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Videopoker, 98 miliardi di EURO

Ultimo Aggiornamento: 09/06/2010 15:26
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26/09/2007 17:19
 
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Nota ufficiale del Governo in merito alle penali contestate ai concessionari


(Jamma)

04/09/2007

Questo il testo della nota emanata oggi dal Governo “Sul tema dei giochi e dei cosiddetti apparecchi da intrattenimento, oggetto anche di inchieste giudiziarie, l’attenzione della stampa si è giustamente concentrata negli ultimi mesi. In questo contesto è bene precisare quale sia stato l’operato del governo.

A poche settimane dall’insediamento del governo e di fronte alle notizie di stampa relative ad un intervento dell’autorità giudiziaria su possibili irregolarità nelle procedure di rilascio di apparecchiature e congegni da divertimento, il viceministro Vincenzo Visco istituì immediatamente una commissione di indagine presieduta dall’on. Alfiero Grandi, sottosegretario di Stato. Era il 27 giugno del 2006.

Il 26 marzo del 2007 la commissione presieduta dall’on. Grandi ha consegnato la relazione conclusiva all’on. Vincenzo Visco.

Il giorno 30 marzo del 2007 l’on. Vincenzo Visco ha trasmesso la relazione della commissione Grandi al dott. Giorgio Tino, direttore generale dell’Aams, perché fornisse doverose spiegazioni, valutazioni e osservazioni da parte dell’Amministrazione. Nello stesso giorno l’on. Visco inviò la relazione conclusiva della commissione Grandi anche al


Procuratore regionale della Corte dei Conti, dott. Ribaudo, e al Procuratore della Repubblica di Roma, dott. Ferrara.


Il giorno 2 aprile del 2007 il viceministro Vincenzo Visco trasmise al dott. Tino, al dott. Ribaudo e al Dott. Ferrara anche gli allegati alla relazione conclusiva della commissione Grandi.

Il giorno 22 maggio 2007 il dott. Tino ha consegnato all’on. Visco le spiegazioni, valutazioni e osservazioni richieste all’Amministrazione.

Il giorno 5 luglio 2007 l’on. Vincenzo Visco, ottemperando a una richiesta della commissione parlamentare sul fenomeno della criminalità mafiosa, ha inviato al presidente della stessa commissione, on. Forgione, la relazione conclusiva della commissione Grandi

Il giorno 17 luglio del 2007, al termine di un primo esame tecnico da parte del Gabinetto, l’on. Vincenzo Visco ha trasmesso l’intera documentazione, comprese le controdeduzioni dell’Amministrazione, all’ufficio legislativo Finanze perché fornisca in merito il proprio parere al fini di ogni eventuale decisione da assumere.

Quanto alle penali previste nelle concessioni, calcolate dalla Corte dei Conti per un ammontare complessivo equivalente a circa sei volte il valore dell’intera raccolta annuale delle giocate tramite apparecchi da intrattenimento, va ricordato che attualmente sono oggetto di contenzioso tra l’Aams e le società concessionarie. Tra queste ultime, inoltre, vi sono alcune società quotate in Borsa; fatto che impone rigore ma anche prudenza nelle dichiarazioni”


www.jamma.it./articolo.asp?id=12067
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26/09/2007 17:49
 
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31 maggio 2007
Videopoker, 98 miliardi di EURO
non riscossi
dai monopoli
e finiti alla mafia


Inchiesta scoop de Il Secolo XIX Marco Menduni e Ferruccio Sansa
Altro che tesoretto. C’è un tesoro da quasi cento miliardi di euro che lo Stato non ha mai riscosso, nel mega business delle macchinette videopoker e dei giochi. Tre Finanziarie. Lacrime e sangue che potevano essere risparmiati agli italiani solo garantendo il rispetto delle regole. È scritto nero su bianco nella relazione di una supercommissione di esperti, guidata dal sottosegretario all’Economia Alfiero Grandi e dal generale della Finanza Castore Palmerini, finita sul tavolo del viceministro Vincenzo Visco.

Ma l’aspetto più allarmante è che, secondo il Gruppo antifrodi tecnologiche della Guardia di Finanza, parte di questo denaro è finito dritto dritto nelle tasche della criminalità organizzata. Di Cosa Nostra, soprattutto della cosca di Nitto Santapaola. Sotto il naso di chi avrebbe dovuto controllare: i Monopoli di Stato. E ora su questo scandalo indagano gli uomini migliori delle Fiamme Gialle, la procura della Corte dei Conti a Roma, diverse procure in tutta Italia (Venezia, Bologna e Roma). Un mosaico che si sta ricomponendo.

Un’inchiesta che si riferisce soprattutto agli anni 2004 e 2005, ma la situazione non è cambiata: «È da segnalare a tutt’oggi - scrive la Commissione - il permanere di una percentuale (anche questa “testimoniata”) di apparecchiature che dovrebbero essere in rete e che invece non vengono rilevate». Un’inchiesta svolta non senza pericoli, lasciano intendere i finanzieri. Ma alla fine la tradizionale conferenza stampa non si fa. Bloccata «per ordini superiori» all’ultimo istante.

Tutto è rimasto - almeno per adesso - sotto silenzio. E uno dei commissari rivela al Secolo XIX: «Pensavamo che questa relazione fosse un’autentica scossa. Invece se n’è parlato pochissimo e la parte relativa alla criminalità organizzata è praticamente “scomparsa”».

Marco Menduni e Ferruccio Sansa de IL Secolo XIX ai microfoni di Radio19
http://www.ilsecoloxix.it/podcasting/mp3/0705311200Il%20tesoretto%20della%20mafia.mp3


La relazione della commissione d’indagine
www.ilsecoloxix.it/italia_e_mondo/allegati/videopoker_relazione_commiss...

