Santa sede spa
La struttura organizzativa della Chiesa si basa su un presidente e amministratore delegato, il papa, e su un consiglio di amministrazione, la curia cardinalizia. Da loro dipendono una serie di direzioni generali, le congregazioni e i consigli. Uno schema che si ritrova in ogni multinazionale
di Giuseppe Perrotta
La cultura confessionale tende ad accomunare fedeli e gerarchie ecclesiastiche in un unico insieme, definito Chiesa cattolica, nel quale origini divine, pratiche soprannaturali e meccanismi organizzativi umani si armonizzano magicamente.
Chi, però, guarda le cose del mondo con occhio esclusivamente laico, come accade a tanti di noi, e che ha dimestichezza con le logiche spesso assai complesse delle strutture tipicamente umane, senza intervento di alcun dio, non può non distinguere tra l’organizzazione gerarchica clericale da un lato e i fedeli, presunti o veri, dall’altro.
La prima appare, allora, come una grande azienda multinazionale, e gli altri come la sua clientela.
Questa affermazione può apparire a prima vista superficiale, quasi una boutade da mangiapreti; essa è invece suffragata da riflessioni attente e puntuali basate su un’analisi, appunto laica, di tutto il contesto.
Come ogni multinazionale che si rispetti, l’organizzazione cattolica si basa su un prodotto di successo, del quale è riuscita ad accaparrarsi la privativa.
Nel caso di specie, si tratta della redenzione, uno strumento capace di lavare il peccato originale, inventato anch’esso alla bisogna, e assicurare la vita eterna a chi la acquista.
La genialità dell’inventore del prodotto sta nel fatto che la redenzione si compra da vivi e viene consegnata nell’aldilà, dal quale ancora nessuno è tornato a dire se veramente funzioni.
Si superano in tal modo non solo l’obsolescenza della merce, ma anche la necessità di rispondere ai reclami degli scontenti, e ai risarcimenti dei danni, bestie nere del conto profitti-perdite delle multinazionali terrene.
Sarebbe interessante approfondire attraverso quali intuizioni, aggiustamenti, battaglie commerciali vinte e perse, l’organizzazione sia giunta alle dimensioni e alla struttura attuale. Ma ciò deve necessariamente formare oggetto di una riflessione specifica, che esula dagli obiettivi e dalle dimensioni di queste pagine.
Qui interessa schematizzare per grandi linee quali siano oggi gli inquietanti parallelismi tra le potenti strutture che vendono nel mondo petrolio, automobili, ristorazione o turismo, e la Chiesa cattolica apostolica romana.
Parliamo, nello specifico, di struttura organizzativa, gestione del personale, rapporti con le consociate, strategia commerciale, struttura delle forze di vendita, controllo della concorrenza, politiche promozionali e gestione della finanza.
La struttura organizzativa centrale della Chiesa si basa su un presidente e amministratore delegato, il papa, e su un consiglio di amministrazione formato dalla curia cardinalizia; da loro dipende una serie di direzioni generali che sono le congregazioni e i consigli.
Questi organi operativi sono coadiuvati da altre strutture centrali:
le commissioni, gli uffici, le istituzioni, le fondazioni e le accademie.
L’organizzazione periferica che a tale struttura riporta è fatta di diocesi, vere e proprie filiali, e di parrocchie, che sono gli uffici che da esse dipendono e i punti di contatto più capillari nei rapporti con la clientela. Uno schema organizzativo, questo, che si ritrova in ogni multinazionale.
Il personale ecclesiastico si articola in una piramide del tutto analoga a quella di ogni grande azienda. Al vertice sono i direttori centrali, cioè i cardinali titolari di una congregazione o preposti a dirigere un consiglio; nello strato più basso i dirigenti, i vescovi titolari di diocesi o di organizzazioni centrali minori, e alla base il personale impiegatizio, costituito progressivamente dai parroci, assimilabili del tutto ai quadri, seguiti dai presbiteri e dai diaconi, paragonabili ai primi livelli, e da ultimo i coadiutori nelle varie funzioni liturgiche, quali il lettorato e l’accolitato, che formano quello che nelle aziende commerciali è il livello di base.
Come ogni multinazionale, l’organiz-zazione si avvale, poi, a supporto degli obiettivi dell’azienda madre, di consociate, per penetrare in modo più efficace nel mercato. Si tratta di consociate religiose, cioè degli istituti di vita consacrata quali i Benedettini, i Domenicani, i Francescani e tanti altri, e laiche quali Comunione e liberazione, Opus dei, Legionari di cristo e altre.
Come accade nelle più sofisticate strutture impegnate nei mercati, la strategia commerciale è centrata sulla segmentazione della clientela per fasce di bisogni, e sulla conseguente diversificazione del prodotto, la cui materia base è sempre la redenzione, ma confezionata diversamente in funzione di bisogni spontanei o indotti delle singole fasce di attuali potenziali fruitori.
