LETTERA DI UN FIGLIO A TUTTI I GENITORI DEL MONDO

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00venerdì 7 agosto 2009 00:59


LETTERA Dl UN FIGLIO A TUTTI

I GENITORI DEL MONDO


Non datemi tutto quello che vi chiedo.
A volte chiedo solo per riscontrare quanto posso prendere.


Non sgridatemi; vi rispetto meno quando lo fate, e insegnate a gridare anche a me. Non vorrei imparare a farlo.


Mantenete le promesse, belle o brutte.
Se promettete un premio, datemelo e comportatevi così anche con le punizioni.

Non mi paragonate a nessuno, specialmente a mio fratello o a mia sorella;
se mi fate apparire migliore di altri, sarò io a soffrire.


Non cambiate parere così spesso su ciò che devo fare; decidetevi a mantenere la vostra decisione.


Permettetemi di crescere, fidandovi delle mie capacità. Se voi fate tutto al mio posto, io non potrò imparare mai.


Non dite bugie in mia presenza, e non mi piace nemmeno che voi mi chiediate di dirle al vostro posto, neanche per darvi una mano. Questo mi fa sentire male e perdere la fiducia in tutto ciò che dite.


Quando sbaglio ammettetelo. Questo aumenterà la mia stima per voi, mi insegnerete così ad ammettere i miei sbagli. Trattatemi con la stessa affabilità e spontaneità che avete verso i vostri amici; essere parenti non vuol dire non poter essere amici.


Non mi chiedete di fare una cosa che invece voi non fate, anche se non lo dite; non farò mai ciò che voi dite ma non fate.


Quando voglio condividere una mia preoccupazione con voi, non ditemi:
"Non abbiamo tempo per stupidaggini", oppure: "Non ha importanza, sono cose da ragazzi".

Cercate di capirmi e di aiutarmi. Vogliatemi bene e ditemelo.
A me piace sentirmelo dire, anche se voi credete che non sia necessario dirmelo.


Abbracciatemi, ho bisogno di sentire la vostra amicizia, la vostra compagnia, in ogni momento.

@nounou@
00venerdì 7 agosto 2009 12:42

Quando voglio condividere una mia preoccupazione con voi, non ditemi:
"Non abbiamo tempo per stupidaggini", oppure: "Non ha importanza, sono cose da ragazzi".



questa affermazione è la più insensibile che si possa immaginare, per loro non esistono “cose da ragazzi”
MARINICA
00venerdì 7 agosto 2009 18:39
Raffaele:

Vogliatemi bene e ditemelo.
A me piace sentirmelo dire, anche se voi credete che non sia necessario dirmelo.



E' importante dire a chi si ama:ti voglio bene!
Le parole d'amore per i figli e per chi amiamo,
son petali di rose che accarezzano il cuore!

[SM=g1876810] [SM=g1656377]
®@ffstef@n
00venerdì 7 agosto 2009 18:39

Una riflessione sulla conflittualità tra genitori e figli adolescenti: l’opportunità di sottolineare le differenze nella mediazione


di Fernando Espinos



I.- Il rapporto conflittuale tra genitori e figli adolescenti.


Oggigiorno, i nostri giovani amano il lusso, hanno un pessimo atteggiamento e
disprezzano l’autorità: dimostrano poco rispetto per i loro superiori e

preferiscono la conversazione insulsa all’impegno.
I ragazzi sono ormai i
despoti e non i servi della casa; non si alzano più quando qualcuno entra; non rispettano i genitori, conversano tra di loro quando sono in compagnia di adulti, divorano il cibo e tirannizzano i propri insegnanti”.


Queste affermazioni, che potrebbero appartenere quasi tutte all’attualità,
risalgono a Socrate e al IV secolo avanti Cristo. L’incomprensione tra figli adolescenti e genitori non è quindi una novità odierna.


I conflitti intergenerazionali sono intrinseci al processo di crescita e di
apprendimento che l’adolescente deve per forza affrontare.
Non esiste crescita,
né adolescenza, senza conflitti generazionali.


