MULTILIVEL MARKETING E VENDITE PIRAMIDALI - disciplina -

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00venerdì 29 gennaio 2010 01:02

Multilevel Marketing
e vendite piramidali
nella recente disciplina della

L. 173/2005.



di
Luca Cestaro



1. Marketing multilivello e vendite piramidali: affinità e differenze.

Da tempo nel nostro paese (e non solo) si vanno diffondendo organizzazioni imprenditoriali dedite alla commercializzazione di prodotti mediante la tecnica del cd. multilevel marketing (mlm).


Si tratta di una particolare forma di vendita diretta caratterizzata dalla possibilità per gli affiliati non solo di vendere i prodotti di volta in volta commercializzati (lucrando le provvigioni pattuite) ma anche di far aderire alla struttura di vendita altri soggetti per poi guadagnare una percentuale sull’attività di vendita da loro posta in essere.


Per dirla con le parole di una delle più note multinazionali operanti nel settore del marketing multilivello in una struttura del genere sono previsti tre tipi di remunerazione per gli incaricati alle vendite.

Un primo tipo costituito “dalla provvigione derivante dalla promozione della vendita dei prodotti ai Clienti” ,

un secondo tipo “dai bonus derivanti dal volume delle vendite promosse personalmente ai Clienti

e, infine, “gli incaricati possono anche essere ricompensati con bonus addizionali calcolati sul volume di vendite effettuate dalle persone da essi introdotte nell’attività” dell’azienda
[1].

Appare evidente che l’elemento caratterizzante il multilevel marketing è costituito dalla terza possibilità di guadagno che, in astratto, consente di realizzare ingenti guadagni riducendo al minimo l’investimento iniziale.


Di per sé tale tecnica di commercializzazione appare lecita ma in concreto alcune delle aziende che hanno utilizzato il mlm hanno operato con una tale spregiudicatezza da attirare le critiche delle associazioni dei consumatori e, poi, l’attenzione della Magistratura.


Quasi sempre, infatti, l’opera di proselitismo dei nuovi clienti-venditori si è basata su mirabolanti promesse di ricchezza e di successo.

Tuttavia, secondo i dati delle stesse aziende, la gran parte delle persone guadagna redditi tra i 200 e i 300 euro al mese. Solo lo 0,01% giunge alla ricchezza promessa.

Inoltre, il mondo del multilevel marketing utilizza tecniche di comunicazione e di coinvolgimento che spesso e volentieri assomigliano a quelle utilizzate da "sette" o movimenti religiosi-culturali: convention di massa in cui si canta e si applaude i carismatici leader delle reti, costosi corsi di formazione che si viene "invitati" a frequentare, un atteggiamento di ostilità verso chiunque abbia dubbi o critiche, l’obbligo di coinvolgere parenti e amici, "monetizzando" i rapporti personali ed affettivi[2].



Tale modo di operare, peraltro, non appare caratterizzato da illiceità, almeno sino a che non si “trasformi” nel cd. “schema di vendita piramidale” che è appunto vietato dalla legge in commento.


Le stesse società che si avvalgono del mlm, infatti, operano un chiaro distinguo tra il multilevel “virtuoso” e le vendite piramidali.

La già citata Amway sul suo sito chiarisce: “generalmente, gli schemi piramidali funzionano perché gli individui che si trovano alla base della piramide alimentano i guadagni di coloro che si trovano ai vertici mediante il pagamento delle quote di entrata. Pertanto, i partecipanti che si trovano alla base della piramide potranno recuperare il loro investimento iniziale, solo, e se, un alto numero di nuovi partecipanti (con i relativi investimenti iniziali) aderirà allo schema.
[3]


Per dirla in altre parole, se la retribuzione è basata principalmente sulle vendite effettuate in proprio o da coloro che si è reclutato come venditori siamo di fronte ad una legittima struttura di multilevel marketing se, invece, la retribuzione dipende principalmente dalla mera adesione di altri soggetti (che pagano un’ingente somma come quota di affiliazione) si tratta di uno schema di vendita piramidale
[4].


