Carissime e carissimi,
vorrei portare all' attenzione un problema di grande attualità, eppure sottovalutato poichè spesso attuato nell' ombra di una apparente normalità, non comunicato o evitato perchè non dimostrabile da fatti "concreti".
Eppure la sua esistenza si riflette nell' animo della donne, nelle comunicazioni velate o dirette che hanno tra di loro quando, conoscendosi, scoprono di condividerlo, come una forza distruttiva che le umilia e le svilisce e verso la quale non hanno difese poichè la parola, non costituisce "fatto".
Ecco allora alcuni dati, perchè le donne sappiano che non sono sole, nè "cattive" ne "colpevoli" di ciò che accade loro.
La violenza psicologica. Sette milioni 134 mila donne hanno subito o subiscono violenza psicologica in Italia: le forme più diffuse, in questo caso, sono l’isolamento o il tentativo di isolamento (46,7%), il controllo (40,7%), la violenza economica (30,7%), la svalorizzazione (23,8%) e le intimidazioni nel 7,8% dei casi.
Il 43,2% delle donne ha subito violenza psicologica dal proprio partner attuale. Di queste, 3 milioni 477 mila ne sono state vittima sempre o spesso (il 21,1%); 6 milioni 92 mila donne hanno invece subito solo violenza psicologica dal partner attuale (il 36,9% delle donne che attualmente vivono in coppia).
Riporto qui di seguito parte di un appello della dottoressa Carla Corradi nel corso della sua battaglia per l' emanazione di una legge che riconosca la violenza psicologica come reato punibile dalla legge.
Ci sono parole, comportamenti che nessuna legge punisce e che possono uccidere psichicamente una persona o almeno ferirla in modo grave e spesso irreversibile.
La provocazione continua, l'offesa, la disistima, la derisione, la svalutazione, la coercizione, il ricatto, la minaccia, il silenzio, la privazione della libertà, la menzogna e il tradimento della fiducia riposta, l'isolamento sono alcune forme in cui si manifesta la violenza psicologica.
Come si può definire la violenza psichica? È quella strategia che mira a uccidere, distruggere, annientare, una persona, senza spargimento di sangue. La caratteristica fondamentale di questi comportamenti è la crudeltà esercitata dall'aggressore, il quale ben sa che lesioni fisiche o violenze sessuali potrebbero essere punibili come reato.
Le strategie che mette in atto chi decide di annientare un essere umano sono molto subdole e mirano prima di tutto ad anestetizzare la vittima designata in modo che non possa reagire. Spesso, specie nell'ambito familiare, con la vittima si è prima instaurato un legame affettivo, per cui è già difficile individuare il limite sottile che separa un rapporto funzionante ancora da quello decisamente patologico. L'aggressore manda spesso messaggi contrastanti nel senso che dice una cosa e ne pensa un'altra (doppio legame), mettendo in questo modo l'oggetto delle sue manovre in uno stato di confusione e nell'incapacità a capire cosa sta succedendo. Ne essa ha possibilità di chiarire, perché l'interruzione della comunicazione bilaterale è un'altra delle manovre che l'aggressore instaura. Subentra così il senso di colpa di chi inizia a subire e con esso un tentativo di perfezionismo per cercare di spostare o annullare il bersaglio. Se tenta una reazione, dopo un periodo lungo di esasperazione, allora viene accusata di essere cattiva o malata.Ho visto donne a cui fisicamente non era stato torto un capello, ma che erano state sistematicamente distrutte nella loro identità e nel loro ruolo di donne e di madri.
Ho molto frequentemente curato il mal d'amore, come si dice, ma condito da menzogne, inganni, che sono aggravanti di una situazione già di per sé dolorosa. E, ben ché conosca le motivazioni psichiche dell'aggressore, sono qui per denunciare nel sociale le cause che necessitano di un intervento più esteso.
La violenza psicologica è la causa di stati depressivi e anche di suicidi, perché la vittima è incapace di reagire, in quanto logorata, e anche se denunciasse la violenza, la legge italiana non ne terrebbe conto senza prove fisiche di lesioni. Ma c'è soprattutto la vergogna di ammettere di essere trattati male, la paura a chiedere aiuto, per non subire un'altra violenza.
In queste persone già disturbate nel loro passato operano meccanismi inconsci che fanno in modo che l'autore si incapace di sentirsi in colpa, di riconoscere la sua incapacità di soffrire o meglio di provare sentimenti reali. Temono inoltre un coinvolgimento profondo e reale con un altro essere umano e pertanto lo designano come detentore di tutto il male che è in loro, lo colpevolizzano, lo distruggono per mantenere un equilibrio che ha bisogno di nutrirsi della vita di altre persone.
Ma l'aggressore non è sempre un perverso mentale e pertanto un malato come afferma l'autrice francese Hirigoyen 4), altrimenti dovrebbe essere solo curato e non punito. Spesso è una persona definita normale ed intelligente.
Troppo spesso, ultimamente, ho udito simili sofferenze, e la domanda che esprime il disagio vissuto esige una risposta urgente.
La violazione dei diritti umani ha mille volti.
Anche quello che sorride e dentro è gonfio di rabbia, di risentimento, di necessità di giudicare, colpevolizzare, sminuire, umiliare.
Ed è facile, troppo facile scaricare i propri drammi, i propri fallimenti, le frustrazioni, l' incapacità di amare, l' insostenibile sofferenza dell' essere, su chi, per difendersi spesso, non ha nemmeno la forza fisica.
Un abbraccio,
Marina