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Il Sudafrica dichiara guerra agli immigrati

Ultimo Aggiornamento: 24/05/2008 21:40
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Nel mirino i lavoratori clandestini che arrivano da Zimbabwe, Mozambico e altri Paesi africani
Ventidue morti, alcuni bruciati vivi, altri picchiati fino alla morte, almeno 50 feriti, 250 arresti, scene di guerriglia urbana a Johannesburg, la capitale economica del Sudafrica, teatro di atti di vandalismo e palcoscenico per ronde armate di machete a caccia di immigrati clandestini. Così nel Paese che, uscito dall'apartheid, era diventato un caso quasi virtuoso nel disastrato panorama africano: economicamente in ascesa e capace di far convivere le diverse etnie in un clima di (relativa) tolleranza e unità nazionale.
Una meta ambita, insomma, per i poveri dei Paesi confinanti, soprattutto Zimbabwe e Mozambico, che nell'emigrazione in Sudafrica vedono una possibilità di riscatto dalla miseria, dalle guerre tribali, dal caos. Ma questo afflusso ha scatenato una guerra tra disperati, aizzando l'ira dei sudafricani più poveri, vittime a loro volta dell'alto tasso di disoccupazione, della criminalità e della mancanza di alloggi. Suscitando accuse e sospetti che suonano familiari: gli immigrati portano delinquenza e rubano posti di lavoro.

Immediate e allarmate le reazioni: il presidente Thabo Mbeki ha annunciato la riunione di un comitato di esperti, incaricato di indagare sul fenomeno e il leader dell’African National Congress (Anc), Jacob Zuma, suo probabile successore, ha condannato gli attacchi nel corso di una conferenza a Pretoria. Resta da capire cosa sta succedendo. Zuma, partendo proprio dall'esperienza dell'Anc, costretto per anni alla clandestinità e all'esilio nei Paesi confinanti, ha manifestato stupore: «Non possiamo permettere che il Sudafrica sia famoso per la xenofobia». Tanto più che, stando alle testimonianze, gli aggressori vanno all'attacco cantando «Umshini Wami»(Portami la mia mitragliatrice), il motivo in lingua Zulu che era l'inno anti-apartheid dell'Anc negli anni bui e che tuttora risuona nei raduni di partito.

Resta il fatto che, tra riunioni di esperti e sospetti di strumentalizzazione, nelle township, da Alexandra, a Diepsloot, Thokoza, Tembisa e Cleveland, i disordini proseguono, le baracche vengono date alle fiamme, meglio se con gli abitanti al loro interno e gli immigrati, benché clandestini, sono costretti a cercare rifugio nelle stazioni di polizia perché, dicono, «Se torniamo in strada, ci uccideranno».

Secondo Medici senza frontiere, si può parlare ormai di crisi umanitaria, con migliaia di immigrati in fuga e la situazione fuori controllo. Un problema non da poco. Sono circa tre milioni i cittadini dello Zimbabwe che vivono oggi in Sudafrica. Avevano lasciato il loro Paese per sfuggire alla povertà e alla violenza. Ora sono diventati un capro espiatorio.

non ho parole [SM=g27994]






Nounou
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Il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce.
Blaise Pascal


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Sudafrica, continuano le violenze xenofobe
Sudafrica, continuano le violenze xenofobe
Decine di morti, centinaia di feriti e migliaia di sfollati


Johannesbourg, 24 mag. – Qualcuno grida ad un nuovo apartheid. Di certo c’è che l’ondata di violenze xenofobe che da più di dieci giorni sta insanguinando il Sudafrica non sembra essere vicina alla fine, anzi. Gli scontri sono scoppiati l’11 maggio ad Alexandra, un distretto ai margini della capitale Johannesbourg, e adesso si stanno estendendo a Città del Capo. Finora il bilancio parla di almeno 40 vittime e centinaia di feriti; si tratta di persone colpite da violenze atroci: alcuni sono stati linciati con pietre e mattoni, altri presi a colpi di machete o a bastonate, altri addirittura bruciati vivi.