Il riferimento a tali elaborazioni sembra evidente nella legge in commento. Del resto, il fenomeno aveva già conosciuto una notevole diffusione tanto da essere già incappato nell’attività di alcune autorità di controllo (ISVAP)
[5] e da essere assurto, in taluni casi, agli onori delle cronache giudiziarie.



2. Alcune esperienze italiane di “piramidi”. I cd. casi Tucker e Alpha club.


Le due vicende in argomento hanno avuto notevole risalto mediatico e sono, poi, approdate nella aule di giustizia con pesanti conseguenze per gli organizzatori della struttura piramidale.

Peraltro, va detto, che stante la novità del fenomeno, allo stato, mancano precedenti di legittimità.


2.1 Il cd. caso Tucker. La vendita piramidale può essere una truffa (art. 640 c.p.)

Il riferimento è all’esperienza commerciale della TUCKER s.p.a., al termine della quale, alcuni dei promotori della società hanno subito un procedimento per associazione a delinquere, truffa e violenza privata e il G.I.P. di Rimini, dr.ssa MUSSONI, ha applicato agli stessi con -provvedimento dell’ottobre 2002[6]

- la custodia cautelare in carcere oltre al sequestro preventivo di tutti i conti correnti intestati alla società.


Attualmente la fase delle indagini si è conclusa con la richiesta di rinvio a giudizio da parte del P.M..


Le indagini svolte dalla Guardia di Finanza sotto la direzione dell’A.G. Riminese hanno evidenziato che i promotori della società in questione si arricchivano principalmente inducendo gli affiliati a versare una quota di adesione che nel tempo è variata da quasi 9.000.000 a circa 20.000.000 di lire, mentre il prodotto
(un dispositivo che avrebbe dovuto consentire di risparmiare sulla quantità di gas utilizzato negli appartamenti) scadeva a mero pretesto su cui fondare la struttura (essendosi rivelato, in realtà, del tutto inefficiente e, comunque, di rendimento molto inferiore a quanto pubblicizzato).

La vicenda, poi, è stata caratterizzata anche da aspetti grotteschi quali “seminari” in cui, in atmosfere da setta religiosa, si imponevano agli affiliati più titubanti pesanti vessazioni fisiche e psichiche onde costringerli ad una rinnovata sudditanza psicologica nei confronti dei vertici dell’associazione (per quest’aspetto è stato contestato il reato di violenza privata).


Il citato e ben motivato provvedimento del G.I.P., pur non distinguendo tra mlm lecito e vere e proprie vendite piramidali, presenta numerosi spunti d’interesse.

In primis, infatti, si definisce compiutamente la struttura piramidale. La politica commerciale della società “Tucker S.p.A.” è impostata su una struttura di tipo “piramidale”, tecnicamente denominata “multi level marketing” (o anche “network”) che trae le sue origini geografiche negli Stati Uniti d’America ma che da diversi anni viene utilizzata anche in Italia da altre aziende che operano in diversi settori commerciali, come ad esempio “Amway”, “Herbalife”, “Millionaire” ecc.


Questo tipo di struttura consente a ciascuno dei propri aderenti di crearsi, nel suo interno, una propria personale rete di vendita con conseguente guadagno sia sul prodotto commercializzato (che può acquistare dall’azienda con sconti dal 20% al 40% a seconda del grado rivestito) che sulla “affiliazione” di nuovi aderenti che, sottoscrivendo a loro volta i contratti di “concessione di vendita” o “franchising”, entrano a far parte della suddetta rete consentendo la percezione di “provvigioni” secondo un meccanismo
ben delineato (…). E’ chiaro che i maggiori notevoli guadagni che derivano da tale attività di affiliazione vengono conseguiti dall’azienda nonché dalle persone che all’interno della struttura rivestono le cariche più elevate ossia i primi aderenti al network oppure coloro che, per particolari capacità di affiliazione, sono stati in grado di risalire la struttura assumendo anche responsabilità dirigenziali, come si dirà.


