario pubblico dovrebbe occuparsi delle donne che abortiscono? Perché lo Stato dovrebbe impegnare risorse per aiutare le donne che il figlio vorrebbero tenerlo, ma hanno bisogno di un minimo di sostegno economico e morale?
La Exelgyn, che produce la Ru486, ha comunicato che a novembre chiederà la registrazione del prodotto in Italia.
Ci auguriamo che il compito dell’Aifa, l’ente di controllo dei farmaci, non si limiti a un burocratico passaggio di carte, ma a un vero esame della documentazione scientifica e dei dati offerti dall’azienda. Ma soprattutto ci auguriamo che il ministro della Salute Livia Turco voglia applicare integralmente, come ha sempre affermato, la 194 e le garanzie che essa pure contiene, evitando ulteriori distorsioni e peggioramenti. La Ru486 annichilisce infatti ogni forma di prevenzione. Dopo tante accuse ai cattolici, adesso si vedrà con chiarezza chi davvero attacca la 194, infischiandosene della salute delle donne.





Isaia 49:15 Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se queste donne si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.






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Diceva Rabbi Yeudà in nome di Rav:"Dodici ore ci sono nel giorno: nelle prime tre il Santo, benedetto sia, si dedica alla Torà; nelle seconde tre giudica tutto il mondo e, quando vede che questo meriterebbe la distruzione, si alza dal trono del Giudizio e si siede su quello della Misericordia...(b'Avodà zarà 3b)
02/11/2007 01:00
 
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A forza di essere ripetitivo,riporto di nuovo la mia risposta,aggiungendo che il fondamentalismo etico cattolico va arginato,bisogna tutelare anche i diritti e le idee di chi non e' credente o di chi non e' cattolico.

La tossicita' della pillola e' solo parte di una informazione clericale che non trova concordi tutti gli esperti,inotre,se si guardasse a molti altri tipi di farmaci normali come l'aspirina valutandone la tossicita' si finirebbe per non andare piu' in famracia.
Ci sono vari test che danno adito a differenti valutazioni in merito alla pillola.

x Raffa:
Il trucco e' essere ripetitivi,fino a farlo impazzire.

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Io dico solo una cosa,sembra proprio che Ratzinger abbia preso di mira l'Italia nel tentativo di trasformarla sul modello etico cattolico,evidentemente,visto che ci tiene tanto,allora perche' la sua farmacia non consente di dare gratuitamente oppure ad un costo contenuto certi farmaci costosissimi che in Italia non si trova?

(morale per morale)


Ormai Ratzinger sta facendo vera e propria politica,ma come si permette un capo di Stato Estero interferire negli affari politico-legislativi di un'altro stato?


Visto che si parla di legge 54,allora che Ratzinger corra lo stesso rischio di chi intenda adottare una obiezione di coscienza contra-legem,fino a che non verra' regolata questa obiezione in opzione segundum legem,percio',che subisca gli stessi processi di coloro che obietteranno nel rilascio della pillola abortiva.

In secondo luogo,aver dimostrato scientificamente che l'embrione sia un'essere umano e' tendenzioso e inesatto,non e' stato ancora dimostrato che gli zogoti e i feti delle prime due settimane siano una vera persona,la citazione di MauriF percio' e' tendenziosa perche' vorrebbe dire che la scienza lo avrebbe dimostrato gia' a partire dal'atto della fecondazione,cosa assolutamente falsa.

Secondo l'analisi del giurista dei radicali,Ratzinger starebbe incitando ad un vero e proprio sabotaggio e percio' anche lui dovrebbe essere penalmente perseguibile.


La soluzione e' semplice,visto che Ratzinger non puo' pretendere di avere il copyright della vita e della coscienza di tutti i cittadini italiani (e' mai possibile che non voglia riconoscere che oggi l'Italia e' una repubblica e non una teocrazia? E' cosi' difficile accettare che ormai l'Italia e' orientata al pluralismo etico e culturale a scanso di quei politici che la vorrebbero ricattolicizzare eticamente in toto?).Una tale soluzione sarebbe:

1. Lo stato deve garantire su tutto il territorio nazionale e capillarmente la vendita della pillola.

2. I farmacisti di orientamento cattolico posso rifiutarsi di venderla.

3. Il cittadino si orienta alla farmacia dove sa di poter comprare il prodotto di cui necessita.

4. La distribuzione territoriale delle farmacie "cattoliche" e "laiche" deve essere tale da poter consentire comodamente a chi desidera la pillola di poterla avere senza farsi decine di chilometri.



da www.korazym.org/news1.asp?Id=25952
Lo sapevate che…






Farmacisti e obiezione di coscienza. Un diritto che fa discutere

di Mattia Bianchi/ 30/10/2007

L'appello del papa all'obiezione di coscienza dei farmacisti divide. Nel mondo politico si ripresentano le contrapposizioni ideologiche tipiche del dibattito sui temi etici, mentre anche le associazioni di categoria non stanno a guardare.