Questi conflitti possono venir risolti in seno alla famiglia in modo positivo se
affrontati mediante il dialogo, come, del resto, avviene in molte famiglie.
Questo
tipo di conflitto, tuttavia, presenta una componente d’incomprensione che lo complica e costringe spesso a un approccio diverso da quello con cui si

affrontano altri tipi di conflitto.


L’adolescenza è un periodo della vita che comporta nel giovane cambiamenti a
livello fisico, crescita, forza, sessualità, dei quali egli stesso è il primo a

sorprendersi. Tali cambiamenti, al pari di quelli psicologici, relazionali e sociali, comportano per l’adolescente l’inizio di un percorso che egli non è in grado di controllare e che i genitori non comprendono.


Condivido l’idea esposta da Ripol-Millet in “
Famiglie, lavoro sociale e
mediazione”, per cui “l’adolescente ha bisogno di crearsi un’identità propria perché attraversa una tappa in cui è difficile scoprire la propria peculiarità o collocarsi socialmente in modo significativo, soprattutto perché non gli viene

associata alcuna funzione sociale rilevante”.


Dall’adolescente in sé ci si aspetta solo che “smetta di esserlo quanto prima” e
provochi meno conflitt P possibili.


Socialmente l’adolescenza viene vissuta come se si trattasse di una malattia
inevitabile da cui bisogna guarire.


Con l’adolescenza compaiono in seno alle famiglie nuove problematiche
sconosciute fino ad allora.

L’adolescente desidera iniziare un percorso non
“tutelato” verso il mondo che lo circonda: inizia a pensare da solo ed a liberarsi dall’influenza dei genitori (pur subendo in cambio l’enorme influenza delle nuove forze che compaiono nella sua vita, leader, idoli, il gruppo o la banda di
coetanei).

>>>>>>> continua

®@ffstef@n
00venerdì 7 agosto 2009 18:59

Comincia a vedere nuove possibilità in ambiti molto diversi a cui vuole partecipare.


Tutto ciò porta l’adolescente a conoscere gente nuova (gruppi di giovani che, come lui o lei, stanno cercando nuovi orizzonti prima sconosciuti), a scoprire la sessualità e la sua pratica, ad entrare in contatto con le droghe, a tornare a casa all’alba, ad adottare un nuovo modo di vestire, di parlare e comunicare.


Come spiega Eduardo José Cárdenas, il giovane entra a far parte della
categoria "adolescente", che descriveremo più avanti.


Queste manifestazioni di solito si scontrano frontalmente con i desideri dei genitori riguardo la vita dei propri figli, che cominciano a sfuggire al loro controllo e quindi alla sicurezza che vorrebbero garantirgli.


I genitori soffrono per quelle che considerano compagnie pericolose; per i rischi di contrarre malattie sessuali o per un’attività sessuale contraria ai loro principi, o anche per il timore di una gravidanza non voluta.


Temono per l’integrità fisica dei loro figli e non capiscono le ragioni del loro abbigliamento, del nuovo lessico e dell’atteggiamento distante e criptico.


Purtroppo queste paure e queste differenze di approccio non vengono affrontate in modo aperto e orizzontale nelle famiglie.

I genitori si limitano a proibire e ad esigere che i figli smettano di comportarsi in quel modo o, addirittura, dopo i primi "insuccessi", non osano chiedere o parlare con i loro figli delle loro preoccupazioni riguardo la vita che questi ultimi conducono.


Alcuni genitori rinunciano al proprio ruolo di educatori e tendono a scaricare le responsabilità sulla scuola.


Da parte loro gli adolescenti non danno spiegazioni, si isolano quando sono in casa e cercano di condividere meno tempo possibile con i genitori.


Non gli permettono di interessarsi alla loro vita: rifiutano la loro autorità e, più in
generale, ogni autorità.


I genitori si esasperano per l’atteggiamento dei giovani: la loro strafottenza, la distanza, la passività in casa e l’iperattività fuori casa.


Tutta questa situazione provoca sfiducia nei genitori, che sfocia in un’incomprensione quotidiana che può portare alla rottura del rapporto, in quanto né gli uni né gli altri si sforzano per capirsi
mutuamente.