Macchinette sotto accusa

Secondo la relazione della Commissione di Indagine (chiusa il 23 marzo scorso) il fiume di denaro esce dagli apparecchi che, per la legge, dovrebbero essere collegati via modem con il cervellone della Sogei (la Società Generale di Informatica che si occupa di controlli sul pagamento delle imposte): una rete di controllo.

Così dovrebbe essere possibile verificare l’ammontare delle entrate e chiedere il pagamento delle imposte. In teoria. In realtà il business, secondo la Commissione, nasconderebbe una delle più grandi evasioni d’imposta e di sanzioni non pagate della storia della Repubblica. Scrivono gli esperti: «Per il 2006, secondo i dati dei Monopoli, a fronte di un volume di affari (ovvero la “raccolta di gioco”) pari a circa 15,4 miliardi di euro (di cui la quasi totalità derivante da apparecchi con vincite di denaro), vi è stato un gettito fiscale pari a 2 miliardi e 72 milioni di euro con circa 200mila apparecchi attivati».

Tutto a posto? Neanche per idea: «L’effettiva raccolta di gioco sarebbe di molto superiore alla cifra citata. Secondo stime della Finanza (in sostanziale accordo con le testimonianze di vari operatori del settore), la predetta raccolta di gioco ammonterebbe a 43,5 miliardi di euro». Come dire: il trecento per cento della somma “ufficiale”. Possibile? Sì, perché i due terzi delle macchinette non sono collegate alla rete di controllo, assicurano gli investigatori della Finanza, il Gat guidato dal colonnello Umberto Rapetto.

La “montagna” dei videopoker”

L’esempio più clamoroso arriva dalla Sicilia. La legge dice che i videopoker non collegabili alla rete di controllo devono essere chiusi in un magazzino. Bene: nel Comune di Riposto, in provincia di Catania (13.951 abitanti), nei locali di un solo bar di cinquanta metri quadrati sarebbero state depositate, in un solo giorno, 26.858 macchinette. Secondo un’elaborazione della Finanza, accatastate una sull’altra raggiungerebbero l’altezza del vicino Etna.

Il Secolo XIX ha visitato il bar di Riposto e il reportage si può leggere a pagina 2. È logico pensare che gli apparecchi “scollegati” siano stati utilizzati altrove, al di fuori di ogni verifica. Scrive la Commissione: «Dai dati forniti dagli stessi Monopoli emerge un numero esorbitante di apparecchi collocati in magazzino (40 mila) che, in realtà, potrebbero essere in esercizio senza connessione alla rete».

I controlli colabrodo

D’altra parte è difficile pensare che anche le verifiche siano state davvero incisive. Una “perla” di quel che è accaduto affiora dalla prima bozza della relazione, dove si racconta: «Nel corso degli accertamenti è risultato che, tra i funzionari verificatori “tecnici” fosse incaricato un “ingegnere” che risulterebbe essere stato condannato per usurpazione di titolo».

Ma la commissione guidata dal sottosegretario spara a zero su tutta la catena dei controlli. E non basta. Sul “malfunzionamento” del sistema «ha inciso anche la cattiva volontà di qualche concessionario scorretto, che, svolgendo contemporaneamente la funzione di controllore e di controllato, non aveva alcun interesse a collegare le macchine alla rete».

Le critiche ai Monopoli

La relazione della Commissione ripercorre punto per punto il fiume di denaro. Indica tutte le possibili perdite. E usa parole certo non indulgenti nei confronti dell’Agenzia per i Monopoli di Stato. «Nel corso dell’indagine sono sorti alcuni interrogativi su specifici comportamenti tenuti dai Monopoli in particolari occasioni», è riportato nella bozza del documento.

«Essi riguardano sia la fase di avvio delle reti telematiche e in particolare l’esito positivo dei collaudi allora condotti (sulle macchinette, ndr), subito dopo smentiti dall’esperienza applicativa, sia l’accelerato rilascio di nulla-osta di distribuzione per apparecchi nell’imminenza dell’entrata in vigore di una disciplina più stringente, sia infine l’omessa applicazione di sanzioni previste dalla legge e “l’invenzione” di regimi fiscali forfettari. A tali interrogativi i Monopoli dovrebbero essere chiamati a rispondere puntualmente».

Rivela ancora uno dei componenti della Commissione interpellato dal Secolo XIX: «I Monopoli hanno autorizzato persino macchinette apparentemente innocue, giochi di puro intrattenimento, senza scoprire che premendo un pulsante si trasformavano in slot-machine». Ancora: «L’applicazione di forfait ha permesso il dilagare di anomalie, perché la “cifra fissa” è assai più bassa di quella che potrebbe essere rilevata dalle macchine. Così in moltissimi casi sono state dichiarate avarie, guasti, difficoltà di collegamento dei modem solo per poter pagare di meno, con una perdita secca per lo Stato di miliardi di euro».

Critiche, quindi, al vertice dei Monopoli. Ma dalla relazione emergono anche accuse di corruzione nei confronti dei semplici funzionari chiamati a verificare il funzionamento delle macchinette: c’è stata «una retrodatazione delle autorizzazioni... tale anomala procedura avrebbe consentito ad almeno 28 aziende (alcune delle quali oggetto di indagini da parte della magistratura per presunti reati di corruzione nei confronti di dirigenti dei Monopoli) di eludere le disposizioni introdotte» successivamente dalla legge.

Le multe dimenticate

Nel paragrafo “Difetti di sistema riscontrati”, la commissione rincara la dose: «I Monopoli hanno sostanzialmente tollerato che l’impianto predisposto» per regolare il gioco e ottenere il pagamento delle imposte «non entrasse a regime per più di un anno, rinunciando a qualunque forma di sanzionamento che avrebbe dovuto essere attuata». E ancora: perché i Monopoli non hanno preteso il pagamento delle somme dovute? «Con riferimento ai debiti dei concessionari, le azioni poste in essere dai Monopoli per il recupero del credito sono state improntate, per motivazioni che andrebbero approfondite, su soluzioni gestionali (per esempio dilazioni) piuttosto che amministrativo-contrattuali (per esempio applicazione di penali, escussione delle fideiussioni prestate dai concessionari debitori, revoca della concessione), che alla commissione sembrano atti dovuti e obbligatori».