Come era prevedibile, l'appello del papa all'obiezione di coscienza dei farmacisti sta facendo discutere. Nel mondo politico si ripresentano le contrapposizioni ideologiche tipiche del dibattito sui temi etici, mentre anche le associazioni di categoria non stanno a guardare. Al centro della discussione, l'idea dell'obiezione come "diritto riconosciuto", specie in caso di medicine con "scopi immorali", come aborto ed eutanasia. Benedetto XVI aveva trattato ad ampio raggio questi temi nell'udienza che ha concesso ai partecipanti al congresso internazionale dei farmacisti cattolici, nel giorno in cui in Cile il ministero della Salute ha imposto una multa di 33 milioni di pesos a tre catene farmaceutiche che non vendono la pillola abortiva.

Già in giornata, Franco Caprino, presidente di Federfarma, l'associazione che riunisce le 16 mila farmacie italiane, e l'Ordine dei farmacisti avevano fatto sapere che senza una modifica della legge, l'obiezione dei farmacisti non è possibile. "Siamo costretti, - aveva detto Caprino - dietro prescrizione medica, a consegnare il farmaco o a procurarlo, se non disponibile, nel più breve tempo possibile. Se non si modifica l'articolo 38 del testo unico delle leggi sanitarie non si può fare altrimenti".

In serata, tuttavia, il diritto all'obiezione è stato riaffermato con forza dal direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, in un'intervista a Skytg24. ''I farmacisti, proprio come i medici - ha spiegato padre Lombardi - sono chiamati esplicitamente a non collaborare a ciò che va contro la vita in modo diretto''. E ancora: ''In questo discorso, il papa ribadisce un concetto classico che è già stato chiarito varie volte anche dall Accademia Vaticana per la Vita. Quella della richiesta dell'obiezione di coscienza è una linea molto chiara con cui la Chiesa pensa di poter testimoniare il suo servizio alla vita nella società di oggi". Concetto condiviso anche dai farmacisti cattolici che attraverso il presidente Pietro Uroda, fanno sapere di essere "intransigenti sull'obiezione di coscienza perché è una posizione a difesa della vita''. E ''non è vero che non è possibile fare oggi obiezione: ci sono - ha detto respingendo quanto affermato da Ordine e Federfarma - appigli legali tali da giustificare il no dei farmacisti a certi prodotti''.

La posizione del papa non piace tuttavia a diverse organizzazioni. Federcasalinghe parla di abuso, mentre la Consulta di bioetica ricorda che è obbligatorio prestare servizi ai cittadini, ''indipendentemente da pregiudizi derivanti dalla sacralità della vita''. Nessuno, dice il presidente Maurizio Mori, ''nega il diritto all'obiezione di coscienza di farmacisti privati in condizioni normali, quando cioè ci sono altri professionisti che possono eventualmente soddisfare le esigenze dei cittadini. Il problema si pone nel caso delle farmacie pubbliche e di quelle private uniche sul territorio''. In questo caso, sottolinea, ''la presunta obiezione di coscienza risulta essere una mancata erogazione di servizi dovuti''.

Scontata la posizione dei Radicali che, con il medico Silvio Viale, accusano il papa di essere in difficoltà sui diritti civili in tutto il mondo e di ricorrere all'obiezione come "ultima spiaggia per ricattare i Governi e imporre ai cattolici la propria volontà".



un vecchio dibattito:
da isole.ecn.org/reds/donne/italia/italiaembrione0302.html

NON LEGIFERARE SUL NOSTRO CORPO
IL 27 MARZO LA XII COMMISSIONE AFFARI SOCIALI DELLA CAMERA INIZIERA' A DISCUTERE SULLE TECNICHE DI RIPRODUZIONE ASSISTITA. PUBBLICHIAMO L'APPELLO PROMOSSO DAL TAVOLO DI DONNE SULLA BIOETICA E INVITIAMO TUTTE AD INVIARLO FIRMATO ALLA COMMISSIONE STESSA PRIMA DELL'INIZIO DELLA DISCUSSIONE, ALL'INDIRIZZO CHE PONIAMO IN CALCE ALL'APPELLO