Risulta anche evidente come in un tipo di struttura come quello del “multi level marketing” c’è il rischio che il prodotto commercializzato possa in realtà assumere un importanza marginale rispetto all’attività di affiliazione, soprattutto se questo prodotto non rispetta le caratteristiche promesse e viene proposto come classico “specchietto per le allodole”. E’ facile, quindi, che ciascun aderente al “network” alla fine curi più l’aspetto dell’affiliazione di nuove persone, peraltro caldamente stimolato in tal senso dai vertici aziendali, che l’aspetto vero e proprio della commercializzazione del prodotto in quanto è sicuramente più remunerativo.

Si tenga presente che a ciascun aderente, dopo essersi costituito una propria “rete” di collaboratori, basterebbe solo continuare l’opera di gestione degli stessi, con conseguente sollecitazione a far entrare, a loro volta, altre persone nel “network”, per garantirsi un notevole guadagno costituito dalle provvigioni.


Il G.I.P. riminese, dopo avere così definito il fenomeno, ritiene che lo stesso integri tutti i presupposti oggettivi del reato di truffa.


In particolare, gli artifizi ed i raggiri idonei a carpire la buona fede delle persone offese inducendole in errore e determinandole all’atto di disposizione patrimoniale costituito dalla sottoscrizione del contratto di franchising e dal pagamento della quota di ingresso nella Tucker, sono ravvisati:

a) nella falsa rappresentazione di un prodotto tecnicamente innovativo e tale da ridurre i consumi del gas in misura assai ingente (fino al 50%) rivelatosi, invece, del tutto inefficace;

b) nella contestuale rappresentazione di una struttura imprenditoriale in grado di garantire facili ed ingenti guadagni nonostante la relativa portata dell’investimento iniziale; c) nelle modalità con cui tale rappresentazione è realizzata: pubblicità capillare anche su media nazionali, organizzazione di convention nelle quali i responsabili ed i dirigenti Tucker presentano la società ed il prodotto commercializzato, non solo utilizzando le più suggestive e raffinate tecniche di vendita, al fine di convincere i partecipanti della serietà, anche etica e morale ed, addirittura, dell’utilità sociale dell’attività svolta dalla Tucker e dai suoi dipendenti (prospettando in particolare il reinvestimento in opere di beneficenza di parte dei guadagni della società), ma soprattutto, traendo in inganno gli invitati in ordine all’efficacia del prodotto, mediante l’esibizione di false attestazioni e certificazioni tecniche, di esiti positivi di prove tecniche (…) mai effettuate, o realizzate da persone compiacenti perché inserite nella struttura Tucker e,comunque, con risultati artatamente”gonfiati” e non rispondenti al reale esito della prova ed, ancora, tacendo qualsiasi riferimento in ordine agli accertamenti tecnici negativi.


Orbene, come si vede, a determinate condizioni, anche prima dell’introduzione della L. n. 173/2005 le organizzazioni di vendita piramidale mostravano profili di spiccata rilevanza penale
[7].



2.2 Il caso dell’Alpha club s.r.l. . Invalidità dei contratti di affiliazione.


Anche la Giurisprudenza di merito civile ha avuto modo di occuparsi di strutture piramidali in alcune occasioni. In particolare, il Tribunale di Torino si è pronunciato sul ricorso ex art. 669 bis c.p.c. presentato dall’ADICONSUM contro l’Alpha club s.r.l. e l’associazione Alpha club
[8].


Innanzitutto il Tribunale ha riconosciuto la legittimazione dell’ADICONSUM ex art. 3 L. n. 281/1998 poiché si tratta di associazione iscritta nell'elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale, previsto dall'art. 5 L. n.281/1998 (oggi il riferimento è da intendersi agli articoli 37 e 137 D. lgs 206/2006, Codice del Consumo), per poi negare la validità del contratto di affiliazione sulla base di convincenti argomentazioni che saranno esposte succintamente nel prosieguo del paragrafo.