Il caso Atlantis

La relazione della Commissione spende molte parole per uno dei concessionari, la Atlantis World Group of Companies. È il 25 ottobre 2005 quando i Monopoli indirizzano una nota disponendo che «ogni apparecchio dotato di nulla-osta (cioè in regola, ndr) ma non collegato alla rete telematica dovrà obbligatoriamente essere collocato in un magazzino». Ma gli investigatori ipotizzano che proprio qui si siano verificate le più considerevoli anomalie. Proprio come quella del bar di Riposto, dove la Atlantis avrebbe stipato quasi 27 mila apparecchi.

L’inchiesta di Potenza

Ma a chi fa capo davvero Atlantis? Per ricostruirlo i finanzieri hanno utilizzato anche il risultato delle indagini della Procura di Potenza. È la stessa commissione che lo racconta: «Abbiamo tenuto conto dell’indagine avviata dalla magistratura di Potenza (quella, cioè, sul gioco d’azzardo che portò all’arresto del principe Vittorio Emanuele di Savoia, ndr) e degli elementi che questa ha fornito.

E abbiamo stabilito rapporti anche con il magistrato di Roma che ha ereditato per competenza il procedimento di Potenza contenente una lista di possibili imputati comprendenti il dottor Giorgio Tino (direttore dell’Agenzia dei Monopoli, ndr) e la dottoressa Anna Maria Barbarito (dirigente dei Monopoli , ndr)».

Il nome della società - come ha raccontato anche Marco Lillo sull’Espresso in un’inchiesta all’indomani dell’arresto di Vittoro Emanuele - emerge quando Henry Woodcock, pm di Potenza, convoca nel suo ufficio Amedeo Laboccetta, un esponente storico di An a Napoli, amico personale di Gianfranco Fini.

Laboccetta non si occupa, però, soltanto di politica, è anche il rappresentante in Italia di Atlantis, cioè della principale società concessionaria dei Monopoli per il controllo delle slot machine. Così i magistrati nel mare di intercettazioni che passa loro per le mani, ne trovano una in cui - nella primavera 2005 - Laboccetta parla con il segretario particolare di Gianfranco Fini, Francesco Proietti (eletto alla Camera nel 2006).

E il pm di Potenza, nella richiesta di arresto nei confronti di Vittorio Emanuele, accusa Proietti di aver effettuato una sorta di baratto con Giorgio Tino, il direttore dei Monopoli di Stato, proprio il soggetto che avrebbe l’obbligo di vigilare sui giochi d’azzardo. Proietti e i suoi amici di An, secondo la ricostruzione del magistrato, evitano la revoca della concessione per Atlantis World e in cambio sostengono la scelta di Tino al vertice dei Monopoli.

Il dirigente, nominato dall’ex ministro Giulio Tremonti, è stato riconfermato dal centrosinistra nonostante l’indagine di Potenza. Dalle telefonate si comprendono gli interessi in gioco: si parla di milioni di euro che i Monopoli dovrebbero incassare e che mancano all’appello. Atlantis è il leader del mercato, ma è in ritardo con il versamento della quota spettante allo Stato. E il rischio del ritiro della concessione avrebbe prodotto un danno di milioni di euro alla società guidata da Laboccetta, un’impresa con base alle Antille.

Tra i soci di maggior peso ci sarebbe Francesco Corallo, figlio del pregiudicato Gaetano, condannato per associazione a delinquere. «Don Gaetano - ricostruisce Marco Lillo - ha scontato la sua pena, ma negli anni Ottanta fu arrestato per la scalata ai casinò di Campione e Sanremo. In quella indagine emersero i rapporti di don Tano con il boss della mafia catanese Nitto Santapaola. Corallo junior non era indagato e oggi guida un impero che controlla tre casinò alle Antille».

E nell’isola di Saint Marteen, Fini e la moglie vanno in vacanza nel 2004. «Il presidente, come è noto, è amante della pesca subacquea», spiegano negli ambienti di An.

Un tesoro da 98 miliardi

La formula magica ha uno strano nome, Preu, che poi è l’acronimo di prelievo erariale unico. Di fatto, la tassa sui videopoker, che assegna allo Stato il 13,5 del giro d’affari. I Monopoli, spiega la commissione, invece di pretendere il pagamento dell’imposta prevista dalla legge, si accontentano di un forfait. Ma non basta. Per evitare trucchi le norme prevedevano multe salate, salatissime: 50 euro per ogni ora di mancata connessione alla rete Sogei. Le macchinette collegate, però, per molti mesi sono rimaste una piccola minoranza. Gli stessi Monopoli, in un passo della relazione, ammettono: «Nel 2004 c’erano 95.767 macchine autorizzate, ma nessuna collegata alla rete».

E la situazione non si è poi schiodata di molto. Almeno fino alla consegna della relazione della Commissione. Dopo le rivelazioni degli esperti, qualcuno ha finalmente pensato ad affrontare la questione. Gli uomini del Gat hanno provato a calcolare l’ammontare di tutte le sanzioni non riscosse. Poi a queste hanno aggiunto le imposte non pagate. Ne è venuta fuori una cifra talmente enorme che gli stessi finanzieri all’inizio stentavano a crederci: 98 miliardi di euro. Potevano essere nelle tasche degli italiani. Invece sono finite in parte alle concessionarie meno oneste, in parte alla mafia.

La montagna di videopoker, di Paolo Crecchi de Il Secolo XIX.

www.ilsecoloxix.it/italia_e_mondo/view.php?DIR=/italia_e_mondo/documenti/2007/05/31/&CODE=1ab7ebe0-0f79-11dc-9dea-0003...



