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CARCERE PER TRASFORMARE I COLPEVOLI IN VITTIME!

Ultimo Aggiornamento: 22/02/2011 00:47
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E' giusto che chi si macchia di un reato sia processato, giudicato e riceva una condanna da scontare in un istituto di pena.

Attualmente, le carceri italiane ospitano quasi 70 mila detenuti, circa 30 mila in più di quante possano contenere.

Alcune strutture nuove, in grado di offrire uno spazio aggiuntivo per poter dirottare i detenuti, per assurdo, su trecento detenuti che potrebbero trovare una propria collocazione, ne ospitano 100, perchè non c'è sufficiente personale e soldi per assicurare un minimo di vivibilità dignitosa per un essere umano.

Le testimonianze che seguono sono autentiche e inquietanti. Si tratta di racconti e dichiarazioni che avvengono nel quotidiano, di gente che muore, viene torturata e uccisa.
Se nessuno parla di queste storie, allora queste storie non sono mai accadute. “La storia esiste se qualcuno la racconta”, diceva il giornalista Tiziano Terzani.

Vado avanti!

In alcuni carceri manca l'acqua e dove c'è l'acqua, non sempre è potabile.

Nel carcere di Enna, in Sicilia, 12 guardie carcerarie, sono rimaste intossicate dopo aver mangiato alla mensa uno spezzatino. Ecco ciò che mangiano i detenuti ogni giorno!

Non passano ventiquattrore dell’orologio senza che ci siano diversi reclusi che tentano di uccidersi. Di solito sono giovani, con piccoli reati da scontare, ma sono i più fragili psicologicamente. Per quanto si cerchi di fermarli, già 46 detenuti, negli ultimi mesi, sono riusciti ad impiccarsi e morire.

Molti detenuti che stanno male per non essere curati e assistiti, prima che possano morire in carcere, vengono immediatamente dirottati negli ospedali, per non farli rientrare nelle statistiche dei decessi carcerari.

Nel carcere dell'Ucciardone, è successo che alcuni detenuti vengono "parcheggiati" nei canili comunali, perche non sanno come sistemarli, in attesa dell'immatricolazione.
Le persone, in attesa di immatricolazione vengono chiuse in una cella larga un metro e mezzo in condizioni igieniche disastrose. Il 22 maggio del 2010 viene pubblicata la lettera di Giuseppe, 32 anni: “Cara Radiocarcere, sono un detenuto dell’Ucciardone e quando sono entrato qui dentro sono stato rinchiuso nel canile; ovvero una gabbietta, larga un metro e alta due, dove stai chiuso in piedi per ore, qualcuno anche per giorni, io ci sono stato 10 ore. E’ stato terribile. Vomitavo, facevo i bisogni e piangevo, ma nessuno è venuto a vedere come stavo.”

Il personale carcerario non è sufficiente per garantire la sicurezza nelle carceri. E' sottoposto a straordinari fino a 19 ore al giorno (una guardia carceraria di Torino, ha denunciato di aver fatto 23 ore di lavoro in un giorno). Gli straordinari, tra l'altro non vengono pagati.

Il nervosismo del personale carcerario ha raggiunto un grado di stress, così da far aumentare, in modo esponenziale, le guardie che si mettono in mutua.

I detenuti più prepotenti spadroneggiano indisturbati, perchè nessuno si occupa di mantenere l'ordine.

L'assistenza sanitaria è al limite del grottesco, non ci sono farmaci adatti alle patologie dei detenuti e si usano quelli che si hanno a disposizione, molto spesso compromettendo la salute del detenuto, provocandogli gravi conseguenze.

Ogni giorno, in certe situazioni di emergenza si deve "improvvisare", poi se succede qualcosa, nessuno si assume le responsabilità.

I casi di "omicidio" come quello di Stefano Cucchi, massacrato di botte e abbandonato in agonia per sei giorni, non ricevono giustizia e si protraggono per anni nelle aule dei Tribunali, con costi per le famiglie, colpite da questo dramma, insostenibili.

