La libertà e la giustizia di Albert Einstein

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00sabato 8 agosto 2009 20:05

 La libertà e la giustizia di Albert Einstein  

 Sono fermamente convinto che tutte le ricchezze del mondo non potrebbero spingere l'umanità più avanti anche se esse si trovassero nelle mani di un uomo totalmente consacrato all'evoluzione del genere umano.

Solo l'esempio di personalità grandi e pure può condurre a nobili pensieri e ad elette azioni.

Il denaro suscita soltanto egoismo e spinge sempre, irresistibilmente, a farne cattivo uso.

Si possono immaginare Mosè, Gesù o Gandhi armati della borsa di Carnegie?

Ben singolare è la situazione di noialtri mortali.
Ognuno di noi è su questa terra per una breve visita; egli non sa il perchè, ma assai spesso crede di averlo capito. Non si riflette profondamente e ci si limita a considerare un aspetto della vita quotidiana; siamo qui per gli altri uomini: anzitutto per coloro dal cui sorriso e dal cui benessere dipende la nostra felicità, ma anche per quella moltitudine di sconosciuti alla cui sorte ci incatena un vincolo di simpatia.

Ecco il mio costante pensiero di ogni giorno: la vita esteriore ed interiore dipende dal lavoro dei contemporanei e da quello dei predecessori; io devo sforzarmi di dar loro, in eguale misura, ciò che ho ritenuto e ciò che ancora ricevo.

Sento il bisogno di condurre una vita semplice e ho spesso la penosa consapevolezza di chiedere all'attività dei miei simili più di quanto non sia necessario.

Mi rendo conto che le differenze di classe sociale non sono giustificate e che, in fin dei conti, trovano il loro fondamento nella violenza; ma credo anche che una vita modesta sia adatta a chiunque, per il corpo e per lo spirito.

Non credo affatto alla libertà dell'uomo nel senso filosofico della parola. Ciascuno agisce non soltanto sotto l'impulso di un imperativo esteriore, ma anche secondo una necessità interiore. L'aforisma di Schopenhauer: «E' certo che un uomo può fare ciò che vuole, ma non può volere che ciò che vuole», mi ha vivamente impressionato fin dalla giovinezza; nel turbine di avvenimenti e di prove imposte dalla durezza della vita, quelle parole sono sempre state per me un conforto e una sorgente inesauribile di tolleranza.

Aver coscienza di ciò contribuisce ad addolcire il senso di responsabilità che facilmente ci mortifica, e ci evita di prendere troppo sul serio noi come gli altri; si è condotti così a una concezione della vita che lascia un posto singolare allo humour.

Da un punto di vista obiettivo, preoccuparsi del senso o del fine della nostra esistenza e di quella delle altre creature mi è sempre parso assolutamente vuoto di significato.

Ciononostante ogni uomo è legato ad alcuni ideali che gli servono di guida nell'azione e nel pensiero.

In questo senso il benessere e la felicità non mi sono mai apparsi come la meta assoluta (questa base della morale la definisco l'ideale dei porci).



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00domenica 9 agosto 2009 13:34

Gli ideali che hanno illuminato la mia strada e mi hanno dato costantemente un coraggio gagliardo sono stati il bene, la bellezza e la verità.
Senza la coscienza di essere in armonia con coloro che condividono le mie convinzioni, senza la affannosa ricerca del giusto, eternamente inafferrabile, del dominio dell'arte e della ricerca scientifica, la vita mi sarebbe parsa assolutamente vuota.

Fin dai miei anni giovanili ho sempre considerato spregevoli le mete volgari alle quali l'umanità indirizza i suoi sforzi: il possesso di beni, il successo apparente e il lusso. In singolare contrasto col mio senso ardente di giustizia e di dovere sociale, non ho mai sentito la necessità di avvicinarmi agli uomini e alla società in generale.