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26/09/2007 17:59
 
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LETTERE AL DIRETTORE DEI MONOPOLI DI STATO

Gentile dottor Giorgio Tino,

ci piacerebbe porgerle queste domande a voce, ma parlarLe sembra essere impossibile. Da mesi La cerchiamo
inutilmente, cominciamo quasi a dubitare che Lei esista davvero. E dire che Lei avrebbe interesse a rispondere (oltre
che il dovere). Secondo il rapporto di una commissione di inchiesta parlamentare e secondo gli uomini della Guardia di
Finanza infatti, tra imposte non pagate e multe non riscosse le società concessionarie delle slot machine devono allo
Stato 98 miliardi di euro
(sì, proprio miliardi, quelli con nove zero, per capirci). Sarebbe una delle più grandi evasioni
della storia d’Italia.

Secondo la commissione e gli investigatori, questo tesoro – che equivale a tre manovre finanziarie costate lacrime e
sangue ai contribuenti – sarebbe stato in sostanza regalato alle società che gestiscono il gioco d’azzardo legalizzato. Di
più: nei consigli di amministrazione di alcune di queste società siedono uomini appartenenti a famiglie legate alla
Mafia.
Insomma, lo Stato italiano invece di combattere Cosa Nostra le avrebbe regalato decine di miliardi di euro.

Con quel denaro si potrebbero costruire metropolitane in tutte le principali città d’Italia. Si potrebbero comprare 1.000
Canadair per spegnere gli incendi. Potremmo ammodernare cinquecento ospedali oppure organizzare quattro olimpiadi.
Si potrebbero realizzare impianti fotovoltaici capaci di fornire energia elettrica a milioni di persone oppure si potrebbe
costruire la migliore rete di ferroviaria del mondo.


Da mesi noi abbiamo riportato sul nostro giornale, Il Secolo XIX, i risultati dell’indagine. Decine di pagine di cronaca
che non sono mai state smentite
. Secondo la commissione d’inchiesta, i Monopoli di Stato hanno gravi responsabilità
nella vicenda. Non solo: la Corte dei Conti ha chiesto alle società concessionarie di pagare decine di miliardi di euro per
il risarcimento del danno ingiusto patito dallo Stato. E nei Suoi confronti, signor Tino, i magistrati hanno aperto un
procedimento per chiedere il pagamento di 1,2 miliardi di euro di danni.

Ma Lei che cosa fa? Tace e rimane al suo posto, come tutti i responsabili dei Monopoli, dalla dottoressa Barbarito alla
dottoressa Alemanno (sorella dell’ex ministro di Alleanza Nazionale).
E, cosa ancora più incredibile, tace il vice-ministro dell’Economia, Vincenzo Visco (che da mesi ha ricevuto il rapporto
della commissione di inchiesta), da cui Lei dipende.
Ma noi proviamo a porLe ancora una volta alcune domande:
- Come mai nell’agosto scorso il Governo Prodi ha deciso di confermare la Sua nomina al vertice dei Monopoli
di Stato nonostante che, appena un mese prima, Lei fosse stato indagato dai magistrati di Potenza nell’inchiesta
sul gioco d’azzardo?
- E’ vero, come risulterebbe dalle intercettazioni telefoniche, che alcuni membri della Sua famiglia avrebbero
ricevuto viaggi in regalo da importanti compagnie produttrici di tabacco?
- Perché, nonostante Lei fosse al vertice dei Monopoli di Stato, sedeva anche nel consiglio di amministrazione di
una delle più importanti multinazionali di distribuzione dei tabacchi?
- Ma soprattutto: può spiegarci per filo e per segno che fine hanno fatto quei 98 miliardi di euro che secondo la
Finanza sono stati sottratti alle casse dello Stato? E può dirci perché i Monopoli, come sostengono gli
investigatori, non hanno chiesto il pagamento di nemmeno un euro di multa?
Finora Lei non ci ha mai voluto rispondere. Forse conta sul sostegno del mondo politico. Del resto la Sua poltrona è una
delle più ambite d’Italia. Pochi lo sanno, ma i Monopoli gestiscono il commercio del tabacco e del gioco d’azzardo
legalizzato.
Insomma, un tesoro, su cui i partiti si sono lanciati da anni: An ha suoi rappresentanti proprio nei consigli di
amministrazione delle società concessionarie delle slot machine, mentre le federazioni dei Ds sono proprietarie di molte
sale Bingo.
Così Lei può permettersi di tacere.
Ma chissà che cosa farebbe se a ripeterLe queste domande fossero decine di migliaia
di visitatori di questo blog
(l’indirizzo dell’ufficio stampa è ufficiostampa@aams.it )?Marco Menduni
Ferruccio Sansa
Giornalisti del Secolo XIX
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26/09/2007 18:44
 
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IL LUPO PERDE IL PELO MA NON IL VIZIO


da Dagospia 5-3-07 CUORE SPITZATO - SI INFIAMMA IL CASO INCARICHI-AFFITTI .....

CUORE SPITZATO - SI INFIAMMA IL CASO INCARICHI-AFFITTI CHE VEDE AL CENTRO LADY FOLLINI - VISCO CONTRO ‘IL SECOLO XIX’: “NON PERMETTETEVI PIU’ DI SCRIVERE DI QUESTA STORIA” - QUANTO PAGA D'AFFITTO LA NENS DI VISCO-BERSANI, QUAL È IL PENSO DELLA SPITZ?…

1 - VISCO CONTRO IL SECOLO XIX: “NON PERMETTETEVI PIU’ DI SCRIVERE DI QUESTA STORIA”

Da Il Secolo XIX - «Non permettetevi più di scrivere queste cose», parola di Vincenzo Visco. Sono le 13,19 di ieri quando il viceministro dell'Economia viene raggiunto al telefono dal Secolo XIX.
Signor ministro, posso farle qualche domanda a proposito dei suoi rapporti con l'architetto Elisabetta Spitz?

