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IMPARIAMO IL PERDONO

Ultimo Aggiornamento: 19/01/2007 15:44
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[SM=x1061919] Senza perdono non c’è conoscenza, crescita spirituale e identità spirituale.
La cosa più difficile è stata perdonare me stesso.
A volte il male che facciamo è stato dimenticato e perdonato da tutti meno che da noi.
Dio, aveva perdonato il peccato di Davide con Betsabea, l’ aveva cancellato, dimenticato, era lontano come il nord dal sud, ma il re Davide si portò il rimorso di quel peccato alla tomba.
Il Salmo 51, riporta la sofferenza di Davide.
C’è un altro aspetto.
Un torto subito, può creare risentimento e annebbiare il cervello.
Il Vangelo e la psicologia si trovano d’ accordo sulla lezione di Gesù nel perdonare.
Il perdono non si subisce, ma si sceglie.
Il perdono, spesso, quando subiamo un grave torto, ha l’ effetto di un fulmine sul cuore, pieno di risentimento.
Non si ha nessuna voglia di perdonare.
Oggi, dopo averlo sperimentato (diciamo che mi sforzo di applicarlo), posso dire con assoluta certezza che gli effetti del perdono sono un toccasana, per tutto il nostro essere.
Il perdono autentico non ha nulla di patetico, ne può ridursi ad un puro gesto nobile: è invece la più importante scelta d’amore a sé che si possa immaginare, è il trionfo di forza e vitalità, al di la di ogni fraintendimento.
La psicologia insegna che, quando noi non accettiamo un fatto, la mente, seguendo un invincibile impulso inconscio, torna e ritorna implacabilmente proprio su ciò che noi rifiutiamo.
Di conseguenza, volente o no, chi non perdona continuerà a rivivere il torto subito, reale o immaginario, come se l’ evento si fosse verificato pochi minuti prima.
Ogni parola, ogni gesto sono rivissuti con un’intensità di contorni e di colori impressionante.
Ah, se avessimo una pallida idea non solo del danno alla salute psicologica (e di conseguenza fisica: mente e fisico, si sa, sono realtà profondamente legati), ma anche del paralizzante blocco di energie causate dal rifiuto del perdono!
Quante nevrosi, depressioni, angosce, ma anche malattie fisiche si celano dietro un mancato perdono!
Una scelta balorda che ci rende schiavi del passato, della negatività, del rancore, insomma di tutti i nostri nemici. Veleno che noi accumuliamo in gran quantità e riponiamo con cura nei ripostigli dei nostri cuori.
Potremo fingere quanto vogliamo di aver dimenticato, sforzarci di orientare il nostro pensiero in altre direzioni, ma invano. Il fuoco della negatività continuerà a covare sotto la cenere, sempre pronto a scoppiare, sotto forma d’angoscia, depressione, rabbia, rancore, rivolti contro il prossimo o contro noi stessi.
Daremo la stura a proiezioni negative che avranno per oggetto il prossimo, nonché a depressioni a non finire.
Con tanti saluti alla serenità, alla guarigione, all’amore a sé, al prossimo e alla gioia.
Solo gli ignoranti o gli stolti possono illudersi di violare le leggi della natura.
Si tratta di meccanismi inevitabili, proprio perché inconsci: l’ unica salvezza è offerta dal perdono.
È una verità cristiana e scientifica.
Prima ne diventiamo consapevoli, meglio sarà per tutti, a cominciare da noi stessi.
Quanto spesso sentiamo dire, specialmente, quando la ferita ci pare particolarmente grave: “Come posso perdonare ciò che mi è stato fatto?”.
Eccoci di fronte ad un primo fraintendimento: non si tratta di perdonare ciò che c’è stato fatto, bensì chi ha causato la nostra sofferenza.
Il perdono è una grande novità che ci viene in dono da Gesù Cristo e costituisce la parte che tocca a noi nell’ opera di redenzione e di liberazione in virtù della quale Gesù ha salvato il mondo.
Pietro, il giorno precedente la crocifissione aveva rinnegato tre volte Gesù.
Questo era avvenuto, mentre Gesù subiva l’interrogatorio del sommo sacerdote; i servi e le guardie avevano acceso il fuoco in mezzo al cortile per scaldarsi.
Il canto del gallo ricorda a Pietro che Gesù aveva previsto il suo rinnegamento.
Egli allora esce e scoppia in un pianto dirotto, trovandosi a faccia a faccia con Gesù: uno sguardo di compassione, senza nessuna traccia di rimprovero.
Dopo la risurrezione, sulle rive del mare di Tiberiade, Gesù stesso accende il fuoco per cucinare il pesce.
Poi prende da parte Pietro e gli chiede per tre volte: “Mi ami tu?”.
Pietro risponde ogni volta: “Signore, tu sai che ti amo”.
La ferita causata dal triplice rinnegamento è sanata dalla professione d’amore, ripetuta appunto tre volte.
Dal momento che ogni fuoco acceso gli avrebbe ricordato il suo rinnegamento, così il fuoco acceso da Gesù in riva al lago gli avrebbe sempre ricordato il suo amore per lui.
Gesù ricostruisce insomma la stessa situazione in cui si era verificato il trauma di Pietro, allo scopo di guarirlo una volta per tutte.
Non a caso Françoise Dolto, grande psicanalista francese, agnostica, si convertì, quando, a seguito di un’attenta lettura del Vangelo, ebbe modo di constatare che non c’è mai stato, nella storia, uno psicologo più grande e più profondo di Gesù, nonché un uomo più equilibrato.