La descrizione della vicenda fornita dal Tribunale permette di far rientrare anche questa vicenda in quell’uso distorto del marketing multilivello che è la vendita piramidale: oggetto del contratto associativo è –questa volta- l'offerta, da parte di Alpha Club ai propri membri, di sistemazioni alberghiere, di vacanze e viaggi a prezzi scontati con il correlativo impegno del contraente ad agire come procacciatore d'affari, per promuovere e sviluppare le vendite delle tessere di associazione Alpha Club secondo un meccanismo analogo a quello descritto ai paragrafi che precedono.

Proprio tale meccanismo, tuttavia, ha reso evidente al Giudicante che la reale finalità e causa dei contratti consisteva non tanto nell’acquisto del generico pacchetto di sconti quanto piuttosto nell’inserimento del soggetto nell’organizzazione piramidale che, mediante l’ingresso dei nuovi adepti, consentiva ai livelli più elevati della piramide di guadagnare le provvigioni sulla quota di ingresso di volta in volta versata dai successivi affiliati nella misura dettagliatamente determinata dal contratto.

A tale conclusione il Tribunale giunge motivando sulla sproporzione esistente tra il versamento richiesto per l’affiliazione (7.200.000 lire) e l’apparente oggetto del contratto costituito da un pacchetto di sconti a tal punto generico da non essere in concreto mai stato sfruttato da alcuno dei ricorrenti.


L’ordinanza del Tribunale di Torino del 3 ottobre 2000
-che conclude nel senso dell’invalidità dei contratti di affiliazione, dell’illiceità di taluni aspetti dell’attività imprenditoriale e, conseguentemente, inibisce l’attività dell’Alpha Club per come si era svolta sino a quel momento - consente di trarre alcune utili conclusioni.


In primis si rileva come il Giudicante ritenga applicabile all’azione imprenditoriale dell’organizzazione piramidale la normativa in tema di raccolta del risparmio, quella relativa alle attività di organizzazione e intermediazione dei servizi di viaggio nonché l’art. 11 d.lvo 50/1992 (oggi confluito nei corrispondenti articoli del codice del consumo) che, per i contratti conclusi fuori dai locali commerciali, prevedeva la possibilità di esercitare il recesso.


In secondo luogo, sia pur con la sommarietà tipica della fase cautelare, si qualifica il contratto di affiliazione come contratto atipico che presenta alcuni caratteri dell'associazione in partecipazione, del mandato e dell'agenzia.

In proposito, il Tribunale, individuata –come detto- la causa del contratto nella mera affiliazione all’organizzazione piramidale, ritiene la non meritevolezza ai sensi dell’art. 1322 c.c. dei contratti ed, inoltre, dichiara che i contratti associativi Alpha Club appaiono nulli per contrarietà all’ordine pubblico ed illiceità della causa ex art. 1343 c.c. .


Si afferma, infine, che –stante l’estrema genericità del pacchetto di sconti proposto- il contratto deve ritenersi nullo per indeterminatezza dell’oggetto[9].



3. La legge n. 173/2005. Aspetti civili e penali.

3.1. L’articolato normativo. Struttura della fattispecie e sanzioni penali.


I lavori preparatori della legge in questione confermano che il legislatore aveva ben presente la realtà succintamente descritta nei paragrafi precedenti (si veda ad es. la relazione progetto di legge n. 2542 nel quale è confluito, tra gli altri, il n. 3008 la cui scheda di lavori preparatori recita: occorre fare molta chiarezza ed evitare pericolosi equivoci tra le forme di vendita diretta con il metodo del multilevel marketing ed, invece, vere e proprie forme di truffa a danno del consumatore finale (…).