«Senta... Io sono in riunione e poi non ho nessuna intenzione di parlare con voi».

Noi chi, intende i giornalisti in generale o Il Secolo XIX in particolare?

«Tutte e due le cose».

Ma non crede che l'opinione pubblica abbia diritto di essere informata?

«Piantatela con questa roba».

Onorevole Visco, è vero che lei ha scelto l'architetto Spitz come direttore dell'agenzia del Demanio?

«La dottoressa è uno dei migliori manager che lavorano per il nostro ministero».

Spitz è stata scelta da lei con un contratto di diritto privato per diventare responsabile dell'agenzia del Demanio, un posto ambitissimo, di grande potere. E adesso un'associazione fondata dai ministri Visco e Bersani viene ospitata nei locali dove l'architetto aveva lo studio, un appartamento della famiglia Spitz...

«Non c'è niente da chiarire».

Almeno ci dica se occupate quei locali con un contratto di affitto oppure a titolo gratuito.

«Siamo in affitto».

Per quale cifra?

«Non permettetevi più di scrivere di questa storia».

Signor ministro, detta così sembra una minaccia...

«Non permettetevi di scrivere più».

Altrimenti?

«Oltre alle conseguenze dell'azione legale intentata dalla signora Spitz, ci saranno anche quelle per le querele che presenteremo noi».

Signor ministro, volevamo darvi la possibilità di replicare, di smentire le notizie che abbiamo pubblicato, se sono false.

«Basta con questa storia».

Ci può dire almeno chi è l'intestatario dell'appartamento affittato dall'associazione fondata da lei e Bersani? Potreste mostrarci il contratto di affitto o almeno dirci la cifra pagata mensilmente?
La linea cade all'improvviso.

2 - UN CENTRO DI VISCO-BERSANI NELLA CASA DI FAMIGLIA DEL CAPO DEL DEMANIO

Da Il Secolo XIX - Nessuno parla. Nemmeno per smentire. Governo e politici fanno muro rispetto al caso, svelato dal Secolo XIX, degli "incroci" di incarichi e uffici tra il viceministro all'Economia Vincenzo Visco e il direttore dell'Agenzia del demanio Elisabetta Spitz. L'architetto Spitz occupa quel posto dal 2000, sponsor proprio l'allora ministro Visco. Un incarico sempre rinnovato dai governi che si sono succeduti, l'ultima volta il 2 febbraio.

La Spitz ha chiuso le sue precedenti società, in via Angelico 163, nella capitale, nell'elegante quartiere Prati. L'ufficio nel quale lavorava ospita oggi l'associazione "Nuova Economia Nuova Società", il centro di studi economici fondato dal ministro Pierluigi Bersani e dall'attuale viceministro dell'economia Vincenzo Visco.

Raggiunto dal Secolo XIX, Visco non vuole spiegare:

«Non permettetevi più di scrivere di questa storia, piantatela con questa roba».

Silente Bersani. E' stato cercato più volte sia dalla "batteria" del ministero dell'Interno, sia attraverso il suo portavoce. Che ha assicurato:

«Farò vedere l'articolo al ministro».

Ma poi il telefonino è squillato sempre a vuoto. Senza esito anche il tentativo con il ministero dell'Economia. Ad uno dei più stretti collaboratori del ministro Tommaso Padoa-Schioppa abbiamo chiesto i documenti sulla proroga dell'incarico a Elisabetta Spitz e, soprattutto, sul compenso percepito. La risposta del ministero:

«Non vediamo quale possa essere l'interesse per la questione».

Alle nostre insistenze, la promessa:

«Vediamo e vi sapremo dire più tardi».

Nessuno si fa più vivo.

Alle ore 11,52 ci mettiamo in contatto con l’associazione “Nuova Economia Nuova Società”, il cui acronimo è Nens, per cercare qualche chiarimento. Chiediamo del nome che ci è stato indicato come direttore, Giovanni Fornicola. La risposta arriva da una segretaria dopo pochi minuti:

«Il nostro direttore mi ha detto che non ha alcuna intenzione di parlare con voi, scrivete quello che volete, questa storia non ci tocca».

Alle domande del Secolo XIX su chi fosse il proprietario dell’appartamento in cui aveva lavorato e in cui erano state ospitate le sue società (nell’articolo pubblicato nell’edizione di ieri), l’architetto Elisabetta Spitz aveva opposto il silenzio:

«Ho lasciato quell’appartamento diversi anni fa. Sono proprietaria del 50 per cento di un alloggio sulla collina Fleming e di un altro al mare. Potete controllare sugli atti ufficiali».

Ma è di proprietà di una persona a lei vicina, un amico o un familiare?

«Non potete disturbarmi per queste cose».

L’appartamento in viale Angelico 163 è di Alessandra Spitz, sorella di Elisabetta. Alessandra Spitz, giornalista, è caporedattore all’agenzia Ansa, nella sede di Roma. Conferma: «Sì, l’appartamento è mio, l’ho ereditato dai miei genitori. Per un certo tempo è stato occupato da mia sorella per le sue attività». L'ha affittato successivamente alla Nens? «L’ho affittato a un vecchio amico e lì hanno deciso di porre la sede dell’associazione. E’ stata una mia iniziativa e mia sorella non c’entra assolutamente nulla».

E’ possibile sapere a che cifra è stato affittato all’associazione fondata da Pierluigi Bersani e Vincenzo Visco?

«No, mi dispiace, ma lo reputo un fatto assolutamente privato».

