I tagli alla libera informazione sono tagli alla società civile
di
Patrizio Gonnella
Quando la famiglia di Stefano Cucchi fece vedere pubblicamente, in un’aula del Senato della nostra Repubblica, le fotografie del corpo livido e straziato del loro caro, i giornali – anche i più ufficiali, anche i più venduti, anche i più patinati – si riempirono di prime pagine a questo dedicate. Faceva notizia il contrasto tra quel corpo teso e magro di tossicodipendente uscito martoriato dalle mani di qualche organo statale e la pacata compostezza del dolore di un padre, una madre e una sorella che fino al giorno prima avrebbero potuto essere ognuno di noi, o quantomeno il vicino di casa di ognuno di noi, e adesso sapevano gestirsi flash e telecamere respingendo con la sola ferma ovvietà del buon senso comune la violenza di cui erano stati vittime, e insieme quella che potenzialmente si sarebbe potuta creare per vendicare Stefano.
Faceva notizia una ragazza dal viso bello e dolce, due bambini, un medio impiego, che stringeva e sventolava immagini terribili impugnate solitamente da centri sociali e circoletti di partiti estremisti. Poi più niente. Tutto sommato, passata la moda passata la notizia. Oggi quel corpo è sotto le lenti di discordanti autopsie, su di esso si taglia, si lavora, si indaga, si litiga. Ma in pochi lo sanno o se ne interessano.
Mi occupo di un tema che fa in fretta a passare di moda. Anzi, cui non capita quasi mai di esserlo. Antigone, l’associazione che presiedo, si batte per i diritti delle persone detenute e per un sistema penale più equo. Per i delinquenti, insomma. I delinquenti di oggi, che non sono quelli che rubano tanto e in alto – per i quali l’indignazione è mitigata dall’invidia e dalla tacita approvazione di furbizia, e da qui è un passo che diventino il logo di magliette e profumi “Fabrizio Corona” venduto a suon di quattrini – ma quei delinquenti che rubano poco e per strada con un occhio alla sopravvivenza.
Se in questi anni non avessi avuto la vicinanza e i piccoli megafoni costituiti da tante testate cooperative, no profit, di partito questo modello di delinquenti – i poveracci, insomma – sarebbe ancora più solo, più sommariamente incarcerato, più malmenato nelle galere. È stato grazie a quei tanti fogli che hanno saputo moltiplicare le storie nel loro piccolo e piccolissimo, farle conoscere al vicinato, alla prossimità, alle comunità, alle mani non troppo numerose in cui arrivavano e che avevano e continuano ad avere il diritto a un loro strumento di comunicazione, seppure minoritario, così come qualsiasi minoranza ha diritto a vivere in modo pieno e a interpretare in modo ricco la propria condizione. E allora le persone si indignavano perché qualcuno era morto nella prigione sotto casa, e magari era il figlio della signora del negozio accanto, e magari lo vedevano passare con il motorino nella piazzetta. E da lì l’indignazione veniva raccontata un po’ più lontano, e sono stati allora quei fogli cooperativi o no-profit a permettere che si costituissero dei comitati che chiedevano la verità, e sono stati questi comitati a contribuire a dare forza e spinta a un’associazione come Antigone, che poi queste cose le ha raccontate come ha potuto e il più lontano che ha potuto, al Parlamento, in Europa, all’Onu, alle università italiane e perfino estere.
Se il finanziamento pubblico a questa editoria non sarà più un diritto, neanche la libera informazione lo sarà. E se la libera informazione non è un diritto bensì qualcosa da mendicare, l’Italia fascista, classista, razzista di oggi perderà lo strumento essenziale per combattere se stessa.
"Editoriale tratto dalla puntata del 20.02.2010 de Il Tuffatore, in onda ogni sabato alle 11,10 su Radio Popolare Roma, FM 103.3
(22 febbraio 2010)
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