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CASO CUCCHI: A PROPOSITO DI DIRITTI UMANI DEL SINGOLO

Ultimo Aggiornamento: 26/02/2010 22:43
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I tagli alla libera informazione sono tagli alla società civile

di Patrizio Gonnella


Quando la famiglia di Stefano Cucchi fece vedere pubblicamente, in un’aula del Senato della nostra Repubblica, le fotografie del corpo livido e straziato del loro caro, i giornali – anche i più ufficiali, anche i più venduti, anche i più patinati – si riempirono di prime pagine a questo dedicate. Faceva notizia il contrasto tra quel corpo teso e magro di tossicodipendente uscito martoriato dalle mani di qualche organo statale e la pacata compostezza del dolore di un padre, una madre e una sorella che fino al giorno prima avrebbero potuto essere ognuno di noi, o quantomeno il vicino di casa di ognuno di noi, e adesso sapevano gestirsi flash e telecamere respingendo con la sola ferma ovvietà del buon senso comune la violenza di cui erano stati vittime, e insieme quella che potenzialmente si sarebbe potuta creare per vendicare Stefano.

Faceva notizia una ragazza dal viso bello e dolce, due bambini, un medio impiego, che stringeva e sventolava immagini terribili impugnate solitamente da centri sociali e circoletti di partiti estremisti. Poi più niente. Tutto sommato, passata la moda passata la notizia. Oggi quel corpo è sotto le lenti di discordanti autopsie, su di esso si taglia, si lavora, si indaga, si litiga. Ma in pochi lo sanno o se ne interessano.
Mi occupo di un tema che fa in fretta a passare di moda. Anzi, cui non capita quasi mai di esserlo. Antigone, l’associazione che presiedo, si batte per i diritti delle persone detenute e per un sistema penale più equo. Per i delinquenti, insomma. I delinquenti di oggi, che non sono quelli che rubano tanto e in alto – per i quali l’indignazione è mitigata dall’invidia e dalla tacita approvazione di furbizia, e da qui è un passo che diventino il logo di magliette e profumi “Fabrizio Corona” venduto a suon di quattrini – ma quei delinquenti che rubano poco e per strada con un occhio alla sopravvivenza.
Se in questi anni non avessi avuto la vicinanza e i piccoli megafoni costituiti da tante testate cooperative, no profit, di partito questo modello di delinquenti – i poveracci, insomma – sarebbe ancora più solo, più sommariamente incarcerato, più malmenato nelle galere. È stato grazie a quei tanti fogli che hanno saputo moltiplicare le storie nel loro piccolo e piccolissimo, farle conoscere al vicinato, alla prossimità, alle comunità, alle mani non troppo numerose in cui arrivavano e che avevano e continuano ad avere il diritto a un loro strumento di comunicazione, seppure minoritario, così come qualsiasi minoranza ha diritto a vivere in modo pieno e a interpretare in modo ricco la propria condizione. E allora le persone si indignavano perché qualcuno era morto nella prigione sotto casa, e magari era il figlio della signora del negozio accanto, e magari lo vedevano passare con il motorino nella piazzetta. E da lì l’indignazione veniva raccontata un po’ più lontano, e sono stati allora quei fogli cooperativi o no-profit a permettere che si costituissero dei comitati che chiedevano la verità, e sono stati questi comitati a contribuire a dare forza e spinta a un’associazione come Antigone, che poi queste cose le ha raccontate come ha potuto e il più lontano che ha potuto, al Parlamento, in Europa, all’Onu, alle università italiane e perfino estere.
Se il finanziamento pubblico a questa editoria non sarà più un diritto, neanche la libera informazione lo sarà. E se la libera informazione non è un diritto bensì qualcosa da mendicare, l’Italia fascista, classista, razzista di oggi perderà lo strumento essenziale per combattere se stessa.
"Editoriale tratto dalla puntata del 20.02.2010 de Il Tuffatore, in onda ogni sabato alle 11,10 su Radio Popolare Roma, FM 103.3

(22 febbraio 2010)

FONTE-LINKONTRO










[Modificato da parliamonepino 26/02/2010 22:17]



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Stefano Cucchi,
morte oscurata dalla Tac scomparsa?