Sono proprio un cavallo che vuol tirare da solo; mai mi sono dato pienamente né allo stato, né alla terra natale, né agli amici e neppure ai congiunti più prossimi; anzi ho sempre avuto di fronte a questi legami la sensazione netta di essere un estraneo e ho sempre sentito il bisogno di solitudine; e questa sensazione non fa che aumentare con gli anni. Sento fortemente, ma senza rimpianto, di toccare il limite dell'intesa e dell'armonia con il prossimo.

Certo, un uomo di questo carattere perde così una parte del suo candore e della sua serenità, ma ci guadagna una larga indipendenza rispetto alle opinioni, abitudini e giudizi dei suoi simili; ne sarà tentato di stabilire il suo equilibrio su basi cosi malferme.
Il mio ideale politico è l'ideale democratico.

Ciascuno deve essere rispettato nella sua personalità e nessuno deve essere idolatrato.

Per me l'elemento prezioso nell'ingranaggio dell'umanità non è lo Stato, ma è l'individuo creatore e sensibile, è insomma la personalità; è questa sola che crea il nobile e il sublime, mentre la massa è solida nel pensiero e limitata nei suoi sentimenti.

Questo argomento mi induce a parlare della peggiore fra le creazioni, quella delle masse armate, del regime militare voglio dire, che odio con tutto il cuore.
Disprezzo profondamente chi è felice di marciare nei ranghi e nelle formazioni al seguito di una musica: costui solo per errore ha ricevuto un cervello; un midollo spinale gli sarebbe più che sufficiente. Bisogna sopprimere questa vergogna della civiltà il più rapidamente possibile. L'eroismo comandato, gli stupidi corpo a corpo, il nefasto spirito nazionalista, come odio tutto questo! E quanto la guerra mi appare ignobile e spregevole! Sarei piuttosto disposto a farmi tagliare a pezzi che partecipare a una azione così miserabile. Eppure, nonostante tutto, io stimo tanto l'umanità da essere persuaso che questo fantasma malefico sarebbe da lungo tempo scomparso se il buonsenso dei popoli non fosse sistematicamente corrotto, per mezzo della scuola e della stampa, dagli speculatori del mondo politico e del mondo degli affari.



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00lunedì 10 agosto 2009 17:39

Qual è il senso della nostra esistenza, qual è il significato dell'esistenza di tutti gli esseri viventi in generale?

Il saper rispondere a una siffatta domanda significa avere sentimenti religiosi. Voi direte: ma ha dunque un senso porre questa domanda. Io vi rispondo: chiunque crede che la sua propria vita e quella dei suoi simili sia priva di significato è non soltanto infelice, ma appena capace di vivere.

La più bella sensazione è il lato misterioso della vita.
E' il sentimento profondo che si trova sempre nella culla dell'arte e della scienza pura. Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per così dire morto; i suoi occhi sono spenti. L'impressione del misterioso, sia pure misto a timore, ha suscitato, tra l'altro, la religione.

Sapere che esiste qualcosa di impenetrabile, conoscere le manifestazioni dell'intelletto più profondo e della bellezza più luminosa, che sono accessibili alla nostra ragione solo nelle forme più primitive, questa conoscenza e questo sentimento, ecco la vera devozione: in questo senso, e soltanto in questo senso, io sono fra gli uomini più profondamente religiosi.

Non posso immaginarmi un Dio che ricompensa e che punisce l'oggetto della sua creazione, un Dio che soprattutto esercita la sua volontà nello stesso modo con cui la esercitiamo su noi stessi.

Non voglio e non possono figurarmi un individuo che sopravviva alla sua morte corporale: quante anime deboli, per paura e per egoismo ridicolo, si nutrono di simili idee.
Mi basta sentire il mistero dell'eternità della vita, avere la coscienza e l'intuizione di ciò che è, lottare attivamente per afferrare una particella, anche piccolissima, dell'intelligenza che si manifesta nella natura.