Si rende, pertanto, necessario operare una netta distinzione tra le forme di "vendita diretta", includendo anche quelle a struttura multilevel, e le cosiddette forme di "vendita piramidale", "catene di S. Antonio", ed operazioni similari che sono oggetto in molti Paesi di pesanti divieti legali
).


Gli art. 5 e 6 della legge in esame, infatti, tratteggiano con sufficiente precisione il fenomeno vietando al primo comma dell’art. 5 “la promozione e la realizzazione di attività e di strutture di vendita nelle quali l'incentivo economico primario dei componenti la struttura si fonda sul mero reclutamento di nuovi soggetti piuttosto che sulla loro capacità di vendere o promuovere la vendita di beni o servizi determinati direttamente o attraverso altri componenti la struttura” ; il secondo comma, poi, ribadisce che “è vietata, altresì, la promozione o l'organizzazione di tutte quelle operazioni, quali giochi, piani di sviluppo, "catene di Sant'Antonio", che configurano la possibilità di guadagno attraverso il puro e semplice reclutamento di altre persone e in cui il diritto a reclutare si trasferisce all'infinito previo il pagamento di un corrispettivo”.


Va detto che è il primo comma a sanzionare le vendite piramidali vere e proprie mentre il secondo sembra colpire più direttamente il fenomeno, rinato a nuova giovinezza grazie alla diffusione di internet, delle tradizionali catene di Sant’Antonio non finalizzate alla vendita di prodotti (sono ben note le “chain letters” che promettono ingenti guadagni purchè si invii una somma di denaro ad altre persone che a loro volta dovranno far proseguire la catena)
[10].


Il legislatore, poi, all’art. 6 descrive alcune circostanze di fatto da intendersi quali presunzioni di illiceità ai sensi dell’art. 5 dell’operazione posta in essere.

L’utilizzo di tale tecnica normativa appare quanto mai opportuno perché finalizzato ad evitare in molti casi la difficoltà pratica di accertare in concreto quale sia il fine primario dell’organizzazione (mero reclutamento o vendita, basti la lettura della citata ordinanza del G.I.P. di Rimini relativa al caso Tucker per avere un’idea della complicatezza dell’accertamento dei contorni dell’operazione truffaldina).


In concreto, tuttavia, gli elementi presuntivi di cui all’articolo 6 (ad eccezione di quello alla lettera sub a] che sembra piuttosto preciso
[11]) sono stati formulati con grande cautela (evidentemente per evitare di colpire anche fenomeni di marketing multilivello lecito) e, conseguentemente, saranno gli interpreti a dovere precisare nella pratica alcuni concetti alquanto indeterminati.

Si allude alla necessità che l’obbligo di versare una somma di denaro all’atto del reclutamento sia “in genere di rilevante entità” e che allo stesso non corrisponda “una reale controprestazione” (art. 6 lett. b ) o, ancora, alla previsione secondo cui l’obbligo del soggetto reclutato di acquistare, dall'impresa organizzatrice o da altro componente la struttura, materiali, beni o servizi, ivi compresi materiali didattici e corsi di formazione, per avere rilevanza penale debba avere ad oggetto materiali e corsi non strettamente inerenti e necessari alla attività commerciale in questione o, comunque, non proporzionati al volume dell'attività svolta (art. 6 lett. c).

Non è difficile immaginare una linea difensiva degli ipotetici imputati tesa a dimostrare la “realtà” della controprestazione costituita magari da kit di comunicazione e/o da corsi di formazione per l’utilizzo e l’installazione del prodotto, né sembra un argine sufficiente ad eliminare incertezze interpretative il descritto limite della “stretta inerenza e necessità all’attività commerciale in questione” o della proporzione rispetto al volume di affari.
 
Del resto gli operatori del diritto più accorti hanno la consapevolezza (che talvolta manca al legislatore) che eliminare qualsivoglia margine interpretativo è operazione quanto mai difficile se non impossibile.


