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L’Italia di Berlusconi, un profondo pozzo di corruzione

Ultimo Aggiornamento: 17/03/2010 09:56
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13/03/2010 17:01
 
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L’Italia di Berlusconi, un profondo pozzo di corruzione

Articolo di
Giustizia, pubblicato mercoledì 10 marzo 2010 in Spagna.


[El Periódico de Catalunya]


Un’indagine rivela una complessa rete di intrallazzi economici che hanno mandato in carcere un centinaio di persone, per la maggior parte politici e imprenditori italiani


Il presidente
di uno dei primi operatori nazionali di telefonia è tornato su un jet privato dalle Antille a Roma per andare in carcere.

Un senatore risulta eletto direttamente, scheda su scheda, dalla ‘Ndrangheta, la mafia calabrese.

Un ex militante dell’estrema destra che, secondo i magistrati era l’attuale ambasciatore della mafia nella capitale, aveva comprato un intero ristorante «per non dover mangiare da solo».
L’ondata nazionale di corruzione che i magistrati italiani stanno svelando da due settimane, potrebbe risultare pittoresca se non fosse che c’è un intero Paese di mezzo.


L’Italia assiste attonita allo sgretolamento del quadro apparentemente perfetto che i conservatori avevano evocato sin da quando avevano vinto le elezioni nel 2008.

In 15 giorni quasi 100 persone sono state arrestate e più di una cinquantina sono indagate.

L’incantesimo è finito e la crisi ora alimenta la disoccupazione, che raggiunge l’8,2% e il debito pubblico, che sfiora il 120%.


Tirare il filo
Gli arresti sono cominciati il 10 febbraio, quando sono finiti in carcere Angelo Balducci, presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, il funzionario statale Fabio De Santis, l’imprenditore edile Diego Anemone e Mauro della Giovampaola, responsabile delle opere per accogliere il vertice del G8 che avrebbe dovuto svolgersi sull’isola della Maddalena (Sardegna) lo scorso mese di luglio.

Ma il 7 aprile ci fu il terremoto a L’Aquila e il summit del G8 fu trasferito in Abruzzo per ragioni di austerità.


I lavori, la gestione del cambio di sede e gli interventi d’emergenza dopo il terremoto furono affidati alla Protezione Civile (PC), con la licenza di prescindere dalle gare d’appalto.


Tirando il filo della PC, i magistrati hanno ricostruito in 20.000 pagine una complessa rete di assegnazione arbitraria delle opere, favori – anche sessuali – e tangenti per migliaia di milioni di euro.

La PC si occupava delle emergenze, ma anche di qualsiasi evento speciale, come la costruzione o la ricostruzione di teatri, carceri o monasteri, così come l’organizzazione del Gran Premio di Formula 1 a Roma, l’Expo 2015 di Milano o una festa popolare.


Soldi che andavano sempre alle stesse imprese. Alcuni dei loro proprietari se la ridevano la notte del terremoto a L’Aquila. «C’è da partire in quarta. Ci sarà da ricostruire per 10 anni», dicevano durante le telefonate intercettate.

Un pubblico ministero di Roma, Achille Toro, teneva informati gli interessati riguardo sulle indagini.


Le operazioni illegali per il vertice del G8 si sono poi ripetute poche settimane dopo per i Mondiali di nuoto di Roma: la maggior parte delle piscine utilizzate durante il campionato, costruite grazie alla Protezione Civile, sono state poste sotto sequestro perché illegali.

A gennaio la Corte dei Conti ha calcolato che la corruzione è aumentata del 229%.


Parallelamente, i magistrati hanno scoperto un ingegnoso sistema di riciclaggio di denaro e di evasione fiscale.

Fastweb, l’operatore che ha introdotto la banda larga in Italia e che successivamente è stato comprato da Suisscom per 3.100 milioni di euro, fatturava alla Telecom un traffico telefonico inesistente.


Evasione dell’IVA e riciclaggio di 2 miliardi di euro
. Sessanta persone in carcere.


L’artefice è Gennaro Mokbel, ex membro dell’estrema destra, transfuga di partiti e rappresentante della ‘Ndrangheta a Roma.

È stato Mokbel ad appoggiare l’elezione di Nicola Di Girolamo a senatore degli italiani residenti in Europa.

La mafia calabrese si spostò a Bruxelles per cercare o per comprare le schede in bianco degli elettori. Oggi il politico si dimetterà e sarà arrestato. «Non ho niente a che vedere con la mafia», ha detto. Ma dopo poche ore sono state pubblicate le fotografie di una cena elettorale con Mokbel insieme al boss calabrese Franco Pugliese.


