Kalos così scrive, parlando di peccato:
“Peccato” traduce di solito l’ebraico chattà´th e il greco hamartìa. In entrambe le lingue le forme verbali (ebr. chatà´; gr. hamartàno) significano “mancare”, nel senso di fallire un bersaglio o non raggiungere un obiettivo o un punto esatto, sbagliare strada.
In Giudici 20:16 chatà´ è usato (con una negazione) per descrivere i frombolieri beniaminiti che non mancavano un bersaglio sottile come un capello.
Gli scrittori greci usavano spesso hamartàno parlando di un lanciere che mancava il bersaglio.
Entrambi i vocaboli hanno il significato di non riuscire a raggiungere non solo oggetti o obiettivi materiali , ma anche mete o obiettivi morali o intellettuali."
Peccare = Mancare il bersaglio, l'obiettivo, sbagliare strada.
Peccare presupporrebbe dunque la preesistenza di una bersaglio, di un obiettivo, di più strade, alcune giuste altre sbagliate.
Un guerriero lancia un dardo e se non centra il bersaglio ha fallito, oppure se non raggiunge l'obiettivo previsto ha mancato, così come se invece della strada prefissata ne percorre un'altra ha errato.
In tutti questi casi vi è dunque una verità finale, unica, verso cui tendere. Ogni altra direzione è mancare la verità, è deviare da essa.
Non ci sono alternative, non c'è scelta se non quella unica di percorre quella direzione prescelta.
Da chi è prescelta?
E' un'interrogativo che, com'è ovvio, non può non porre un altro grande problema e dar luogo ad altri interrogativi.
Peccare è dunque rendere il conto, a qualcuno o qualcosa fuori da sè, dei propri percorsi, delle proprie decisioni.
Va da sè che non sono ammesse scelte e decisioni personali perchè, se non andassero in quell'unica direzione, sarebbero errate comunque e sempre, senza alternative.
Chi pecca dunque sa già in partenza qual'è la strada da percorrere, ma sceglie testardamente di percorrerne un'altra.
E' qui che si origina l'errante.
L'errante è, mi pare chiaro, l'eretico, colui che sceglie un sentiero considerato errato, perciò vive uno stato di peccato, di fallimento.
Se non si ravvede e non riprende a percorre l'unica strada, che ha come bersaglio/obiettivo la verità, egli si pone fuori dalla comunità, perciò sarà marchiato come scomunicato, indegno di partecipare alla comunione dei fratelli.
Non c'è più speranza per lui a meno che non faccia un'inversione di marcia.
Fuori dal percorso della verità è un condannato.
Per questo si prendono le distanze da lui, per questo verrà discriminato, emarginato.
Diverso è il concetto di RESPONSABILITA'.
Non ci sono obiettivi da raggiungere, non c'è un particolare percorso di verità e solo quello.
Non c'è un traguardo con scritto su "verità". Non è dato di sapere dove porti qualunque strada.
Gli obiettivi possono essere numerosi, infiniti, così come le strade possono essere numerose, infinite.
Non esistono decisioni preconfezionate che dicano ed indichino l'unica strada percorribile.
Quella da percorrere dipende dalla sua scelta, dalle sue decisioni, dalla sua propensione.
Qualunque scelta faccia egli se ne ASSUME LA RESPONSABILITA', nel senso che qualunque ostacolo incontri è suo compito superarlo, sarà lui a rispondere del raggiungimento degli obiettivi previsti oppure rispondere per non averli raggiunti.
Non c'è nessuna condanna. Nessuna pena da espiare, nessuna dichiarazione di eresia e di scomunica.
Dovrà pagare solo se avrà interferito nelle libertà altrui e creato danno a terze persone. Dovrà pagare e risponde alla società, che ha stabilito le regole basi per condursi in ogni direzione.
Se non è ben equipaggiato sarà lui a rispondere delle sue difficoltà.
E'come la ragazza che crede d'essere libera di vestire in modo provocante e crede spensieratamente che nulla potrebbe capitarle perchè è convinta che tutti siano tenuti a rispettarla, per cui, dà campo libero alla sua facoltà di vestire in un modo che, anche se a lei e ad un'altra donna non potrebbe mai interessare, sa che, per contro, potrebbe ottenere il plauso e l'ammirazione dei ragazzi, sa che può farli sognare ... sa tutto, anche che può provocarli, scuoterli ed eccitarli.
Nonostante tutto percorre una strada con spavalderia, fiera, certa delle sue convinzioni, disinvolta e provocante.
Le può andar bene e raggiungere l'obiettivo previsto, ma se le andasse male, a chi può imputare la scelta per aver percorso quella strada se non a se stessa?
Ha preso in considerazione pareri ed opinioni di genitori, nonni, fratelli, che le hanno suggerito di tenersi legata al gruppo, di evitare di intrattenersi da sola con sconosciuti e conosciuti, di badare all'ora prevista per rincasare etc. etc.???
La ragazza è libera di fare come vuole, ma non senza assumersi ogni responsabilità che la scelta le riserverà.
Poi, ovvio, la società la farà pagare cara, soprattutto al ragazzo, il quale a sua volta sapeva, assumendosi anche lui la responsabilità della sua condotta, ed ora la ragazza, la sua famiglia, la società lo chiameranno a pagare ed a RISPONDERE della sua violazione, ma a che serve ora che è tardi e la violazione è stata consumata?
La responsabilità non è solo questo, ha una spiegazione più profonda, ma credo sia stato sufficiente ad illustrare la differenza.
Pyccolo