A morti e feriti si aggiunge un numero imprecisato di sfollati: alcune fonti parlano di 16.000, altre di addirittura 25.000. Gli immigrati, bersaglio degli attacchi, si sono rifugiati nelle stazioni di polizia, nelle chiese e nei centri d’emergenza. Molti immigrati, provenienti dai paesi confinanti, hanno deciso di fare ritorno nelle terre d’origine, nonostante la minaccia di guerre, carestie e persecuzioni da cui avevano cercato di sfuggire emigrando e che ora li aspettano di nuovo in patria.

I paesi da cui provengono sono la Nigeria, i poverissimi Mozambico e Zimbabwe. Gli immigrati provenienti da quest’ultimo paese, che oltre alla povertà sta affrontando una profonda crisi politica, sono quindi quelli che si trovano nelle difficoltà maggiori, dal momento che il loro governo non si può occupare di intervenire in loro aiuto, anche se l’opposizione guidata da Morgan Tsvangirai si sta organizzando per soccorrere i connazionali in fuga dal Sudafrica.

Per fronteggiare l’emergenza il presidente sudafricano Thabo Mbeki ha mandato l’esercito in appoggio alla polizia, e finora sono state arrestate almeno 500 persone. E il National african congress (Anc), il partito al potere, ha chiesto ai suoi aderenti di formare dei comitati per “riprendere le strade ai criminali”. Il segretario generale dell'Anc, Gwede Mantashe, ha affermato che niente può giustificare tali atroci violenze, e ha ricordato come i sudafricani siano debitori nei confronti dei loro vicini, che durante la lotta al regime segregazionista dei bianchi avevano fornito loro aiuto e ospitalità.

Le violenze si sono scatenate per l’aumento improvviso dei prezzi dei generi di prima necessità e per la miseria dilagante, provocando una guerra tra poveri con l’obiettivo di assicurarsi il controllo delle poche risorse disponibili e dei servizi essenziali. Padre Efrem Tresoldi, missionario comboniano, ha indicato nell’immigrazione interna dalla campagna alla città una delle cause di questa ondata di violenze. Intervistato dall’agenzia Fides, ha spiegato: “I giovani che vivono nella campagne sono sempre più attirati dalla vita in città”, dal momento che vivono ancora nelle cosiddette “homelands”, aree non fertili che durante l’apartheid furono abbandonate dai bianchi e lasciate ai neri.

Quando arrivano nelle città, continua padre Efrem, “entrano in competizione con gli immigrati provenienti dallo Zimbabwe, dal Malawi, dalla Nigeria, dalla Somalia o dai Paesi asiatici come il Pakistan. Si creano forme di invidia perché gli stranieri, per ovvi motivi, sono molto più dinamici e intraprendenti”, e sono disposti a lavorare per stipendi inferiori rispetto a quelli dei sudafricani. Questo ha portato molte aziende ad assumere immigrati, “pagandoli una miseria”.

Padre Efrem punta il dito anche contro le autorità, che nonostante i numerosi rapporti che presentavano una situazione potenzialmente pericolosa non hanno mai preso provvedimenti seri. Anche se, aggiunge, “le autorità hanno un compito immane, perché il flusso dalla campagne verso le città è continuo ed è molto difficile garantire i servizi indispensabili a queste persone”.

In Sudafrica, che conta una popolazione di 49 milioni di persone, ci sono tre milioni di immigrati regolari e almeno altrettanti irregolari. Il paese è inoltre meta di continue migrazioni dai poverissimi paesi confinanti. Lo scoppio delle violenze xenofobe rischia di ripercuotersi anche sul settore turistico, in particolare in vista dei mondiali di calcio del 2010, che si terranno proprio in Sudafrica, e sia il governo che l’ente del turismo hanno espresso forti preoccupazioni a riguardo.

Simone Storti- Fonte






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