C'è una situazione di abbandono e di assenza dello Stato di una gravità estrema. Ogni giorno, gli appelli dei sindacati di polizia penitenziaria, sono accantonati. Ogni giorno, gli appelli dei famigliari dei detenuti rimangono privi di risposte, da parte del nostro Governo.

Poi, c'è da fare questa triste e reale constatazione, e cioè che alcuni detenuti resosi colpevoli di reati odiosi, meriterebbero un carcere "duro", ma, comunque, senza cadere nella violazione dei Diritti Umani. Ci sono detenuti che commettono reati meno odiosi, meritandosi, comunque, il carcere, ma senza cadere nella violazione dei Diritti Umani. Purtroppo, ci sono detenuti che sono innocenti e sono numerosi, che non meritano il carcere, ma stranamente sono, a volte, coloro che pagano il prezzo più alto.

Questo tipo di sofferenza va raccontata perchè deve lasciare un segno nelle coscienze e perchè ci sia una memoria accertata che sparga questi semi come chiodi conficcati nella Costituzione dei Diritti Umani che sanguina come un "crocifisso".

Riporto un link di un video che, questa mattina, mi ha profondamente impressionato. Non consiglio la visione a persone di particolare sensibilità. E' certamente una testimonianza forte sull'annientamento della dignità degli uomini, in modo sistematico, fino a ridurli a meno di niente. Un video molto crudo e violento che avviene mentre noi viviamo una vita dove la parola “tortura” non viene neanche pronunciata.

VIDEO SCONSIGLIATO A PERSONE EMOTIVAMENTE FRAGILI

Pensate che questo non succeda nelle nostre strutture carcerarie?
Qualche mese fa, c'è stata un’ispezione del Senatore Marino, Presidente della Commissione d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale, all'interno di alcune strutture psichiatriche giudiziarie.

E' stata consegnata una relazione raccapricciante, con una descrizione sulle cose viste, da film dell'orrore:

- Letti di contenzione.

- Lenzuola e biancheria sporca.

- Nove detenuti ammassati nella stessa cella.

- Per tenere in fresco l'acqua, le bottiglie erano lasciate nei water.

- Lo spazio in cella per ogni detenuto arriva a 2 metri quadrati.

Non mi risulta che qualcuno si sia mosso per un piano di emergenza, a favore di centinaia di esseri umani in condizioni devastanti per la dignità.

Ogni giorno, anche i telegiornali, sono corredati per metà di notizie di spettacolo. Nessuno vuole sapere.

Sovraffollamento, topi e zanzare: Benvenuti a San Vittore

Intervista a Don Alberto Barin, cappellano del carcere milanese (29 luglio 2010)


“Dopo il Monumentale e il Maggiore, San Vittore è il terzo cimitero di Milano”. Sono le parole con cui don Alberto Barin descrive il carcere milanese dove si lotta contro il sovraffollamento, tra topi, scarafaggi e zanzare.
Barin è cappellano a San Vittore da tredici anni. Arriva nel 1997 per volontà del Cardinale Carlo Maria Martini. La sua è una quotidiana guerra di posizione: “Oggi il carcere è una discarica. Del resto – spiega – la parola deriva dall’ebraico carcar, che significa tumulare, sotterrare”. Una discarica, quella di San Vittore, dove 1600 detenuti sono stipati in una struttura che può ospitarne al massimo 700.

Padre, come si è giunti all’emergenza del sovraffollamento?
Il problema è strutturale solo in parte. La verità è che in Italia seguiamo pratiche d’arresto scandalose. Finisce in carcere chi ha rubato per fame, chi non ha i documenti, chi ha tentato un furto per procurarsi la droga. Tutti dentro. Così la prigione diventa il contenitore del disagio sociale, un luogo dove nascondere i problemi che non siamo capaci di risolvere in altro modo.
Questa mattina è arrivato un uomo che non ha rispettato l’obbligo di dimora disposto dal giudice. Era uscito dal suo paese per guadagnarsi da vivere: trecento euro per imbiancare la casa di un conoscente. Probabilmente si farà otto mesi. È sieropositivo.