Difficilmente troverete uno spirito profondo nell'indagine scientifica senza una sua caratteristica religiosità.
Ma questa religiosità si distingue da quella dell'uomo semplice: per quest'ultimo Dio è un essere da cui spera protezione e di cui teme il castigo, un essere col quale corrono, in una certa misura, relazioni personali per quanto rispettose esse siano; e un sentimento elevato della stessa natura dei rapporti fra figlio e padre.
Al contrario, il sapiente è compenetrato dal senso della causalità per tutto ciò che avviene.

Per lui l'avvenire non comporta una minore decisione e un minore impegno del passato; la morale non ha nulla di divino, è una questione puramente umana.

La sua religiosità consiste nell'ammirazione estasiata delle leggi della natura; gli si rivela una mente cosi superiore che tutta l'intelligenza messa dagli uomini nei loro pensieri non è al cospetto di essa che un riflesso assolutamente nullo.

Questo sentimento è il leit-motiv della vita e degli sforzi dello scienziato nella misura in cui può affrancarsi dalla tirannia dei suoi egoistici desideri. Indubbiamente questo sentimento è parente assai prossimo di quello che hanno provato le menti creatrici religiose di tutti i tempi.

Tutto ciò che è fatto e immaginato dagli uomini serve a soddisfare i loro bisogni e a placare i loro dolori.

Bisogna sempre tener presente allo spirito questa verità se si vogliono comprendere i movimenti intellettuali e il loro sviluppo, perché i sentimenti e le aspirazioni sono i motori di ogni sforzo e di ogni creazione umana, per quanto sublime possa apparire questa creazione.



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00martedì 11 agosto 2009 11:20

Quali sono dunque i bisogni e i sentimenti che hanno portato l'uomo all'idea e alla fede, nel significato più esteso di queste parole?

Se riflettiamo su questa domanda vediamo subito che all'origine del pensiero e della vita religiosa si trovano i sentimenti più diversi.

Nell'uomo primitivo è in primo luogo la paura che suscita l'idea religiosa; paura della fame, delle bestie feroci, delle malattie, della morte.

Siccome, in questo stato inferiore, le idee sulle relazioni causali sono di regola assai limitate, lo spirito umano immagina esseri più o meno analoghi a noi dalla cui volontà e dalla cui azione dipendono gli eventi avversi e temibili e crede di poter disporre favorevolmente di questi esseri con azioni e offerte, le quali, secondo la fede tramandata di tempo in tempo, devono placarli e renderli benigni.

E in questo senso io chiamo questa religione la religione del terrore; la quale, se non creata, è stata almeno rafforzata e resa stabile dal formarsi di una casta sacerdotale particolare che si dice intermediaria fra questi esseri temuti e il popolo e fonda su questo privilegio la sua posizione dominante.

Spesso il re o il capo dello stato, che trae la sua autorità da altri fattori, o anche da una classe privilegiata, unisce alla sua sovranità le funzioni sacerdotali per dare maggior fermezza al regime esistente; oppure si determina una comunanza d'interessi fra la casta che detiene il potere politico e la casta sacerdotale.

C'è un'altra origine dell'organizzazione religiosa:
i sentimenti sociali.

Il padre e la madre, capi delle grandi comunità umane, sono mortali e fallibili.

L'aspirazione ardente all'amore, al sostegno, alla guida, genera l'idea divina sociale e morale.

E' il Dio-Provvidenza che protegge, fa agire, ricompensa e punisce. E' quel Dio che, secondo l'orizzonte dell'uomo, ama e incoraggia la vita della tribù, l'umanità e la vita stessa; quel Dio consolatore nelle sciagure e nelle speranze deluse, protettore delle anime dei trapassati.

Tale è l'idea di Dio considerata sotto l'aspetto morale e sociale.

Nelle Sacre Scritture del popolo ebreo si può seguire bene l'evoluzione della religione del terrore in religione morale che poi continua nel Nuovo Testamento.