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marzo 2002

Il parlamento italiano si appresta a discutere e ad approvare una legge sulla fecondazione assistita che di fatto riconosce all'embrione statuto di persona: si tratta di una via subdola intesa ad abrogare di fatto la legge 194 sull'interruzione di gravidanza. Una legge invasiva sul corpo e sulla libertà delle donne è fuori luogo. Basta un regolamento del Ministro della Sanità per controllare i centri pubblici e privati che praticano le TRA, come già aveva proposto il Tavolo di donne sulla bioetica, che nella passata legislatura era riuscito, con l'aiuto di alcuni/e senatori/trici, a bloccare una legge pericolosa, da cui oggi si vorrebbe ripartire per peggiorarla.
La nascita non dipenderebbe dal desiderio e dalla volontà di una donna, la gestazione non sarebbe più un intreccio di relazione madre/figlio/a. Piccoli individui uscirebbero da un contenitore artificiale, fuori dal corpo, dal cervello, dal cuore di una donna. Come in esilio.
Il tentativo di legiferare sul corpo e sul desiderio delle donne comporta la definizione degli esseri umani sulla base di "identità genetiche"; riduce la vita a un puro atto di fusione dei gameti e la scelta della maternità/paternità alla trasmissione del corredo cromosomico; pone tutte le differenze su un piano strettamente biologico.
Siamo decisamente di fronte ad un grave attacco alla laicità dello Stato: le leggi regionali sulla famiglia (come sta accadendo nel Lazio) tendono a bloccare le donne nella funzione di mogli e madri legalmente riconosciute e si apprestano a concedere assistenza, denaro e diritti solo alle coppie eterosessuali santificate dal matrimonio.
La materia della riproduzione e la connessa autodeterminazione delle donne è di grandissima portata, rappresenta la base dell'identità femminile e del suo diritto di cittadinanza, indica una strada per legiferare in materie nuove e difficili attraverso un dibattito ampio, reale; suggerisce un rapporto ricco di umanità con la ricerca scientifica non astratta, ma relazionata ai corpi viventi pensanti ed emozionati dalle esperienze di vita che attraversano. Vogliamo una politica che di tutto ciò faccia tesoro, non scempio e siamo certe che la vita dell'intera specie umana si libererà, sarà più piena, solidale e vitale se a noi donne sarà riconosciuto il diritto che ci spetta storicamente e persino per "natura" di decidere e indicare il valore umano, etico, sociale e politico del mettere liberamente al mondo figli e figlie proprie o di accettare e amare figli e figlie di altre donne senza una orribile mediazione giuridica, che smembra la vita e pone noi donne in conflitto con ciò che abbiamo nel nostro corpo. In altro modo, opponendo alla madre l'embrione si offende la nostra appartenenza alla specie umana e si riduce la donna a corpo artificiale.
Sappiamo che le destre e le gerarchie ecclesiastiche in Italia non si rassegnano ad accettare una legge (la 194) che - proprio riconoscendo l'autodeterminazione delle donne - ha ridotto il ricorso all'aborto. Se la sciagurata proposta attuale dovesse passare renderemo subito noti i nomi dei e delle parlamentari che avessero votato a favore e ci impegniamo a fare una campagna contro la loro rielezione; raccoglieremo immediatamente le firme per un referendum abrogativo.

Inviate l'appello firmato a questo indirizzo:
on. Giuseppe Palumbo - presidente della XII Commissione Affari sociali
e-mail: PALUMBO_G@camera.it

[Modificato da pcerini 02/11/2007 0.26]
[Modificato da pcerini 02/11/2007 01:10]
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02/11/2007 01:06
 
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NO PCERINI IO LO DEVO RIEMPIRE DI MERDA LUI E LA SUA CHIESA
CHE IN QUESTO CASO FA LA MORALE E DIMENTICANO CHI ALLA FINE DOVREBBE GIUDICARE
ERGO
RITORNATE ALLA VOSTRA DOTTRINA E NON SIATE MANIACI PERSECUTORI.
CON LE VOSTRE INQUISIZIONE AVETE GIA' ROTTO I CONIGLIONI

02/11/2007 01:14
 
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Re:
®@ffstef@n, 02/11/2007 1.06:

NO PCERINI IO LO DEVO RIEMPIRE DI MERDA LUI E LA SUA CHIESA
CHE IN QUESTO CASO FA LA MORALE E DIMENTICANO CHI ALLA FINE DOVREBBE GIUDICARE
ERGO
RITORNATE ALLA VOSTRA DOTTRINA E NON SIATE MANIACI PERSECUTORI.
CON LE VOSTRE INQUISIZIONE AVETE GIA' ROTTO I CONIGLIONI





Come vuoi raffa,tieni conto pero' che l'interlocutore ormai sta dando di testa,spero che tu abbia letto la email che ti ho inviato su leonardo (perche' tu non hai abilitato le FFZ).

Ciao

Paolo
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02/11/2007 01:33
 
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Come vuoi raffa,tieni conto pero' che l'interlocutore ormai sta dando di testa,spero che tu abbia letto la email che ti ho inviato su leonardo (perche' tu non hai abilitato le FFZ).




ORA CONTROLLO SEPPUR NON CAPISCO PER QUALE TRAMITE MI ARRIVEREBBE LO STESSO LA POSTA

FORSE E' UN'ALTRA OPZIONE CHE DISCONOSCO CON QUESTA NUOVAVERSIONE
TRA L'ALTRO NO HA SENSO CHIUDERE FFZ

ORA CONTROLLO
E SE OCCORRE TI RISPONDO, MA NON STASERA

CIAO E BUONA NOTTE

[SM=x1061919]
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