Invitando per la prima volta la stampa milanese a un suo spettacolo, Renato Zero ha inviato questo biglietto: “Doveva accadere prima o poi che le mie esperienze, cresciute con l’ambiguità, i complessi, i vizi e le strane manie, non passassero più di segreto in segreto. Eccomi dunque finalmente a voi”.
Si è presentato con pantaloni e blusa aderentissimi, di seta, mettendo in evidenza le sue curiose misure (torace 110, fianchi 50), chioma fluente, labbra truccate, mani e viso dipinti con fiamme rosse guizzanti, occhi bistrati, zatteroni ai piedi. Per essere ancora più esplicito ha esordito dicendo: “Io sono come mi vedete, così, senza inibizioni, senza ipocrisie”, e ha cominciato a cantare una serie di canzoni i cui temi dominanti sono omosessualità e misoginia.
Ma chi era andato all’appuntamento credendo di divertirsi alle smorfie stravaganti di un buffone ha dovuto ricredersi. Questo eccentrico ragazzo cantando assume una maschera tragica e accompagna i suoni con movimenti improvvisi, nevrotici e taglienti che rivelano significati più profondi, in qualche modo dettati da un’angoscia esistenziale. Per questo, pochissimi hanno osato ridacchiare, anche quando il personaggio ha ecceduto in fatalismi grotteschi, o quando, alla fine, efebici giovani gli hanno offerto enormi mazzi di rose rosse.
Fino a che punto il suo personaggio è autentico?
Io sono tutto autentico. Ho il coraggio di mostrarmi così travestito perché è l’unico modo per essere me stesso. Fin da piccolo avevo qualcosa di diverso dagli altri, ma non sapevo cosa, soffrivo nel vedere la gente con gli occhi puntati su di me. Occhi ironici, allusivi. A tredici anni ho capito. Cominciai a uscire di casa portando in un sacchetto parrucche, ciglia finte e abiti femminili. Mi travestivo dentro i portoni e andavo a esibirmi gratis nei locali periferici di Roma.
Non le sembra snob portare il problema degli omosessuali in locali-bene come la Bussola, il Sistina o il Fitzgerald?
Secondo me proprio questi sono i posti giusti. È inutile parlare di omosessuali e di droga nei luoghi frequentati dai cosiddetti anormali. Bisogna parlarne davanti al ricco borghese perché si renda conto anche lui che è un problema umano, anzi una realtà.
Ma non pensa che potrebbe esporre più efficacemente questi problemi, scusi, queste realtà, cantando col viso pulito, senza trucco, in maglione e blue-jeans?
No. Io mi travesto perché oggi tutta l’umanità è travestita. Anche quel signore in prima fila si è travestito con cravatta e gilé. E magari avrebbe una voglia pazza di potersi agghindare come me.
A quel signore lei ha appena sferrato un calcione gridandogli: “Perché vuoi uccidere te stesso?”. Prende sempre a pedate il pubblico?
Sempre. Qualche volta anche lo spoglio.
Donne?
No. Le donne sono già nude per conto loro. Mi piace spogliare gli uomini.
Una domanda delicata: la canzone “Qualcuno mi renda l’anima” che parla di un ragazzino violentato è di carattere autobiografico?
A dieci anni mi è accaduto qualcosa di simile.
E le accuse che lancia contro le madri, nel brano “No mamma no”, sono dirette a sua madre?
Ma no, la mia è una favolosa mamma romana, giunonica e buona. Soltanto che, con cinque figli da tirar grandi, è sempre stata frastornata, distratta, non ha mai capito niente di me, non s’è accorta che sono diventato adulto.
Perché ha scelto lo pseudonimo Renato Zero?
Fiacchini era decisamente squallido. E poi perché Zero è tutto: in questo nome simbolico è racchiusa
la Luna, l’embrione, l’infinito.
È vero che ci tiene tanto ad arrivare in TV e che ha partecipato al Discoestate con questa unica speranza?
Il Discoestate è stato un incidente sul lavoro. la mia casa discografica ha voluto tentare l’esperimento per ottenere almeno un po’ di passaggi radiofonici. Con il risultato che mi hanno sbattuto fuori subito e sono rimasto soltanto nei programmi di Schiff Parade. Quanto alla televisione, certo che ci terrei ad apparire. Ma come piace a me, senza censure, come succede a David Bowie, Alice Cooper e Lou Reed in America e Inghilterra.
Tino Roberti (”Oggi” )