Qualsiasi sforzo, infatti, sembra loro destinato al fallimento, poiché credono che
troppe cose li separino.


In realtà è vero: molte cose li separano.


>>>>>>> continua

MARINICA
00sabato 8 agosto 2009 13:21
Il "mestiere" dei genitori è una responsabilità enorme per chiunque.
Spesso, i giudici più severi sono i figli, perchè, con il tempo si accorgono sulla loro pelle se il nostro supporto è stato prezioso e utile o è stato una condanna per la loro esistenza.
Non è facile stabilire esattamente come stanno le cose.
Il fallimento di un figlio può essere il risultato di una pessima educazione o di un cattivo esempio dei genitori, come può essere una scusa per giustificare le proprie scelte negative.
Riporto una lettera che può essere significativa in un senso o nell'altro.
Ma vorrei sottolineare che mantenendo sempre una buona comunicazione con i figli, probabilmente, una lettera come questa non sarebbe stata scritta all'età di 29 anni.

Marinica




Lettera ai miei genitori

Ciao mamma, ciao papà,
è la prima lettera che vi scrivo in quasi 29 anni, ma credo sia arrivato per me il momento di farvi sapere quello che provo, perché non ho più spazio per tenermi tutto dentro. In tanti anni ho sempre detto a me stesso di non voler sapere cosa sia successo tra di voi, ed a oggi lo cosa effettivamente non mi cambierebbe la vita, ma posso comunque dirvi ciò che la vostra scelta mi ha dato, e ciò che più di tutto mi ha tolto. Sono cresciuto con la necessità di arrangiarmi, di non chiedere nulla, di anestetizzare ciò che provavo, continuamente assoggettato alle vostre scelte fatte per il mio bene. Per necessità di arrangiarmi non mi riferisco al discorso economico; capisco che soprattutto per te papà erano tempi duri e bisognava accontentarsi, ma faccio riferimento al discorso affettivo. Mi sono dovuto accontentare delle domeniche con te mamma, per capire che volevi stare con me. Mi sono dovuto accontentare di imparare a legare una vela papà, per sentirti vicino e complice. Avevo bisogno di molto di più. Mi avete lasciato libero di condurre la mia vita; facendo e disfacendo, chiedendomi solo il minimo; che nello specifico erano gli studi e di no fare cazzate eclatanti. E così ho fatto; senza sforzarmi mai più di tanto. Ho imparato a lodarmi delle piccole conquiste che facevo, perché non c'era nessuno che mi dicesse bravo. Questa cosa però non rimane sempre simpatica; la gente crede che io sia supponente e pieno di me, ma è soltanto un modo per dimostrarmi di essere capace di riuscire. Questa caratteristica mi ha tolto molta umiltà; cosa che io apprezzo negli altri e che vorrei per me. Ho cercato nelle innumerevoli storie che ho avuto una parte della mamma che purtroppo non sei stata. Ho cercato di riempire i vuoti papà suonando e facendomi apprezzare da gente più adulta, in modo da poter colmare quel vuoto di stima che sentivo. Mi siete mancati e mi è mancato il vostro amore. Mi è mancato il sentirmi protetto e guidato, ed il sapervi vicino. Capisco adesso che non è stato semplice per entrambi; vivo giorni di confusione e di solitudine ed immagino cosa voglia dire sentirsi distrutti. Ringrazio il Signore per avermi fatto incontrare persone come Adriano, che molto intelligentemente mi hanno aiutato, e molto più di quanto immagina. Ringrazio il Signore per Stefano e Lorenzo, perché con loro ho sperimentato una fraternità che con Manuela e Claudia non sono riuscito ad avere; era una cosa che mi mancava e che ho sempre desiderato. Vi scrivo oggi queste righe, perché ho capito che, se un domani vorrò essere padre, devo recuperare il bambino che c'è in me; devo ritrovare la pace degli affetti; devo capire e gestire il senso di vuoto che la mancanza di una carezza mi dà ancora oggi. Devo sistemare i tasselli della mia vita per poter amare liberamente, non più vincolato da paure lontane. Non voglio ferirvi ne farvi male, ma avevo il bisogno di aprirmi e di farvi capire che, il fatto che non abbiate lottato concretamente per vostro figlio, mi ha davvero fatto male e cambiato la vita. Mi auguro che già da domani mattina possa cominciare a sentirmi un uomo nuovo; perché ora che ho tolto questo peso, la cosa che rimane non è il rancore, ne l'indifferenza; bensì il fatto che a mio modo, e di sicuro sbagliato, vi amo come genitori. Spero che da domani, qualora abbiate voglia di dirmi o dimostrarmi qualcosa, lo facciate concretamente, senza paura né difficoltà; perché vostro figlio ci tiene a voi!
Vi amo con tutto il cuore.