L’art. 7, infine, sanziona penalmente le attività illecite ai sensi degli artt. 5 e 6 prevedendo un reato contravvenzionale con pena alternativa (punito con l’arresto da sei mesi ad un anno o con l’ammenda da 100.000 a 600.000 euro) per i promotori e gli organizzatori dell’attività oltre alla sanzione accessoria della pubblicazione del provvedimento.



3.2. La sorte dei contratti di affiliazione alla luce della nuova disciplina.


Preliminarmente si osserva che la previsione dello specifico reato non muta il quadro di riferimento normativo per quel che riguarda l’applicabilità a tutte le forme di marketing multilivello delle norme poste a tutela del consumatore oggi confluite in gran parte nel d.lgs 206/2005 (codice del consumo); il riferimento è, ad es., alle norme in tema di diritto di recesso per i contratti negoziati fuori dai locali commerciali (artt. 44 e ss., 64 e ss. D.Lgs 206/2005) e, ovviamente, a quelle che regolano la vendita diretta introdotte dalla stessa legge n. 173/2005 (artt.1-4 in cui è espressamente prevista l’applicabilità della normativa anche qualora l’esercizio della vendita diretta avvenga in forma occasionale e senza vincolo di subordinazione).


In merito alla validità o meno dei contratti di affiliazione alla organizzazione piramidale, i primi commenti alla legge
[12] concludono nel senso della sicura operatività della nullità cd. virtuale ai sensi dell’art. 1418 co. 1 c.c. ma tale conclusione non può darsi per scontata trattandosi di reato che riguarda il comportamento di una sola parte contrattuale (l’impresa affiliante)[13] laddove l’affiliato sarebbe in realtà vittima del reato (reato che, peraltro, vista l’espressa clausola di salvaguardia contenuta nella prima parte dell’art. 7, e ricorrendone i presupposti, potrebbe non essere quello specificamente previsto per l’organizzazione di vendite piramidali ma il più generale e grave reato di truffa ex art. 640 c.p.).



A tale conclusione, comunque, si giunge egualmente qualora si consideri il contratto come elemento che concorre a formare una struttura di vendita contraria a norme imperative; in quest’ottica non v’è dubbio che la causa del contratto che determini l’affiliazione ad una struttura avente le caratteristiche descritte agli artt. 5 e 6 della legge in commento, non potrebbe non essere nullo per illiceità della causa (si allude alla cd. causa intesa quale ragione concreta del contratto
[14]) o, trattandosi di contratto atipico, del tutto inefficace per assoluta immeritevolezza dell’interesse perseguito ex art. 1322 co. 2 c.c. (sulla stessa lunghezza d’onda l’ordinanza del Tribunale di Torino richiamata poco sopra).



3.3. Analisi della fattispecie criminosa.


La condotta penalmente rilevante, come detto poc’anzi, è determinata con riferimento al divieto di cui agli artt. 5 e 6. Si tratta di reato contravvenzionale punito con pena alternativa e, quindi, oblabile ex art 162 bis c.p..

In proposito, peraltro, va osservato che l’ammenda prevista è molto elevata (da 100.000 a 600.000 euro) e, quindi, l’indagato che optasse per l’oblazione dovrebbe pagare 300.000 euro
[15] per estinguere il reato mentre all’opposto la pena detentiva è piuttosto blanda (arresto da sei mesi ad un anno).

L’imputato incensurato potrebbe, quindi, essere portato a preferire una condanna a pochi mesi di arresto sospesa condizionalmente piuttosto che il pagamento di un’ingente somma di denaro per l’oblazione.


Il reato deve ritenersi di natura permanente (sono punite sia la “promozione” che la “realizzazione” di strutture di vendita piramidali) con la conseguenza che si perfeziona con la mera promozione di una struttura di vendita di tipo vietato ma può dirsi consumato
[16] solo quando la struttura di vendita cessa di operare (con il conseguente inizio della decorrenza della prescrizione).