 
La situazione è diventata intollerabile.
Il travaglio della
famiglia Cucchi non finisce,
e non soltanto per la perdita di Stefano.

Tra burocrazia e reticenze, infatti, non riesce a proseguire senza intoppi sulla strada che porta alla verità sulla morte del giovane, avvenuta pochi giorni dopo il suo arresto.

Una verità che non ripagherebbe di certo i familiari per la sua scomparsa, ma che almeno spazzerebbe via l’inquietudine del dubbio.
Anche se Giovanni, Rita e Ilaria un’idea su come siano andate le cose ce l’hanno, ma vogliono poterla dimostrare.

E per farlo servirebbe anche quella Tac che, seppur richiesta, non viene fuori. Anche se è stata effettuata da mesi insieme ad altre fotografie scattate nel corso della seconda
autopsia.
 
«Finora siamo stati in silenzio», dicono, dimostrando ancora una volta la loro dignità e civiltà nell’ambito di una vicenda che di civile sembra avere
ben poco. «Non abbiamo parole per quanto sta accadendo, sono fatti gravissimi che ci portano a non capire che cosa stiano facendo i consulenti medici nominati dalla Procura».
E raccontano di perizie «su improbabili e ridicoli referti secondo i quali una frattura sarebbe una malformazione e l’altra pregressa».

Mentre i consulenti della
famiglia riferiscono dell’esistenza di nuove lastre del Fatebenefratelli che documenterebbero anche la frattura coccigea, che i medici del nosocomio stavano provando a curare quando Stefano morì. «Continuiamo a spendere centinaia di euro – raccontano i familiari – per ritirare dischetti che non contengono ciò che serve ai nostri consulenti».
La domanda che viene da farsi è perché ci sia questa reticenza nel consegnare ai periti della
famiglia la documentazione che può essere utile all’accertamento della verità.

È soltanto frutto di cavilli burocratici, di un apparato farraginoso,
oppure c’è da qualche parte il tentativo di rallentare o, ancora peggio, di ostacolare il percorso della
giustizia?
Ma la
famiglia non si rassegna e continua sulla propria strada, nonostante il suo interlocutore appaia sfuggente, intangibile e più potente. «Abbiamo chiesto ai pm di interrompere le operazioni peritali finché non ci verrà consegnata la Tac. È stato asportato un pezzo di nostro figlio e i nostri consulenti non sono ancora in grado di stabilire dove prelevare il tessuto per l’esame istologico. Adesso basta!».

Basta davvero, perché lo Stato non può essere sordo al bisogno di giustizia dei suoi cittadini.

E se c’è qualcuno che in nome dello Stato ha sbagliato e ha utilizzato un ruolo che quello stesso Stato gli ha dato ponendosi al di fuori della legge, oltraggiando la dignità e la vita di una persona
– che in qualsiasi Stato di diritto sono intoccabili -,
deve assumersi le proprie responsabilità e affrontare un giudizio.

Con tutte le prove che occorrono perché esso sia equo e imparziale.
(Rosalinda Cappello, “Cucchi, tirate fuori quella tac mancante”,
dal webmagazine della fondazione “
Farefuturo”, 17 febbraio 2010 –
www.ffwebmagazine.it). 
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Mentre Giovanardi non perde occasione per stare zitto, continuando ad inveire, scandalizzato, su trasmissioni come "Annozero", per la quarta volta vengono negati, alla famiglia Cucchi, i documenti delle foto della TAC e le radiografie eseguite nel corso della seconda autopsia disposta dal pm.

Non credo si tratti di malinteso o di disattenzione. Ho la vaga impressioni che si tenti di dilatare i tempi e di ostacolare le procedure del legale della famiglia Cucchi.

ARTICOLO CORRELATO

Sono passati più di 120 giorni e siamo ancora in altomare con questa indagine che per la sua gravità avrebbe dovuto risolversi in poche ore.

Trovate i colpevoli!!!!

[Modificato da parliamonepino 26/02/2010 22:43]



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