www.pensieriparole.it/racconti/biografia/racconto-61131




®@ffstef@n
00sabato 8 agosto 2009 17:11

2.- Le cause della conflittualità.

 

Come afferma Eduardo José Cárdenas nel suo testo
“I conflitti tra gli adolescenti e i genitori.
Pensare per non uccidere”, la società contemporanea “ha reso l’adolescenza una vera e propria categoria sociale con consumi specifici.


Ciò comporta la creazione e diffusione di nuovi codici, simboli, fedi e parole che forniscono agli adolescenti una identità nuova, che consiste, semplicemente, nell’appartenere alla categoria adolescente”.

 

Per gli adolescenti divenire adulti ha smesso di essere un’aspirazione.


Si sentono a proprio agio nel gruppo adolescente e si comportano come suoi membri
I figli, che adoravano i genitori, cambiano la propria percezione in modo radicale.

Baldiz e Rosales, nel saggio “Parlando con adolescenti”, affermano che in un dato momento agli occhi dei figli adolescenti i genitori smettono di essere magnifici, intelligenti e forti per diventare invece un problema.

Non sono più un punto di riferimento per i loro figli.
I nuovi modelli sono, in genere, un compagno (leader) o un personaggio famoso (idolo).

 

Per gli adolescenti è molto difficile capire il mondo dei loro genitori, il mondo degli adulti, che è completamente estraneo.

Disprezzano il loro modo di vivere e pensare e le loro ansie di sicurezza.


Gli adolescenti vogliono, e hanno bisogno, di credere in qualcosa, e quello che i genitori e la società offrono loro non lo considerano soddisfacente.

 

Vedono nei loro genitori il segno di determinate sconfitte: spesso il disamore coniugale o il divorzio, le continue incoerenze tra parole a azioni, il pragmatismo, sono aspetti che si rifiutano di accettare.

 

Ritengono che i genitori siano privi, o abbiano perso, i principi che credono fondamentali.

 

I giovani scoprono e interpretano in modo radicale il significato delle parole giustizia, solidarietà e soprattutto libertà e ritengono che gli adulti abbiano rinunciato alle prime due e neghino loro l’ultima.

 

Avendo smesso di ammirare i loro genitori, questi ultimi non sono più un modello valido e non desiderano assomigliare a loro.

La ribellione contro i loro divieti e le loro esigenze sembra più che naturale.

Si sentono incompresi e dalla parte della ragione.


La loro verità è l’unica verità.

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®@ffstef@n
00domenica 9 agosto 2009 14:04

Gli adolescenti hanno, quindi, valori diversi ed una diversa visione della vita, che stanno scoprendo "a gomitate".


Sanno di aver bisogno dei loro genitori e tuttavia non vogliono che questi
s’immischino nelle loro faccende, proprio quando i genitori vorrebbero

parteciparvi e orientarli lungo la difficile strada che stanno percorrendo.

I giovani rifiutano sempre questo aiuto (benché sappiano di poter contare sempre sui genitori in caso di
nesessità). Hanno bisogno di essere sé stessi e

di seguire la propria strada in modo totalmente indipendente.


E i genitori?

Quando sorgono i conflitti, i genitori si trovano, in genere, in un
momento delicato della propria vita.
I loro figli stanno entrando nell’età giovanile

che loro hanno appena abbandonato.