Degno di nota è, poi, che il reato si perfezioni -come detto- con la semplice “promozione” della piramide di vendita.

Il termine in questione potrebbe astrattamente riferirsi anche all’attività degli affiliati che con la propria attività di proselitismo “promuovano” la struttura garantendone la diffusione;

tale interpretazione, tuttavia, non può essere accolta in quanto l’analisi sistematica depone piuttosto nel senso di sanzionare gli “iniziatori” della struttura di vendita che in tal senso ne sono i promotori analogamente a quanto avviene nelle fattispecie associative del codice penale (artt. 306 o 416 c.p.).

Con tali fattispecie, peraltro, il reato de quo condivide la natura di reato di pericolo (a consumazione anticipata) in quanto la consumazione del reato consegue alla mera predisposizione della struttura senza che sia necessario che la stessa inizi ad operare concretamente (non è necessario che si determinino le prime “affiliazioni”)
[17].

Sembra, peraltro, difficile che il fenomeno possa essere represso in una fase tanto embrionale perché non rilevabile (solo quando la struttura inizierà a propagarsi le Autorità potranno venirne a conoscenza ed intervenire).



In tema di durata della prescrizione del reato (dell’inizio della decorrenza si è già detto) trattandosi di un reato contravvenzionale opera il termine generale di quattro anni previsto dall’art. 157 co. 1 c.p. -come novellato dalla L. 251/2005 (cd. ex-Cirielli)- che, nel caso in cui la prescrizione venga interrotta, può arrivare sino a cinque anni nel caso di incensurati (o aumentare nel caso di recidivi secondo l’articolato sistema introdotto dalla legge ex-cirielli).



3.4. Rapporti con altri reati. Conclusioni.


La clausola di salvaguardia contenuta nel primo comma dell’art. 7 della legge in commento risolve in radice qualunque problema di accavallamento delle fattispecie.

Se il fatto costituisce reato più grave, infatti, sarà quest’ultimo a prevalere, derogandosi, quindi, altri criteri che avrebbero potuto determinare un risultato opposto(ad es. l’adozione del criterio di specialità avrebbe potuto determinare la prevalenza di questa fattispecie criminosa su quella più generale di truffa).


Nel caso Tucker, ad esempio, la qualificazione giuridica data alla fattispecie (truffa, 640 c.p.) non cambia sussistendo condotte di artificio tali da integrare senz’altro gli estremi del reato di truffa (si pensi, in particolare, alle strategie poste in essere dagli indagati per dissimulare l’assoluta inefficacia del prodotto).


L’analisi del caso Tucker, tuttavia, consente di cogliere gli aspetti maggiormente positivi della legge in commento. Se, infatti, i promotori avessero commercializzato un prodotto realmente efficiente, tutte le altre spregiudicate pratiche di multilevel marketing (in particolare, il pagamento di una quota di ingresso ingente e del tutto sproporzionata in rapporto ai materiali e all’attività di formazione offerta dall’azienda affiliante) non sarebbero incappate verosimilmente in alcuna sanzione penale.


La previsione di tale espressa sanzione, poi, rende nulli per illiceità della causa i contratti stipulati nell’attività della piramide con ciò vanificando il senso stesso dell’operazione commerciale.


L’esiguità della pena detentiva, infine, non deve trarre in inganno. Difficilmente, infatti, stante la complessità e la durevolezza delle strutture di vendita piramidali, i promotori e gli organizzatori potranno evitare la ben più grave accusa di associazione a delinquere (art. 416 c.p.) con pesanti ripercussioni in campo sanzionatorio e cautelare.


In conclusione la normativa de quo –approvata del resto con pieno accordo bipartisan[18] e accolta con soddisfazione dalle associazioni dei consumatori- sembra costituire un passo avanti nel senso della repressione di alcune condotte, particolarmente subdole, di sfruttamento dei consumatori e può costituire un efficace argine contro la deriva verso tali pratiche (ormai) illecite da parte di aziende che legittimamente si avvalgono di sistemi di marketing multilivello.