La struttura di vendita, come impone la diversità dei mercati, è anch’essa articolata; nei Paesi a maggioranza cattolica, dove l’entry configuration del prodotto, il battesimo, è entrato nell’uso comune, non è necessario sforzarsi troppo per mantenere la fidelizzazione della massa dei clienti, cioè dei sedicenti cattolici.
Questi fanno quasi automaticamente la prima comunione, la cresima, si sposano e celebrano la propria morte in chiesa. è quindi sufficiente il normale personale impiegatizio che opera nelle parrocchie in modo routinario.
Dove, però, la concorrenza si fa più sentire, e dove la clientela potenziale è ancora assai vasta, sono necessarie strutture di vendita più sofisticate; allora si ricorre, per esempio, all’attrezzaggio di servizi essenziali per la vita, quali l’erogazione del cibo, dell’alloggio e dell’istruzione, per vendere inscindibilmente nello stesso pacchetto anche la redenzione.
L’attenzione alla concorrenza è altresì pari a quella di ogni altra struttura di vendita laica; è stata oggetto nel tempo di grandi sforzi organizzativi, e ancora oggi impegna a fondo le strutture centrali. La concorrenza che attualmente fa più paura è quella che opera in modo aggressivo nei mercati di conquista, come l’islam, o quella che attacca pesantemente mercati una volta captive, come le sette protestanti in Sudamerica.
Quanto alle iniziative promozionali, esse, lungi dallo svolgersi solo all’interno delle capillari strutture dell’organizzazione, si avvalgono, al pari di quanto avviene per ogni grande operatore commerciale, del supporto massiccio di tutti i media.
Nella finanza, infine, il parallelismo con chi commercializza anziché redenzione, beni durevoli, di consumo o servizi, è ancora più stringente, anche se per scoprirlo occorre portare avanti un’attività di investigazione non sempre facile, perché sui suoi bilanci la Chiesa cattolica stende un velo all’apparenza leggero, ma nella sostanza assai poco penetrabile.
Questa carrellata dovrebbe fare inorridire il credente di fronte alla spregiudicatezza di chi manovra questa grande macchina, ma normalmente egli non si ribella, assuefatto com’è fin dai primi vagiti alle sue distorsioni e assurdità.
Quanto al libero pensatore, la constatazione di questo parallelismo produce una sorta di ribellione interiore, simile a quella che generò secoli addietro la reazione illuminista.
Se però egli, anziché essere francese o tedesco, è, disgraziatamente, italiano o peggio romano, c’è il caso che venga colto da una sindrome di campanilismo del tutto schizofrenica rispetto alla sua coscienza laica.
È pur vero che la Chiesa cattolica, essendo una multinazionale, aggrega nel suo Stato maggiore uomini di tutte le razze, come accade a ogni azienda cui si da questo titolo; ma così come la Coca Cola è impostata su una cultura statunitense, con la sua specifica tecnica di tenere i conti, di fare previsioni e di ragionare, il Vaticano poggia su radici italiche, ha sede in Roma, parla latino, ed è l’espressione di una cultura politica che, per quanto assai criticabile, è nel nostro dna.
Gli italiani, piccola e poco qualificata minoranza nel mondo, sono nella Curia in maggioranza relativa, così come gli americani nelle multinazionali da loro generate. E tutto questo può sconvolgere la mente, e il sentimento può rischiare di schiacciare la ragione.
Quando i grandi del mondo vengono convocati a Roma e fanno la fila a piazza San Pietro per baciare l’anello al papa, il nauseante barocchismo della cerimonia passa in seconda linea, così come il ridicolo musicale dell’inno di Mameli, o la volgarità troppo spinta di certe espressioni del Belli.
Su tutto prevale il campanilismo.
La Chiesa, che porta con sé i peggiori difetti delle multinazionali, tutti e anche di più, diventa “nostra”; siamo noi che ci sentiamo in pole position nella gara di potere con gli americani e i cinesi nel terzo millennio.
È la testardaggine dei latini, arricchita dalle raffinatezze degli etruschi, e dall’intelligenza dei greci che risorge ancora dalle ceneri, come l’araba fenice, nelle forme più strane. Secoli addietro si è manifestata nel Rinascimento, adesso riappare con i pretoni. Sarebbe stato molto meglio che avesse trovato una dimensione meno arrogante, ma purtroppo è andata così.
A nostro avviso questo schizofrenico campanilismo va combattuto, e lo si può fare passando dalla carrellata di queste pagine a un’analisi più approfondita delle logiche di comportamento e dei numeri attraverso i quali si esprimono i singoli settori della struttura vaticana; analisi che pensiamo di proporvi nei numeri a venire. Può essere una cura salutare per la nostra laicità, e un antidoto contro l’inquietante pericolo del suo arrugginirsi.
24 aprile 2009