Così come un fatto privato sembra essere il compenso corrisposto a Elisabetta Spitz come direttore dell’Agenzia del demanio, primattrice della “privatizzazione” dei beni immobili dello Stato.
Alle 15,35, come anticipato, abbiamo parlato con uno stretto collaboratore del ministro Padoa -Schioppa. Ricordiamo: il 2 febbraio scorso la Spitz è stata riconfermata nel suo incarico su sua proposta. Il secondo rinnovo, dopo che anche il ministro Giulio Tremonti, governo Berlusconi, aveva dato il via libera. La risposta del ministero:

«Non vediamo quale possa essere l’interesse per la questione».

Certo, pesano sulla vicenda anche le polemiche scatenate dal senatore Sergio De Gregorio. L’architetto Spitz è infatti la moglie di Marco Follini, il leader dell’Italia di mezzo, il cui voto ha garantito una nuova vita al governo di Romano Prodi.
I boatos romani (ripresi ieri anche dal sito Dagospia, insieme all’inchiesta del Secolo XIX) parlano però di un matrimonio ormai giunto al capolinea e una conferma di queste voci giunge anche da ambienti familiari.

In una giornata caratterizzata da un generalizzato attacco di afasia e di mutismo, l’unico a parlare è Ugo Sposetti, il tesoriere dei Ds, anche se su un aspetto marginale della vicenda. Lo fa per ribattere a una polemica, lanciata in passato dai parlamentari Udc Mario Tassone e Luca Volontè. In un’interrogazione avevano chiesto se Elisabetta Spitz avesse progettato la ristrutturazione della sede dei Democratici di Sinistra, lo storico edificio di via delle Botteghe Oscure. Dice Sposetti: «L’architetto Spitz è un grande professionista ma non mi risulta che abbia mai lavorato per il nostro partito, né che abbia progettato la ristrutturazione dell’immobile di via delle Botteghe Oscure. Chi calunnia un professionista di queste capacità andrebbe rinchiuso in manicomio».

Così si torna al capolinea. In viale Angelico 163, davanti al grande palazzo che ha ospitato prima le società di Elisabetta Spitz e ora l’associazione di Visco e di Bersani. Attivissima prima dell’affermazione elettorale del centrosinistra, oggi assai meno. Evidente conseguenza degli impegni governativi dei due. Almeno a sentire la testimonianza degli altri condomini: «Prima l’odore dei sigari di Bersani riusciva a diffondersi anche negli altri piani del palazzo, ora, per fortuna, molto meno».
L’ultimo tentativo della giornata è ancora rivolto al portavoce del viceministro Vincenzo Visco, dopo la tumultuosa conversazione che pubblichiamo in un altro articolo di questa pagina. Ma anche quel numero di cellulare rimane, per tutta la giornata, silenzioso.

3 - CRONACA DI UN'INCHIESTA NORMALE

Editoriale di Lanfranco Vaccari, direttore del Secolo XIX

Mercoledì scorso, giorno in cui Romano Prodi si è presentato al Senato per chiedere il voto di fiducia, ho deciso di non pubblicare nell'edizione di giovedì un articolo di Marco Menduni, un giornalista del Secolo XIX, fra i migliori con cui, in 38 anni di professione, mi sia capitato di lavorare. Raccontava dell'architetto Elisabetta Spitz, moglie di Marco Follini, e fra le altre cose del fatto che il ministero dell'Economia l'aveva confermata direttore del Demanio.
Avevo il timore che la notizia potesse venire strumentalizzata. Proprio quel giorno, Follini ha votato sì al governo di centro-sinistra dopo essere stato eletto nel centro-destra. A mio parere, le due cose non avevano alcun nesso.

L'indomani, giovedì, in un'intervista a Radio Popolare Network, il senatore Sergio De Gregorio (eletto nel centro-sinistra e passato al centro-destra) ha apertamente collegato «l'appoggio esterno di Follini a questo governo (...) alla conferma dell'incarico di Direttore Generale dell'Agenzia del Demanio per latri cinque anni a sua moglie».

Tanta sicumera è mal riposta. I tempi fra la riconferma dell'architetto Spitz e la crisi politica che ha costretto Prodi a chiedere la fiducia non autorizzano a stabilire un rapporto di causa-effetto. Il ministero dell'Economia ha ufficializzato la sua decisione il 2 febbraio. La crisi si è aperta il 21. In più, quale che sia l'opinione sulla scelta di Follini, l'uomo merita rispetto. È miserabile pensare che si sia abbassato a un tanto volgare mercanteggiamento.

Non so chi sia la fonte di De Gregorio, anche perché nella sua posizione di presidente della commissione Difesa del Senato immagino abbia solo l'imbarazzo della scelta. Non ho tuttavia alcun problema a rivelare come ci siamo arrivati noi del Secolo XIX. Menduni lavora da qualche settimana su una storia a proposito di una villetta sugli scogli a Recco, che ospita la sede part-time della Forestale e anche l'alloggio di servizio di Walter Lupi, direttore del Siit (ex Genio civile) per la Lombardia e la Liguria. Durante quell'inchiesta è saltato fuori un documento, intestato "Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti", in cui la villetta passa dal demanio marittimo al patrimonio dello Stato. In calce porta la firma dell'architetto Spitz, direttore dell'Agenzia del demanio. La normale curiosità di un giornalista ha fatto il resto.

Con una ricerca su internet si è trovato il documento con cui il ministero dell'Economia la riconfermava al Demanio. Una visita al sito Cerved ha permesso di ricostruire le attività dell'architetto: tutte le sue società risultavano domiciliate in viale Angelico 163, Roma. Un controllo a quell'indirizzo ha consentito di stabilire che ora i locali sono occupati dall'associazione Nens (Nuova Economia Nuova Società). Ancora su internet ed è saltato fuori che l'associazione è stata fondata da Pierluigi Bersani, ministro delle Attività produttive, e Vincenzo Visco, viceministro dell'Economia.
Era stato proprio Visco, sette anni fa, a proporre l'architetto Spitz all'agenzia del Demanio. La domanda successiva è banalmente legittima: siamo forse davanti a un intreccio fra pubblico e privato, fra incarichi e affitti?