[1]
Dal sito http://www.amway-it.com/default.asp?lan=it&zone=ourstory&num=12 consultato il 28..12..2005. L’Amway è una multinazionale che commercializza principalmente prodotti per la casa;

[2] Roberto GIOVANNINI E Davide ORECCHIO Cos'è il multilevel marketing doc. consultato alla pagina web http://www.piramidedoro.it/pagine/mlm.htm il 31.01.2006;

[3] dal sito http://www.amway-it.com/default.asp?lan=it&zone=ourstory&num=13 consultato il 29.01.2006;

[4] per un vasto approfondimento sull’esperienza anche legislativa statunitense si veda GRIMES & REESE P.L.L.C. Legal Principles of Multilevel Marketing dal sito http://www.mlmlaw.com/library/guides/Primer.htm Copyright © 1996 consultato il 26.12.2005;

[5] Cfr. la CIRCOLARE N. 487/D dell’ottobre 2002 emanata dall’ISVAP con oggetto: distribuzione assicurativa tramite reti di produttori operanti con tecniche quali multilevel marketing, network marketing ed affini.

[6] Ordinanza di custodia cautelare e sequestro preventivo emessa dal G.I.P. di Rimini il 07.10.2002 nell’ambito del procedimento n.r.g.n.r. 862/2001.

[7] Nel caso di specie, peraltro, come accennato sono stati ravvisati anche i reati di violenza privata e di associazione a delinquere su cui non pare utile soffermarsi in questa sede.

[8] Il provvedimento con nota di ARMANDO PLAIA è stato pubblicato nella rivista Giustizia civile 2001, vol. 51, fasc. 3, p. 816-818.

[9] Va detto, peraltro, che anche l’attività dell’ ALPHA CLUB è stata fatta oggetto di attenzione del Giudice penale tanto che i vertici della stessa sono stati rinviati a giudizio per truffa (il dibattimento è iniziato nell’aprile del 2005.

[10] Per un esempio, si veda la pagina web: http://www.attivissimo.net/antibufala/mlm/mlm.htm consultata il 24 gennaio 2005.

[11] Art. 6: “Costituisce elemento presuntivo della sussistenza di una operazione o di una struttura di vendita vietate ai sensi dell'articolo 5 la ricorrenza di una delle seguenti circostanze:

a) l'eventuale obbligo del soggetto reclutato di acquistare dall'impresa organizzatrice, ovvero da altro componente la struttura, una rilevante quantità di prodotti senza diritto di restituzione o rifusione del prezzo relativamente ai beni ancora vendibili, in misura non inferiore al 90 per cento del costo originario, nel caso di mancata o parzialmente mancata vendita al pubblico (…).

[12] Aldo NATALIZI, Catene di Sant’Antonio a rischio manette. Stop alla vendita piramidale: ora è reato. in Diritto e Giustizia n. 37 anno 2005 pagg. 106-110, Infogiuridica distr. Giuffrè

[13] Per un precedente giurisprudenziale in tema di differenza tra reati-contratto e reati in contratto si veda Cass. civ. Sez. 1, Sentenza n. 14234 del 25/09/2003.

[14] Ex multis si veda BIANCA M. Diritto civile. Vol 3 Il contratto pp. 425 e ss., ed. Giuffrè, Milano, 1998

[15] La metà del massimo edittale ai sensi dell’art. 162 bis c.p..

[16] Per la (controversa) distinzione tra perfezione e consumazione del reato si veda MANTOVANI Diritto penale parte generale, pagg. 427 e ss. ed. CEDAM, Padova, 1992

[17] Da ciò deriva secondo l’insegnamento tradizionale l’incompatibilità del reato con il tentativo ex art. 56 c.p. .

[18] Come si evince dalla lettura dei nomi dei firmatari dei distinti progetti di legge poi confluiti nella stesura finale.



http://www.altalex.com/index.php?idnot=10347

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