La storia che viene raccontata dai fautori della cosiddetta "vita"
(non la vita di qualcuno, che ne dispone liberamente, ma la "vita" in generale, che non è di nessuno, tanto che nessuno ne può disporre)
è che Eluana è stata sottratta alle amorevoli cure delle suore misericordine, che l'avrebbero protetta e coccolata fino alla fine "naturale" dei suoi giorni.
Proprio in nome di tale carità si sono sprecati gli insulti a Beppino Englaro e a chiunque sostenesse il diritto di interrompere la non vita, in nome di un'autodeterminazione sulla propria vita e il proprio corpo che
ogni Stato laico dovrebbe tutelare.
Potrebbe essere allora significativo esaminare un po' più a fondo come si esprima e che cosa sia davvero questa carità, visto che siamo alle soglie dell'approvazione di una legge sul testamento biologico che ha tutte le probabilità di essere scritta secondo i più sfrenati sogni bagnati dei cosiddetti difensori della vita.
C'è infatti da pensare che l'intera vicenda di Eluana, la chiamata alle armi della maggioranza, la mobilitazione di tutto il mondo cattolico ossequiente con il suo corollario di atei devoti, servano proprio a definire in questo nome una normativa estremamente stringente sul fine vita, con modalità fortemente prescrittive.
Sembra già chiaro, insomma, che i trattamenti nutrizionali non potranno in alcun caso essere sospesi, e che andranno protratti nel tempo senza alcuna possibilità di metterli in discussione.
Ciò significa che, visto che la legge dello Stato ne imporrà l'erogazione, saranno le finanze pubbliche a farsene carico, attraverso i servizi sanitari. Servizi che agiscono ormai da tempo in pieno regime di sussidiarietà, secondo il principio per cui, nella fornitura di un bene o di un servizio di pubblico interesse, il pubblico e il privato possono erogarlo allo stesso modo, atteso il loro adempimento rispetto a standard di qualità e di costo.
In altre parole, visto che la nutrizione assistita di un paziente in stato vegetativo permanente non è un'operazione particolarmente complessa dal punto di vista medico, e che non richiede personale particolarmente qualificato, c'è da aspettarsi che, seguendo questa legge, la domanda di strutture per l'accoglienza di questi pazienti registri una forte crescita, anche perché non ha molto senso tenerli in strutture mediche ad alta intensità, destinate a bisogni più urgenti e più complessi.
Del resto, quella che è la prassi comune, anche se non sancita da leggi, in tutti gli ospedali italiani, si troverà improvvisamente illegale: non sarà più possibile decidere di interrompere un trattamento medico e, per evitare guai e denunce da parte dei numerosi colleghi ansiosi di fare carriera grazie all'obbedienza ai dettami religiosi, saranno ben pochi i medici in grado di fermare forme ben più invasive di accanimento terapeutico.
Torniamo allora alle suore misericordine e alla loro carità, che resterà per poco prive di oggetto, e chiediamoci come potrebbe funzionare la questione con la nuova legge.
Stando a indiscrezioni raccolte in rete , la degenza di Eluana costava circa 3.800 euro al mese; un paio di riscontri con medici e dirigenti sanitari stimano comunque in più di 100 euro al giorno il costo di ospedalizzazione in una residenza sanitaria assistita di un paziente in stato vegetativo.
È, del resto, noto che le suorine, i fraticelli e i tanti volontari che si prodigano a mostrare il loro amore non prendono stipendio, tanto che i religiosi risultano essere tra i maggiori destinatari della celebre social card dell'amato Tremonti (e chissà se anche le loro carte sono completamente vuote, o se nel loro caso la Provvidenza ha provveduto a dotarle di fondi), come è noto che contributi, straordinari e tutela dei dipendenti, per non parlare di corsi di formazione permanente e verifiche della qualità, sono poco meno che bestemmie di fronte a tanta carità.
Insomma, tra esenzioni fiscali, immobili di proprietà, donazioni e il dumping sociale esercitato dalle strutture sanitarie religiose, è chiaro chi si prenderà cura dei pazienti e a vantaggio di chi saranno i nuovi oneri sanitari.
Anche una piccola struttura con una dozzina di letti, come quella magnificata recentemente in una trasmissione del limpido Bruno Vespa, insomma, potrà tranquillamente raccogliere cinque-seicentomila euro all'anno; mettiamoci uno di quei medici di chiara fama presso la parrocchia locale, che faccia da direttore sanitario e magari anche da direttore amministrativo e, perché no, da imprenditore a capo della struttura, un po' di glucosio e soluzione fisiologica, ed ecco che ci troviamo con un guadagno netto sui due-trecentomila euro puliti.
Moltiplichiamo il tutto per il boom di ricoveri garantito da una legge ad hoc, ed ecco che viene quasi la voglia di diventare caritatevoli anche noi.
(di Nane Cantatore - aprileonline 12 Febbraio 2009)