Crede nell’utilità di costruire nuove e più capienti strutture?
Prima di progettare future carceri, bisognerebbe pensare a chi vive in quelle esistenti. A San Vittore abbiamo due raggi inutilizzabili. Dovrebbero ristrutturare quelli e alleggerire gli altri. Vivere in otto nella stessa cella non è umano. Un detenuto mi ha raccontato di un grosso topo uscito l’altro giorno da una turca, e non è certo un caso isolato. Ma quale recupero sociale possiamo innescare in una topaia?

Il ministro Alfano aveva proposto i domiciliari per quanti devono scontare l’ultimo anno.

I detenuti sanno che alla fine dovrà esprimersi il magistrato competente. I tempi della burocrazia finiscono per trasformare quell’anno in poche settimane. Il problema va affrontato alla radice. Bisogna smettere di considerare le carceri come la pattumiera del degrado sociale, investire in alternative che riducano gli ingressi e ripensare la condizione delle tante persone in attesa di giudizio.

Chi sono i detenuti di San Vittore?
In carcere ci finisce la povera gente, non è un luogo comune. Chi è ricco, anche se ha rubato milioni, esce prima di chi ruba un panino. A San Vittore abbiamo 400 tossicodipendenti, un intero reparto. Persone che andrebbero inserite in strutture di recupero. Invece la soluzione è sempre la galera, il metadone, e milioni spesi per medici e psicologi costretti ad operare in condizioni difficilissime.

E gli stranieri?
Qui a San Vittore i detenuti stranieri superano la metà di quelli totali. Parliamo di culture, religioni, lingue e persino abitudini alimentari differenti. Nonostante gli sforzi della direzione, con le celle strapiene è impossibile prevenire tutte le tensioni. In carcere sopravvivono e si alimentano i conflitti nati all’esterno, per il controllo dei traffici o di un territorio. Dentro le mura di San Vittore si percepisce benissimo l’ipocrisia di una città che mentre parla di sicurezza costruisce nuovi ghetti.

Esiste un collegamento tra l’aumento dei suicidi e il sovraffollamento delle carceri?
Dietro a ogni suicidio c’è prima di tutto una storia personale. Certo, in queste condizioni è più difficile intervenire, dare sostegno. Il carcere ti avvelena. Le sue mura iniettano il sospetto, la diffidenza, l’ansia. Molti crollano. L’unico modo di salvarsi è intraprendere un percorso interiore dove coltivare la speranza. A questo serve il mio lavoro. Ma in queste enormi sabbie mobili le mani tese sono spesso troppe.

Come si esce da questa situazione?
Il carcere dovrebbe essere l’extrema ratio, non sempre la prima soluzione. Di recente è arrivato un ragazzo italiano, sulla ventina. Aveva fame e ha rubato per mangiare. Mi ha raccontato di aver supplicato la direttrice del supermercato perché gli permettesse di riparare lavorando di notte, facendo le pulizie. Niente da fare, potrebbero dargli più di quattro mesi. La verità è che così il carcere crea più male di quanto non ne abbia fatto chi viene arrestato. Si rimane segnati, screditati agli occhi della famiglia, degli amici, nei rapporti di lavoro. Qual è il costo sociale di tutto questo?

Forse è il prezzo della sicurezza.
Il carcere non risolve i problemi della sicurezza e non è un deterrente. È un’illusione che la sicurezza si possa garantire costruendo penitenziari. La sicurezza si costruisce fuori dal carcere, creando quelle condizioni sociali che tengono lontane le persone dal delinquere.

C’è chi vorrebbe trasferire San Vittore in periferia. E’ d’accordo?
No. E’ un bene che il carcere rimanga una realtà visibile dai cittadini di Milano. Il Cardinale Martini, nelle sue tante visite qui a San Vittore, ripeteva spesso la famosa frase di Dostoevskij: “Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni”. Il carcere permette alla società di conoscersi. Se non le interessa, se allontana o nasconde questa realtà, significa che non è interessata a se stessa.


