Lo stupro come "strategia di guerra"
Di violenza in violenza
Nel campo profughi di Kalma, in Darfur, scrive oggi Times of India,
sette donne sudanesi hanno raccontato lo stupro e le violenze subite da un gruppo di miliziani arabi, i noti janjaweed, una volta lasciato il campo per andare a raccogliere la legna. La loro storia, confermata dagli operatori umanitari, offre uno spaccato dell'inferno che è oggi il Darfur, dopo la decisione del governo di Khartoum di assoldare i miliziani arabi della regione per sedare la rivolta delle tre principali etnie africane locali contro il governo. Un conflitto iniziato nel febbraio 2003, costato la vita ad almeno 200.000 persone, e che ha costretto oltre 2,5 milioni di persone a cercare rifugio nei campi profughi.
Le sette donne avevano raccolto il denaro sufficiente per noleggiare un carretto trainato da un asino, per poter uscire dal campo e raccogliere la legna da rivendere al mercato, ma a poche ore di cammino sono state violentate, picchiate e derubate. Nude e traumatizzate sono rientrate a Kalma. "Per tutto il tempo io continuavo a pensare: stanno uccidendo il mio bambino, stanno uccidendo il mio bambino", racconta Aisha, al settimo mese di gravidanza al momento dello stupro. Le donne non hanno dubbi sui responsabili delle violenze: i cammelli e le uniformi indicavano la loro appartenenza ai janjaweed.
Kalma è una baraccopoli alle porte di Nyala, capitale del Darfur del Sud: capanne di fango e tende di plastica accolgono circa 100.000 rifugiati. La struttura è ormai al limite delle sue capacità di accoglienza, tanto che il governo ha cercato di limitare i nuovi arrivi, vietando la costruzione di nuove latrine.Un provvedimento che aumenta il rischio di infezioni e contagio. Chiunque si avventuri fuori dal campo sa di poter incontrare i janjaweed.
Le sette donne hanno raccontato di aver lasciato il campo di Kalma un lunedi' mattina del luglio dello scorso anno e di essere state aggredite poco dopo aver iniziato a raccogliere la legna. Dieci arabi a dorso di un cammello le hanno circondate, urlando insulti e sparando in aria.
Una volta circondate, le donne sono state picchiate e il loro asino ucciso. Zahya, 30 anni, era accompagnata dalla figlia di 18 anni, Fatmya, e dal suo bambino. Il bimbo è stato gettato a terra e le due donne sono state stuprate. Il bambino è sopravvissuto.
Zahya ha raccontato di aver visto quattro uomini stuprare a turno Aisha.
Denudate e percosse le donne hanno ripreso la strada verso Kalma. Lungo il cammino hanno incontrato alcuni uomini del campo profughi, che hanno offerto loro i turbanti di cotone. Al loro arrivo sono state derise.
Alle donne sono state date pillole contro la gravidanza e l'Hiv. Nel frattempo e' nato anche il bambino che Aisha aspettava, chiamato Osman.
Strumento di guerra
In Sudan, come in molti paesi islamici, la società considera lo stupro come un disonore per tutta la famiglia della vittima.
"Le vittime si trovano a dover affrontare un terribile ostracismo", ha dichiarato la coordinatrice dell'Onu, Maha Muna. Alcuni operatori umanitari ritengono che i janjaweed ricorrano alla violenza sessuale per intimidire i ribelli, le loro famiglie e i loro sostenitori. "E' una strategia di guerra", ha sottolineato Muna.
Nel 2006, gli operatori dell'Onu hanno denunciato
2.500 casi di stupro nella regione, ma ritengono che si tratti di un dato molto lontano dalla realtà. La cifra reale si aggirerebbe su migliaia di casi al mese, secondo un funzionario dell'Onu.
fonte Rai24
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l'aborto è un diritto che nessuno può togliere ad una donna che ha subito queste brutalità!
Nounou
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Il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce.
Blaise Pascal