Società per azioni
Questo mese Guido Bertolaso, capo della Protezione Civile, stava per essere nominato ministro della Cultura, ma lo scandalo ha bloccato la sua nomina. Ha anche vanificato il tentativo di trasformare la PC in società per azioni, cosa che avrebbe istituzionalizzato la sua libertà di movimento, e ha frenato un altro progetto ancora più ambizioso: la creazione di Beni Culturali S.p.A. che avrebbe di fatto privatizzato lo sfruttamento commerciale di tutta l’arte italiana.


Una vera e propria lotteria.


«La battaglia per la legalità è l’unica strada per far ripartire l’economia», ha commentato Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, sottolineando che in Italia «ci vogliono quattro anni fra la decisione di un progetto e la sua aggiudicazione».

Riguardo alla deriva della corruzione, il comunista Fausto Bertinotti, estromesso dalla politica, ha scritto che «c’è un pezzo di borghesia che vuole uscire dal berlusconismo». 


L’esplosione dello scandalo è avvenuta a un mese dal voto in 13 regioni e i conservatori del primo ministro Silvio Berlusconi stanno sulle spine. I progressisti mantengono un profilo basso e un nuovo «popolo viola» di 300.000 giovani senza partito si ribella su internet.


In mezzo a questo maremoto politico, etico e sociale, Berlusconi ha annunciato la creazione di un esercito di giovani che ha chiamato «promotori della libertà», perché, ha detto, «viviamo in uno Stato di polizia».

Pirandello non è nulla a confronto.
 


[Articolo originale "La Italia de Berlusconi, un pozo hondo de corrupción" di ROSSEND DOMÈNECH]
[Modificato da ®@ffstef@n 13/03/2010 17:06]
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14/03/2010 14:57
 
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Un premier senza più regole -
di Edmondo Berselli



Impone le sue leggi.

Si scontra con il Quirinale.

Travolge le istituzioni.


Insulta gli avversari.

Lascia dietro di sé scandali e problemi insoluti.

Con il risultato di portare il Paese nel caos


C'è un particolare tipo di milanese, che nei caffè e nei trani a gogò, quando c'erano ancora, chiamano 'il veneziano'. È l'equivalente lombardo del "fasso tutto mi": un uomo che si sente capace di tutto, di qualsiasi impresa, di qualunque avventura.

Nel nostro caso, come si capisce, si chiama Silvio Berlusconi, è nato nel quartiere milanese dell'Isola, e nella vita ha fatto effettivamente di tutto. Ha suonato e cantato sulle navi da crociera con il suo sodale Fedele Confalonieri, ha intonato al pianoforte "La vie en rose" davanti a un allibito Mitterrand, ha costruito dal niente due città satelliti a Milano, si è arricchito e ha creato la televisione commerciale in Italia, formando un impero editoriale che poi gli è venuto utile strumentalmente quando ha deciso di entrare in politica.


Nel frattempo, ha deciso che nessuna regola poteva fermare la sua corsa, e per questo ha slabbrato il tessuto istituzionale, distruggendo sostanzialmente l'impianto di pesi e contrappesi su cui si reggeva l'architettura del sistema italiano.

Lo ha fatto sempre sorridendo, sempre convinto delle proprie capacità e sorretto dal cinismo dell'imprenditore, che sa fin dove può spingersi e quando ritirarsi, senza alcuna remora etica.

Gli affari sono affari, e la politica è un affare.
L'ultima prova si è avuta sul pasticcio delle liste a Roma e a Milano. Berlusconi sonnecchiava non si sa dove, indifferente alla crisi, alla politica economica, alle urgenze del governo: quando si è accorto che il caso stava per scoppiare, con evidenti problemi per la tenuta della maggioranza e del Pdl. Allora si è precipitato nella capitale, imponendo di fatto a Giorgio Napolitano l'emanazione di un decreto legge "interpretativo" (ma in realtà innovativo), che interveniva sulla legge elettorale cambiandola in modo da riammettere Renata Polverini a Roma e Roberto Formigoni a Milano.



Lo stile di Berlusconi è stato pari alla sua personalità.

Materializzatosi con un gioco di prestigio a palazzo Grazioli, ha costretto il presidente della Repubblica, con un confronto molto acceso, ad accettare il decreto legge del governo, appellandosi al fatto che la suprema legge della democrazia è quella che consente ai cittadini di votare per il partito e il candidato prescelto.

Già il presidente del Senato Schifani, con un'ardita interpretazione che rovesciava tutta l'impostazione giuridica di un maestro del Novecento come Kelsen, aveva suggerito che in certi casi la sostanza conta più della forma. L'argomento era risibile, e intendeva sostenere che se le firme non c'erano o erano farlocche si poteva farne a meno, secondo un'interpretazione modernista o futurista della legge.