Il perdono riesce non di rado difficile in quanto porta a fare inevitabilmente i conti con il nostro grande nemico, l’ego, il quale ovviamente non ne vuole sapere.
Se ci concentriamo su colui nei confronti del quale proviamo sentimenti negativi, difficilmente vedremo possibilità di redenzione per lui e di perdono per noi.
Proviamo invece a concentrarci su noi stessi ed ecco che la necessità di liberarci dal passato ci apparirà chiara.
Dove non c’è perdono prosperano le erbacce del risentimento o dell’odio, nemiche giurate della serenità e della gioia, che non possono esistere, al pari della libertà, dell’amore a sé e al prossimo, senza il perdono.
Il perdono è la prova del nove, capace di dimostrare se siamo disposti o no a raccogliere la sfida della vita e dell’amore incondizionato, a trasformarci in donne e uomini nuovi, aperti al pluralismo religioso (per citare Pucci) ed essere veramente cristiani.
Si può paragonare il perdono all’atto dell’espirazione, in quanto consiste innanzi tutto in un "lasciar andare", quindi dire addio per sempre a qualunque sentimento negativo, si tratti di paura, risentimento, desiderio di vendetta, rancore, rabbia o altro.
Non di rado è prima noi stessi che dobbiamo perdonare: pensiamo ai sensi di colpa, che altro non sono che sentimenti negativi nei nostri confronti.
Proprio perdonando, facendo pace con noi stessi, impariamo a perdonare il prossimo e così a perdonare noi stessi.
Perdonando impariamo ad aderire alla vita: infatti, possiamo intervenire solo sul nostro presente e, di conseguenza, sul nostro futuro.
Finché ci rifiutiamo di perdonare, noi restiamo nevroticamente ancorati al passato, addirittura a un passato irreale, a ciò che secondo noi avrebbe dovuto essere e non è stato.
Il perdono è un processo interiore in cui impariamo a distaccarci da una visione della vita permeata dall’"ego", per cui il prossimo dovrebbe adeguarsi ai nostri schemi di comportamento e la responsabilità delle nostre disgrazie sarebbe sempre e comunque degli altri.
Il perdono, insegnandoci ad amare la vita per quella che è, ci libera dalla paura, per farci scorgere in ogni evento, piccolo o grande, una lezione finalizzata alla nostra evoluzione.
Dal perdono nasce inoltre il coraggio, in quanto il meschino compiacimento che il nostro ego prova nel farci sentire vittime anziché responsabili della nostra vita si rivela un capitolo da archiviare per sempre.
Grazie al coraggio, scopriremo che la realtà è un po’ diversa dalla favoletta dove gli altri sono i carnefici e noi le povere vittime.
Ci renderemo conto che nella stragrande maggioranza dei casi la nostra parte di torto non manca.
Anzi, uscire dallo stereotipato ruolo di "umiliati e offesi", nel quale il nostro orgoglio ci aveva confinati, non potrà che sortire effetti salutari per raggiungere l’armonia con noi stessi, col prossimo e col mondo intero.
Avvicinandoci all’altro senza pregiudizi, con tutta probabilità se ci fossimo trovati nella precisa situazione storica ed esistenziale di chi tanto ci ha fatto infuriare, ci saremmo comportati allo stesso modo.
Non a caso, coloro che non sono disposti a perdonare si sentiranno sempre "in credito" nei confronti della vita e da tale habitus, conscio o inconscio, nascono angoscia e frustrazione a tutti i livelli, indipendentemente da ogni sicurezza di ordine materiale o sociale raggiunta.
Perdonando, impariamo invece a sentirci "in debito" nei confronti della vita.
Invece di chiederci che cosa abbia la vita da offrire a noi, chiederemo che cosa noi abbiamo da offrire alla vita.
A quel punto, essa ci colmerà di doni inaspettati.
Il perdono è inoltre indispensabile per fare piazza pulita dei pregiudizi e aprirci alla verità: pensiamo solo alla pretesa secondo cui gli altri "devono cambiare" secondo i nostri schemi o comunque corrispondere a questi.
Quale occasione migliore per imparare a scendere dai troni illusori sui quali certe volte ci adagiamo, comprendere chi non ci piace, accettare che spesso quelli che non riusciamo a tollerare negli altri, altro non sono che aspetti e proiezioni della nostra personalità?
Attraversare il ponte del perdono significa percorrere il tratto più importante dell’ universo, di là del quale è garantita la felicità”, dice lo psicologo Pasquale Ionata. Perdonando diciamo definitivamente "sì" alla vita, reinserendoci in quel flusso dinamico e aderendo a quella legge di trasformazione che costituisce una bellissima e fondamentale legge di natura.
Una volta divenuti consapevoli della sua importanza, per molti la scelta del perdono si rivelerà spontanea; altri, pur desiderosi di muoversi in tale direzione, potranno incontrare difficoltà.
Capita, in altre parole, di sentire: “Vorrei perdonare mio marito (o mio padre, o altri ancora), ma non ci riesco”. Niente paura. Teniamo presente l’insegnamento zen: “Quando l’allievo è pronto, il maestro compare”; se siamo davvero decisi a cambiar vita, troveremo la strada.
Riuscirai, se pensi di riuscire.
Il perdono è per lo più frutto di un cammino, perciò si impara.