Per cercare una smentita a questa sgradevole eventualità, due giornalisti del Secolo XIX, lo stesso Menduni e Ferruccio Sansa, hanno lavorato tutta la giornata di ieri. Hanno parlato con Visco e con altri componenti della famiglia Spitz (con la signora Elisabetta c'era stato un contatto ieri). Hanno sentito squillare a vuoto il cellulare di Bersani, al quale avrebbero volentieri chiesto quando paga di affitto la Nens. Hanno cercato di sapere dal ministero dell'Economia quale sia il compenso riconosciuto all'architetto.Hanno insomma fatto il loro mestiere. Li ha guidati una convinzione forse ingenua: la necessità della trasparenza. Del resto, proprio l'altro ieri a Genova, Luigi Nicolais, ministro per le Riforme e l'Innovazione nella pubblica amministrazione, aveva annunciato che sono già in vigore due direttive (con "obbligo immediato") che vincolano i pubblici amministratori a

«rendere pubblico il loro stato patrimoniale e tutte le loro consulenze».

Purtroppo, Menduni e Sansa si sono trovati davanti a un muro di silenzio. Anzi, a qualcosa di peggio. Sempre a pagina 3, pubblichiamo il testo del colloquio telefonico che il Secolo XIX ha avuto nel primo pomeriggio di ieri con Visco.

«Non ho nessuna intenzione di parlare con voi». «Piantatela con questa roba». «Non c'è niente da chiarire». «Non permettetevi più di scrivere di questa storia».

E il rumore della comunicazione interrotta a chiudere uno scambio di battute condotto con un tono neppur troppo vagamente minaccioso. Poi, uno dei collaboratori del ministro Tommaso Padoa-Schioppa ha liquidato come di «nessun interesse»
la questione del compenso dell'architetto Spitz.
Ora, noi del Secolo XIX riteniamo che questa sia una piccola storia (in cui il voto favorevole a Prodi da parte di Follini non ha la minima parte) e che non abbia niente a che vedere con il Watergate. Siamo però convinti che essa sia anche molto istruttiva. Dell'opacità con cui, smentendo uno dei suoi membri, il ministro Nicolais, questo governo conduce almeno una parte della sua azione. Dell'arroganza con cui vengono respinte alcune semplici domande (dimenticando che le domande non sono mai indiscrete, ma che a volte lo sono le risposte). Dell'incapacità di accettare il confronto su argomenti che, per una volta, vanno oltre la "lingua di legno" del politichese. Dell'infima considerazione per il ruolo dell'informazione, che agli occhi di troppi in questo Paese serve solo come grancassa propagandistica.
Per non fare gonfiare questa piccola storia come la rana della favola, sarebbe bastato pochissimo. Un po' di documenti e qualche cifra per far sapere, tanto per cominciare, quanto paga d'affitto la Nens per l'appartamento di viale Angelico e quale compenso percepisce l'architetto Spitz. Tutto qui. La dietrologia non ci appartiene. Il giornalismo, ancora sì.


Dagospia 05 Marzo 2007


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26/09/2007 20:06
 
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re

Beppe GRILLO Presidente e PAPA subito

VAFFANCULO !!!!!

omega [SM=x1061912] [SM=x1061912] [SM=x1061912]



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28/09/2007 12:26
 
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Questi sono i mancati versamenti contestati ai 10 concessionari il resto sono multe per inadempienze gravi.

Cirsa: 21.359.812,50 euro;

Sisal: 21.907.781,45;

Videoslot lottomatica: 25.453.406,47;

Gmatica: 40.931.984,88;

Codere: 9.301.497,11;

Hbg: 39.251.066,14;

Atlantis: 100.720.155,08;

Gamenet: 48.237.748,08;

Cogetech: 39.809.830,18;

Snai: 26.982.759,08;

per un totale di 373.956.040,97 €uro.

fonte
www.coriolanogames.com/index.htm

Da quanto ho capito il fatto è che c'erano delle clausole pesantissime per il mancato collegamento degli apparecchi compito primario dei concessionari.

I 98 miliardi sarebbero in gran parte frutto di un calcolo sui mancati incassi derivanti dal mancato collegamento degli apparecchi + multe.


CONCESSIONARI AL TAR: LA SENTENZA
ca - 26/07/2007 - 14:50

Accolte, dal Tribunale Amministrativo del Lazio, le "domande cautelari limitatamente alla parte in cui nel provvedimento impugnato si chiede alla ricorrente il versamento delle somme in esso indicate", presentate dai concessioanri per la gestione della rete New slot, con le seguenti motivazioni.
La seconda sezione del Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato in blocco dai dieci concessionari autorizzati Aams, Assoslot, Acadi e Snai spa per la gestione della rete new slot, ritenendo illegittimo il provvedimento dei Monopoli che pretendeva il pagamento delle multe miliardarie prima della valutazione nel merito delle inadempienze dei provider oltre al rilevare un danno grave e irreparabile, stante la rilevanza delle somme richieste.
Ecco i passi salienti della sentenza:
"Considerato che la questione di giurisdizione, eccepita dalla difesa erariale, potrà essere adeguatamente valutata in sede di merito, questione che, peraltro, sembra implicitamente affermata nei precedenti della Seconda Sezione di questo T.A.R. (cfr. ord.za n. 2137/2007 ed altre); Tenuto conto che, con l'impugnato provvedimento, l'A.A.M.S. ha richiesto alla ricorrente il pagamento delle penali in esso indicate, "a prescindere" (come testualmente nello stesso affermato) da ogni valutazione nel merito delle inadempienze e, contestualmente, ha proceduto alla contestazione formale, ai sensi dell'art. 27, comma 1, della convenzione di concessione;




Ritenuto che le predette simultanee determinazioni appaiono, ad una sommaria delibazione, incompatibili tra loro, in quanto la richiesta di pagamento deve seguire temporalmente sia la valutazione nel merito delle inadempienze, sia l'atto di contestazione; il quale ultimo è appunto finalizzato a sollecitare le difese del soggetto contestato, sulle quali poi l'Amministrazione si dovrà definitivamente pronunciare e, in quella sede, eventualmente, chiedere il pagamento di quanto definitivamente accertato;





Rilevato, pertanto, che il censurato provvedimento, per le considerazioni di cui sopra, deve ritenersi, prima facie, illegittimo quanto meno nella parte in cui l'A.A.M.S. richiede il pagamento delle penali in questione e che in parte qua sussiste anche il dedotto danno grave e irreparabile, stante la rilevanza delle somme richieste".