Purtroppo l'argomento era irresistibile, e Berlusconi se n'è appropriato, facendolo diventare la parola d'ordine di tutto il Pdl.

In questo modo è riuscito di nuovo ad apparire quello che gli piace essere: il Caimano, o il Sultano. È il "solutore di problemi" di Quentin Tarantino, l'uomo che sposta con pochi sguardi tutta l'immondizia di Napoli, il datore di lavoro di Guido Bertolaso.

Dietro di lui, vacche sacre che speculano sugli appalti pubblici, fornitori di raccomandazioni, cognati, cricche, tesoretti, diamanti.

Ma per Berlusconi non ci sono regole che possano fermarne l'azione: una volta individuato l'obiettivo, "Silvio" non ha remore: i giudici, i pm, i sindacalisti, i politici dell'opposizione, tutti i dipendenti pubblici diventano "comunisti", gente che non ha mai lavorato un giorno nella vita, da spostare ai margini dell'elettorato e da battere sonoramente nel nome della libertà.


Con tutto questo, nel nome del pensiero liberale e dell'anticomunismo, Berlusconi ha potuto fare tutto: attrarre strumentalmente l'opposizione in trappola e poi denigrarla dicendo che era pur sempre comunista, capace unicamente di dire dei no, mentre "noi siamo il partito del fare".

Alla fine si tratterà di stilare un bilancio, e valutare l'attivo e il passivo della gestione Berlusconi. All'attivo metteremo, paradossalmente, il fatto che abbia governato poco, lasciando l'iniziativa economica nelle mani di Giulio Tremonti e i problemi del welfare in quelle di Maurizio Sacconi, che non hanno fatto danni eccessivi.



Al passivo invece metteremo tutte le invenzioni sulla giustizia, a cominciare dalla pagliacciata sul processo breve, sul legittimo impedimento, su tutti i lodi a venire e sulle leggi ad personam per evitare i processi che lo riguardano.

Intanto, Berlusconi si gode la formula "pijo tutto", e i sondaggi favorevoli, sia pure appannati negli ultimi giorni, nonostante la depressione economica.

Già la crisi: ancora non s'è capito come un capo del governo che gestisce a fatica e senza fantasia l'impoverimento del Paese possa godere di un consenso comunque alto, sbandierato ogni giorno davanti all'opinione pubblica.

Qualcuno, per favore, può suggerire a Pier Luigi Bersani che occorre infilare il dito, o il cacciavite, in questa sindrome, e spezzare la "contraddizion che nol consente": declino economico, declino civile, da una parte, e dall'altra acquiescenza verso il governo, con poche manifestazioni di protesta contro i casi più gravi sotto il profilo della disoccupazione.


Intanto Berlusconi prosegue nella sua partita ideologica.

Ha plasmato la società italiana facendole capire che leggi e regole non sono niente (proprio come il marchese del Grillo, "io so' io e voi nun siete un cazzo"). E ha mostrato con l'esempio che cosa sia una "politica di sviluppo": evasione fiscale, elusione delle norme, tangenti, appalti teleguidati.

Il risultato è che mezza Italia si è convinta di essere dentro una seconda Tangentopoli, e l'altra metà sta pensando a come approfittarne.


Il clima, grazie al 'fasso tuto mi', è più o meno boliviano. 'Silvio' ricorre di nuovo alla piazza e minaccia risultati elettorali spaventosi per l'opposizione. Basteranno alcune settimane per capire se 'il veneziano', l'uomo del fare, avrà sfondato del tutto, alle elezioni regionali. E in quel momento capiremo anche qualcosa in più sulla società nazionale, sulla rottura delle convenzioni divenuta regola generale, grazie al formidabile 'fasso tuto mi' di Silvio.

(Edmondo Berselli - l'Espresso)

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17/03/2010 09:56
 
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Fonte:
(Solo) Roma ladrona?



La giunta di Brescia (Pdl-Lega-Udc) è risultata un po' spendacciona: 49mila euro in 18 mesi per sole spese di rappresentanza.
A scoprirlo sono stati quelli del Pd, che hanno svelato le cifre pubblicate sopra.
Il problema ora è capire cosa ci abbiano fatto gli assessori con tutti quei soldi:
il loro mandato si è caratterizzato, infatti, per la
tolleranza zero nel governo della città.

Insomma, senza panchine e prostitute, cosa si saranno inventati gli audaci politici per dilapidare il gruzzoletto dei cittadini?

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