Un Saluto di cuore a tutti
Pino

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Se in guerra hai davanti un nemico e non lo ammazzi o fai prigioniero non sei un santo ma assassino dei tuoi stessi compagni perche' quello con molta probabilita' ne ammazzera' qualcuno.

Qui non siamo in guerra, non ci sono nemici e non si tratta di torcere un capello a chicchessia.

Ma quella gente deve smetterla, va fermata.

Perdonandoli o facendo finta di nulla diventeranno sempre peggio.
La loro arroganza aumentera' sempre, forte dell' impunita'.

E faranno sempre piu' danni.
E ci andra' di mezzo altra gente.

Questi sono i fatti, il resto scusa l' espressione sono solo pippe mentali.

Con il solito affetto
Claudio





“Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sè non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
Joseph Pulitzer (1847-1911), Fondatore Premio Pulitzer
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15/01/2007 15:57
 
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“Vorrei perdonare mio marito (o mio padre, o altri ancora), ma non ci riesco”. Niente paura. Teniamo presente l’insegnamento zen: “Quando l’allievo è pronto, il maestro compare”; se siamo davvero decisi a cambiar vita, troveremo la strada.
Riuscirai, se pensi di riuscire.
Il perdono è per lo più frutto di un cammino, perciò si impara.

Un Saluto di cuore a tutti
Pino


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Pino caro sapessi che bello oggi, leggere queste parole, ''il perdono è frutto di un cammino''
come non potrei essere daccordo, con questa perla spirituale, è una verità indiscutibile, per chi vuole approfondire questo concetto, che forse puo lasciare inebetiti, ma ci si rende conto che non ce n'è un altra se non si vuole passare tutta la vita senza il perdono, se lo si persegue arriva, quello vero, se lo si cerca ci cerca, tutti abbiamo bisogno di essere perdonati, e per essere capaci di abracciare il perdono, si deve essere disposti a perdonare, i risultati a volte sono eccezzionali, a volte sono scarsi, ma la buona volontà attesta le buone propensioni del cuore, che non è forse un risultato magnifico questo?
Perdonare significa liberarsi essere peronati vuol dire essere liberati, è chiaro questo che per sorta di legge naturale, non puo avvenire senza ''il cammino'' che ci porta questo meraviglioso frutto della luce di Dio.
Siccome ho molte cose importanti da farmi perdonare da Lui,
credo di essere in un ottica che mi fa vedere tutti i miei ''rancori'' come delle ''cazzate'' in fondo è pur vero che voglio bene alle persone verso cui provo questi rancori
[SM=x1061969]

un bacio e un abbraccione a te per questo splendido scritto che mi ha un po riportato coi piedi per terra.
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“Solo dal perdono nasce l’amore” N. MANDELA

Cara Lucy,
E' proprio così!
Il perdono si muove dentro di noi come la verità e l'amore!
Oggi la moderna psicologia ha cominciato ad interessarsi del perdono perché si è visto che nella pratica clinica, una terapia riuscita spesso porta il paziente a perdonare le offese ricevute.
Questo atto, producendo una diminuzione di amarezza e risentimento, ha un effetto catartico, di liberazione, perché è capace di eliminare o attenuare i sentimenti di rabbia, di vendetta, di vergogna e di risentimento, liberando delle energie, che possono essere dunque meglio spese su altri fronti.
Un bacio
Pino