NORMALE AMMINISTRAZIONE




IL TAR STRACCIA LE MAXIMULTE AI CONCESSIONARI
ca - 26/07/2007 - 10:27

La seconda sezione del Tar del Lazio ha accolto oggi il ricorso presentato dai dieci concessionari Aams per la gestione della rete new slot, contro il provvedimento amministrativo che ordinava il pagamento di penali per circa 4,8 miliardi di euro.


Sventato quindi, per i concessionari, il pagamento di sanzioni miliardarie anche se, come era stato valutato nei giorni successivi all'uscita del provvedimento Aams, i soggetti multati non avrebbero potuto saldare un conto salato di questo genere.


Arriva, intanto, la posizione di Snai Spa che spiega i motivi dell'accoglimento del ricorso: "La memoria difensiva di Snai Spa è stata predisposta e discussa da un collegio difensivo composto dagli avvocati Fabio Lorenzoni Leopoldo Di Bonito e dal professor avvocato Mario Sanino. La richiesta di pagamento non riguardava somme dovute a titolo di prelievo erariale, bensì importi aventi natura di penali contrattuali correlate a presunti ed indimostrati inadempimenti della convenzione vigente con Aams in materia di apparecchi da intrattenimento (new-slot)".
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09/06/2010 15:26
 
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SCANDALO SLOT MACHINE: CON I 98 MILIARDI DOVUTI DALLE CONCESSIONARIE AVREMMO PAGATO 4 MANOVRE



DAL 2007, PER IL MANCATO COLLEGAMENTO DELLE SLOT AI TERMINALI DEL MINISTERO, 10 CONCESSIONARIE SONO STATE CONDANNATE DALLA CORTE DEI CONTI A PAGARE 98
MILIARDI
….DIETRO LE SOCIETA’ GLI INTERESSI DELLA POLITICA CHE HA PIU’ VOLTE CERCATO DI INSABBIARE..SAREBBE BASTATO RISCUOTERE UN 25% E NON CI SAREBBE STATA NESSUNA  MANOVRA




Ritorniamo su una vicenda che abbiamo trattato a lungo e nei dettagli, ricordando il merito del quotidiano “il Secolo XIX” e del suo giornalista Marco Menduni nell’aver sollevato a suo tempo il coperchio, con una inchiesta precisa e documentata, su uno dei più grossi scandali del dopoguerra.

Tutto inizia nel maggio 2007, quando il Gat, il Gruppo antifrodi tecnologiche della GdF chiude gli accertamenti sulle storture e le anomalie del grande business dell slot machine, le macchinette infernali che iniziavano a riempire i bar del nostro Paese.

I finanzieri mandano il rapporto alla Corte dei Conti: le dieci società che avevano ricevuto la concessione di Stato per le slot, tra tasse evase, contratti non rispettati, penali, multe e interessi, devono allo Stato la bellezza di 98 miliardi di euro.

In pratica il sistema di controllo telematico delle giocate e delle imposte dovute ha fatto cilecca per anni.

Anni nel corso dei quali non sono stati versati i corrispettivi dovuti allo Stato mentre i concessionari hanno intascato miliardi a palate.

Nel silenzio generale dei media (salvo “Striscia la notizia”), l’inchiesta del “Secolo XIX” va avanti e il 4 dicembre 2008 inizia il processo.

I difensori delle concessionarie contestano la competenza della Corte dei Conti e si rivolgono in Cassazione: un anno fa la Cassazione decide che il processo può invece andare avanti e inizierà a ottobre 2010.

Nel frattempo abbiamo assistito a numerosi tentativi di colpi di spugna in Parlamento da parte di varie forze politiche, tutti stoppati grazie all’intervento del quotidiano che li ha regolarmente denunciati.

In pratica le forze politiche, invece che essere felici di far incassare allo Stato 98 miliardi, hanno cercato di favorire gli evasori.

E’ ormai evidente il gioco: le concessionarie tendono ad allungare i tempi, convinte che prima o poi la politica riuscirà a piazzare il condono.

In Italia il giro di denaro delle slot è di circa 2 miliardi al mese, 25 miliardi l’anno, tanto per capire che interessi si nascondono.

Alcune società risultano essere collegate ad esponenti dei partiti.
Non è un mistero che la più grande, Atlantis, che deve 30 miliardi allo Stato, vedeva a quei tempi, come suo legale rappresentante, l’on.Amedeo Laboccetta, parlamentare Pdl.

Successivamente si è dimesso, come ama ricordare, ma la cosa cambia relativamente.

In quelle 10 società sono interessati esponenti di vari partiti, inutile negarlo: le aziende avevano dei referenti nel potere politico, non a caso hanno avuto le concessioni.

Ma gli italiani si interrogano: perchè dobbiamo fare un manovra da 25 miliardi di euro, lacrime e sangue, quando basterebbe che lo Stato incassasse quanto dovuto per fronteggiare l’equivalente di ben 4 finanziarie?

E se anche si volesse scendere a un compromesso e accontentarsi del 25% di 98 miliardi, la cifra coprirebbe l’intera manovra.

Perchè chi ha sottratto miliardi non deve pagare e il cittadino comune sì?

 
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