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11/02/2011 23:00 | |
charmin9dim, 06/02/2011 10.58:
Grazie Adriano e Pino per la vostra premura.
Devo ammettere di essere un po' dilaniato dai dubbi, ma non è solo questo che mi sta "soffocando" la vita, cose che tra l'altro possono essere considerate "quisquilie". Non ho di certo la cultura che avete voi, ho solo quella imposta dagli a noi noti esaltati/alienati. Ciò nonostante, da quando ho avuto la fortuna di conoscere un amico che mi ha lentamente portato ad uscire dalla setta, posso vedere la realtà con occhi diversi. Credo ancora in Dio ma, allo stesso tempo, credo che mi limiterò a riconoscere la sua semplice esistenza, il che non mi farà cambiare atteggiamento verso la vita.
In questo momento non riesco ad accettare la vita, così come la morte. Non riesco a credere che Dio stia preparando un'altro "mondo", un'altro destino? Per me la vita inizia qui e finisce qui, forse è un mio attuale limite, posso accettarlo. Mi vengono molte pensieri in mente, magari un giorno li scrivo tutti.
CARISSIMO AMICO STEFANO 2
Ho letto con particolare interesse il tuo scritto, e dalle tue parole ho potuto constatare, nonostante il profondo travaglio che ti tormenta, che non hai perduto del tutto la fede in Dio.
Questo, è di fondamentale importanza per essere aiutati a vincere le sfide che si presentano nella vita, a superare le crisi dello spirito e le fragilità umane che ci attanagliano nel vissuto di ogni giorno.
L’ateo non ha questo conforto, egli lotta in questa jungla della vita da solo, deve contare solo su se stesso, sulla sua forza dialettica, e non è poco, se andiamo a vedere. Egli vive nella sua solitudine abissale: è la sua scelta, e come tutte le scelte dello spirito, che indirizzano la propria vita, va rispettata.
La fede è un dono di Dio che, Egli nel suo amore infinito per le sue creature, la invia a tutte, ma l’uomo, essendo arbitro del proprio destino, ha la facoltà di tenere aperta la porta o tenerla chiusa al dono di Dio.
Le braccia della croce sono l’abbraccio di Dio, il Padre Celeste, per il dolore che affligge l’uomo di tutti i tempi.
Pertanto, questo evento dimostra che Dio non è per nulla indifferente al grido di dolore di tutti coloro che invocano: ”Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”; un grido che percorre la storia e che è arrivato fino a noi, nel nostro giorno di violenza ed incertezze per il futuro.
Ebbene, quel grido ci fa uscire dalla notte dei tormenti per essere illuminati dal volto di Cristo risorto, dandoci così la speranza viva che da quel momento Egli ci ha emancipati e redenti per il futuro escatologico.
Caro Stefano, in quella tua esperienza, purtroppo, si ritrovano molti testimoni di Geova, anche giovani, e non faccio i nomi per non metterli in pericolo di essere disassociati, che vuol dire l’isolamento dal gruppo e dagli stessi parenti.
La congregazione è invitata dal Corpo Direttivo ad odiare chi si permette di uscire, lo sanno bene tutti gli ex testimoni di Geova.
Quindi, ti capisco e nelle tue condizioni non è facile prendere delle decisioni.
Alcuni di questi ragazzi, con il tempo, e le letture giuste, sono riusciti a liberarsi dalle angosce delle dottrine del Corpo Direttivo e così vivere la libertà alla quale Dio ci ha chiamati.
Difatti, riconquistata la propria libertà, oggi, questi fuoriusciti vivono serenamente, professando la loro fede personale e un cristiano comportamento.
Altri, invece, dalle delusioni sofferte, si staccano dalla fede nel trascendente per seguire la strada dell’agnosticismo ed indirizzano il loro proprio essere verso l’orizzonte senza Dio, nella vana speranza di lenire le proprie ferite.
Non trovando le risposte del male e del dolore che tormentano questo mondo, si rifugiano in se stessi cercando delle risposte personali. E tutto ciò mi fa ricordare un racconto di Dostoevskij, dove il vecchio Versilov parla ad un giovane presentandogli un quadro del mondo di una felicità illusoria raggiunta dopo l’uccisione di Dio Padre, l’evento tragico che rendono gli uomini orfani: “Immagino - cominciò con un sorriso pensieroso, che la battaglia fosse finita e la lotta quietata. Dopo le maledizioni, dopo il fango e dopo i fischi pareva che fosse subentrata la quiete e gli uomini fossero rimasti soli, come desideravano; pareva che la grande idea di una volta li avesse abbandonati; la grande sorgente di forza, che finora li aveva nutriti e riscaldati, stesse per tramontare, come quel sole maestoso del quadro di Claude Lorrain, quasi fosse l’ultimo giorno dell’umanità. Ed ecco che a un tratto gli uomini comprendono d’essere rimasti completamente soli e sentono di essere orfani derelitti. Caro ragazzo mio, non ho mai potuto immaginare gli uomini ingrati e istupiditi. Gli uomini, rimasti orfani, si sarebbero subito stretti l’uno all’altro, vicini vicini e con più amore; si sarebbero presi per mano, avendo capito ora che sono tutto l’uno per l’altro! Sarebbe sparita la grande idea dell’immortalità e si sarebbe dovuto sostituirla: e tutta l’esuberanza immensa dell’amore di prima per Dio, che era immortalità, si versa sulla natura, sull’universo, sugli uomini, sul più piccolo filo d’erba. I loro cuori si sarebbero accesi d’un amore sconfinato per la terra e la vita, d’un amore sempre più grande, a misura che riconoscessero la finalità e il carattere passeggero di questa vita; un amore tutto speciale, diverso dall’amore di prima…” (Dostoevskij, L’adolescente, Einaudi 1957, pagg. 463-464).
E’ un discorso, quello di Dostoevskij, che mette a nudo la condizione spirituale dell’uomo alla nascita dell’ateismo moderno, un ateismo pratico che cerca una felicità umana senza Dio. Si tratta della lotta incessante tra l’affermazione e la negazione di Dio.
Il discorso di Dostoevskij, come quello dei “Demoni”, dalla forte tensione dialettica, che avviene tra il credere e la disperazione della solitudine, risultato della negazione di Dio, poiché il mondo non è solo negazione, ma anche, e soprattutto, l’affermazione di Dio.
Chi ha fede non è solo, non vive la vita di orfano, Dio è presente nella fede, la fede è la luce dell’anima del credente e non deve spegnersi, egli non deve permetterlo, neppure nelle esperienze più tempestose della vita come ci narra la voce del grande poeta induista indiano Rabindranath Tagore: “Salvami dalle ombre mie, Signore, salvami/ dai naufragi e dalla confusione dei miei giorni./Perché la notte è buia e il tuo pellegrino è cieco,/ tienimi Tu per mano,/ liberami dalla disperazione!/Tocca con la tua fiamma la lampada spenta del mio dolore./Ridesta le sopite energie./Che io non indugi a cantare le perdite./Che ad ogni passo la strada mi canti della casa./Perché la notte è buia e il tuo pellegrino è cieco,/Tienimi Tu per mano! – da Passando all’altra riva”. Affascinante ricerca di Dio, che Tagore ci regala per dirci che noi credenti non siamo orfani e questo è già di grande conforto, avere la consapevolezza che Dio: “…esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano” con premura. –Ebrei 11:6
Fraternamente
Adriano Baston
[Modificato da Adriano Baston 11/02/2011 23:00] |