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15/01/2007 19:28
 
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Rinata altrove
Una bolla d’aria
Come un verso
Fuggito
dai miei pensieri.
È uno schizzo.
Primo abbozzo di felicità.
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16/01/2007 20:37
 
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Perché ci sia vero perdono devono essere coinvolti tutti i sistemi: cognitivo, emotivo e comportamentale. Dal punto di vista cognitivo ed emotivo, il perdono richiede tempo: infatti può avvenire solo dopo che vi sia stato un processo mentale capace di far tacere il risentimento, la rabbia, il desiderio di vendetta o di punizione della persona che ha perpetrato l’offesa. Il gesto del perdono è solo l’ultimo atto che riguarda questo lungo processo.

Il perdono richiede dunque un grande sforzo, emotivo ed intellettuale e non dovrebbe dunque essere confuso con la timidezza o la debolezza morale. Chi perdona non è chi non vuole assumersi la responsabilità di punire, correggere, vendicare, non è chi vuole necessariamente chiudere un occhio sulla realtà che lo fa soffrire, lasciando correre e guardando oltre: perdonare non significa cercare di dimenticare l’offesa ricevuta, ma solo fare in modo che essa, pur permanendosi nel ricordo, non provochi più dolore. La dimenticanza infatti non equivale al perdono.

Il perdono implica la propria liberazione da un nemico interno, costituito dall’odio. L’odio, come l’amore, è un sentimento molto forte, che può legare indissolubilmente ad una persona e che dunque fa si che l’offensore sia sempre nei pensieri dell’offeso, nei suoi ricordi, nei suoi progetti. L’odio crea una dipendenza. Per questo, dal punto di vista psicologico, il perdono viene considerato un valido strumento terapeutico: permette di lenire la sofferenza, di riguadagnare la fiducia in sé stessi, e spesso di ristabilire relazioni interrotte fra due persone, attraverso una rinegoziazione delle regole del rapporto.

Tratto da vecchi appunti su una lezione della dottoressa Giuliana Proietti, eccellente psicoterapeuta!
Saluti
Pino


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Per perdonare occorre sapersi spogliare dei propri panni e sapersi mettere in quelli dell’offensore, cercando di vivere e reinterpretare la realtà guardandola da un’altra prospettiva, giustificando e comprendendo quelle che possono essere state le motivazioni o le pulsioni delle quali possa essere stato, a sua volta, vittima chi ha offeso.

Il processo del perdono richiede meno sforzi affettivi e cognitivi se l’offesa non è grave, se non è intenzionale, se l’offensore mostra rammarico e chiede scusa.

Quando si riceve un’offesa per prima cosa si sperimenta uno stato generale di smarrimento, di perdita momentanea dell’equilibrio, anche a causa dell’effetto-sorpresa e della mancanza di adeguate strategie difensive. Questo è ancor più vero quando fra vittima e offensore c’è un legame profondo di affetto o di amore, come può avvenire fra parenti, coniugi, amici o affini. Dal momento in cui si riceve l’offesa viene messo in crisi tutto un sistema di attribuzioni e di aspettative riguardo ad una certa persona, il tutto abbinato ad emozioni fortemente negative e distruttive, difficili da contenere, come accade quando si sperimentano dolore, rabbia, delusione, depressione, vergogna.
Tratto da vecchi appunti su una lezione della dottoressa Giuliana Proietti, eccellente psicoterapeuta!
Saluti
Pino



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19/01/2007 15:44
 
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Perdonare settanta volte sette..........ma a satana opponetevi!!
Mi associo a Pino.

Il perdono non deve distogliere la riprensione e la correzione.
Essa, per avere efficaci risultati, ha necessità di identificare il colpevole.
Il colpevole non sono gli uomini, anche se sono identificati nel direttivo WTS, composto da uomini, ma è satana, la personificazione del male.
E' il male, che noi non dobbiamo perdonare, e dobbiamo opporci ad esso, ma gli uomini, dobbiamo perdonarli.

Se riusciremo a comprendere questo, non ci accaniremo più contro gli uomini, ma contro il male degli uomini.

Estirpare il male dagli uomini, è un grande gesto d'amore che possiamo fare per i nostri nemici, vittime del male, ed è la più grande vittoria che possiamo conseguire contro satana, e potremo così rallegrare il cuore di Dio.
Ma se priviamo del nostro perdono questi uomini, saremo assolutamente perdenti nei confronti della nostra giustizia interiore, e faremo felice soltanto il "principe del male".
Gesù ci ha esortato di continuare a pregare per gli uomini operatori inconsci del male, affinchè possano anche loro provare la "vera" libertà: Quella dal male.

Con affetto fraterno

Enrico Frassinetti
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