CAMILLO VALENTINI: ARRESTATO PER NIENTE, ACCUSATO DI NIENTE, COLPEVOLE DI NIENTE, MORTO PER NIENTE
Il giorno di ferragosto di oltre sei anni fa (2004), il Sindaco di Roccaraso (AQ), Camillo Valentini, intento a trascorrere qualche giorno di vacanza con la propria famiglia al mare, venne arrestato su richiesta della Procura del Tribunale di Sulmona.

Valentini sapeva di essere vittima di un errore giudiziario. Era completamente innocente, come è stato accertato 18 mesi dopo.
Un uomo di cinquant’anni, disperato, rinchiuso in una cella del carcere di Sulmona. Non è riuscito a "gestire" la vergogna di essere arrestato davanti alla sua famiglia, al punto che ha preferito farla finita.

Si lascia soffocare, la testa dentro un sacchetto di plastica, stretto con due lacci di scarpe.

Il fratello di Valentini, è di avviso diverso. Suo fratello Camillo è stato ucciso.
Il giorno 8 febbraio 2011, Camillo Valentini è stato assolto da ogni accusa.

Nessuno ha chiesto scusa alla famiglia Valentini per questo ennesimo errore giudiziario.

CARCERE: LA PERDITA DI OGNI DIRITTO UMANO. REDIMERE O DISTRUGGERE?
Il Ministro Alfano, solo 1 anno fa, parlava di riforme sugli Istituti di pena, di nuove assunzioni, di nuove strutture per accogliere i detenuti, di impiegare personale specializzato per consentire a coloro che avevano commesso degli sbagli di rendersi conto delle loro responsabilità.

Parlamentari, inchieste giornalistiche, buone intenzioni, convegni fatti di programmi e parole, parole, parole.

Oggi, ci troviamo a contare i morti suicidi, le morti "sospette". Detenuti che per avere ascolto fanno scioperi della fame, si autolesionano, cadono in profondi deliri dell'anima, sprofondano nella miseria umana fatta di un silenzio drammatico e disumano.

Il detenuto non ha più storia, identità, viene annientato giorno dopo giorno. Alcuni covano una terribile rabbia, nei loro occhi c'è il furore che conduce dritto verso lo squilibrio, la follia.

E' questa l'utilità della pena, della detenzione?

Questa giustizia sembra voglia essere una ripicca verso degli uomini che hanno intrapreso la via dell'errore.

Non sono più uomini ma numeri ingombranti, fastidiosi, pericolosi, che devono stare dietro delle sbarre, dei fili spinati, con manette, senza nessun diritto.

Ci dimentichiamo che sono persone come noi, solo hanno perso la strada del buon senso, hanno violato e offeso la giustizia, sono scivolate nell'errore, nella debolezza, nell'illecito, nel delitto.

Tutto questo giustifica l'uso della forza, della sepoltura della loro dignità e di ogni minima comprensione?

Poi, ci sorprendiamo delle ribellioni, delle sommosse, delle evasioni, del dilagare della violenza nelle ore di aria!!!

Lo Stato, in questi casi, per dimostrare la sua autorità, non conosce altri mezzi che la repressione, il carcere duro, le botte, le umiliazioni, la spersonalizzazione di ogni identità. Lo stesso metodo usato contro gli aquilani che si sono ribellati alle tasse. Lo stesso metodo usato contro gli operai disoccupati.

Lo Stato, questo Stato, ad ogni lamento che non è neanche un grido di guerra, ricorre subito alle armi.

Molti detenuti, che scontano una pena, vorrebbero riparare, vorrebbero essere aiutati da persone competenti. Ma non vengono messi nella condizione di farlo, anzi, il "coltello viene girato nelle loro piaghe”.

Questa società non ha più bisogno di una religione, di un ideale politico, di una corrente di pensiero. Sono tutte cose ormai superate.



SOVRAFFOLLAMENTO

[Modificato da parliamonepino 22/02/2011 00:47]



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