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00mercoledì 12 agosto 2009 19:54
Le religioni di tutti i popoli civili, e in particolare anche dei popoli orientali, sono essenzialmente religioni morali.

Il passaggio dalla religione-terrore alla religione morale costituisce un progresso importante nella vita dei popoli.

Bisogna guardarsi dal pregiudizio che consiste nel credere che le religioni delle razze primitive sono unicamente religioniterrore e quelle dei popoli civili unicamente religioni morali. Ogni religione è in fondo un miscuglio dell'una e dell'altra, con una percentuale maggiore tuttavia di religione morale nei gradi più elevati della vita sociale.

Tutte queste religioni hanno comunque un punto comune, ed è il carattere antropomorfo dell'idea di Dio: oltre questo livello non si trovano che individualità particolarmente nobili.

Ma in ogni caso vi è ancora un terzo grado della vita religiosa, sebbene assai raro nella sua espressione pura ed è quello della religiosità cosmica.

Essa non può essere pienamente compresa da chi non la sente poiché non vi corrisponde nessuna idea di un Dio antropomorfo.

L'individuo è cosciente della vanità delle aspirazioni e degli obiettivi umani e, per contro, riconosce l'impronta sublime e l'ordine ammirabile che si manifestano tanto nella natura quanto nel mondo del pensiero.

L'esistenza individuale gli dà l'impressione di una prigione e vuol vivere nella piena conoscenza di tutto ciò che è, nella sua unità universale e nel suo senso profondo. Già nei primi gradi dell'evoluzione della religione (per esempio in parecchi salmi di David e in qualche Profeta), si trovano i primi indizi della religione cosmica; ma gli elementi di questa religione sono più forti nel buddismo, come abbiamo imparato in particolare dagli scritti ammirabili di Schopenhauer.

I geni religiosi di tutti i tempi risentono di questa religiosità cosmica che non conosce nè dogmi nè dei concepiti secondo l'immagine dell'uomo.

Non vi è perciò alcuna Chiesa che basi il suo insegnamento fondamentale sulla religione cosmica.

Accade di conseguenza che è precisamente fra gli eretici di tutti i tempi che troviamo uomini penetrati di questa religiosità superiore e che furono considerati dai loro contemporanei più spesso come atei, ma sovente anche come santi.

Sotto questo aspetto uomini come Democrito, Francesco d'Assisi e Spinoza possono stare l'uno vicino all'altro.




Come può la religiosità cosmica comunicarsi da uomo a uomo, se non conduce ad alcuna idea formale di Dio né ad alcuna teoria?


Mi pare che sia precisamente la funzione capitale dell'arte e della scienza di risvegliare e mantenere vivo questo sentimento fra coloro che hanno la facoltà di raccoglierlo.

Giungiamo cosi a una concezione dei rapporti fra scienza e religione assai differente dalla concezione abituale.

Secondo considerazioni storiche, si è propensi a ritenere scienza e religione antagonisti inconciliabili, e questo si comprende facilmente.

L'uomo che crede nelle leggi causali, arbitro di tutti gli avvenimenti, se prende sul serio l'ipotesi della causalità, non può concepire l'idea di un Essere che interviene nelle vicende umane, e perciò la religione-terrore, come la religione sociale o morale, non ha presso di lui alcun credito; un Dio che ricompensa e che punisce è per lui inconcepibile perché l'uomo agisce secondo leggi esteriori ineluttabili e per conseguenza non potrebbe essere responsabile verso Dio, allo stesso modo che un oggetto inanimato non è responsabile dei suoi movimenti.

A torto si è rimproverato alla scienza di insidiare la morale.

La condotta etica dell'uomo deve basarsi effettivamente sulla compassione, l'educazione e i legami sociali, senza ricorrere ad alcun principio religioso.

Gli uomini sarebbero da compiangere se dovessero essere frenati dal timore di un castigo o dalla speranza di una ricompensa dopo la morte.

 

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