Come sottolineano Baldiz e Rosales, "sono in pieno lutto": non solo per la gioventù perduta, ma anche per gli ideali mancati.


E a questi lutti bisogna aggiungerne un terzo dovuto all’impressione di aver
perso il rapporto padre-figlio, divenuto ai loro occhi qualcosa di molto diverso ed

estremamente frustrante.


Eppure, molti genitori pensano che i figli adolescenti abbiano tutto: la loro
protezione, la gioventù, poche responsabilità..., e sembra loro naturale esigere

almeno che si comportino secondo regole che considerano minime.

 


Si tratta di regole dettate loro dalla cultura adulta, molto diversa da quella degli
adolescenti, che difficilmente saranno capite e accettate da questi ultimi in assenza di un dialogo che permetta di ascoltarsi vicendevolmente con un atteggiamento positivo.

Vedono il rapporto dal punto di vista della cultura
adulta. Vogliono che i figli si adattino alle regole sociali degli adulti, che abbiano successo nella vita, che non diventino casi marginali. Vogliono, in una parola, la massima sicurezza possibile per i loro figli.


Cárdenas, il cui studio è servito d’ispirazione per questo intervento, sostiene
(op. cit.), semplificando, che "esistono tra gli umani due gruppi distinti per la loro diversa funzione, i "riproduttori-accuditori" e gli "esploratori".


La missione dei primi consiste nel prendersi cura del presente e del futuro della
specie senza correre rischi.
Gli esploratori invece si lanciano con audacia e
incoscienza in mondi nuovi, prima occulti o proibiti.


L’idea dei genitori è che il figlio divenga un buon riproduttore-accuditore e che
altri, invece, si occupino dei compiti "esplorativi".

Evidentemente, però, i figli adolescenti pensano il contrario. Rifiutano le regole sociali degli adulti e cercano la novità, il rischio, vivono un momento di scoperte, non di adattamento.


Disprezzano la sicurezza che tanto preoccupa i loro genitori.


I conflitti tra genitori e adolescenti non stanno solo aumentando di numero ma
anche d’intensità.


In Catalogna, ad esempio, crescono ogni anno le denunce per aggressioni dei
figli adolescenti nei confronti dei genitori; soprattutto le madri, vittime di quasi il 90% delle aggressioni. È interessante notare che questo comportamento è comune tanto in famiglie a rischio dal punto di vista socio-economico quanto in nuclei familiari apparentemente normali.


I conflitti tendono purtroppo ad aumentare e gli adolescenti tra i 14 e i 18 anni

giungono a maltrattare persino nonni e fratelli.

>>>>>>> continua

®@ffstef@n
00lunedì 10 agosto 2009 17:07

3.- La mediazione come metodo adeguato a gestire questi conflitti.L’importanza di mettere in evidenza le differenze.


Riteniamo che la mediazione sia un metodo adeguato per trattare la conflittualità tra adolescenti e genitori.


Spesso, in mediazione si trattano conflitti tra figli e genitori adulti le cui cause remote risiedono in comportamenti, atteggiamenti, problemi di comunicazione, ecc., non risolti durante l’adolescenza.


Diversamente dai casi di crisi di coppia,nella mediazione dei conflitti tra genitori e adolescenti, non si tratta di arrivare ad accordi soddisfacenti che agevolino la separazione fisica: piuttosto, si tratta di raggiungere accordi che permettano di migliorare o, addirittura, di riiniziare la convivenza.


Il figlio adolescente dovrà, nella gran parte dei casi, continuare ad abitare con i genitori e, viste le attuali condizioni sociali ed economiche, vi resterà sempre più a lungo.


Si possono presentare casi in cui l’adolescente convive con entrambi i genitori, con uno solo o con uno di essi ed il/la nuovo/a compagno/a di quest’ultimo dopo la separazione o il divorzio.


Quali sono, quindi, le parti che devono partecipare alla mediazione?


Alcuni autori ritengono che debbano partecipare sempre il padre e la madre (anche se non convivono più con il figlio) in applicazione del concetto di coparternità.  Non siamo d’accordo.


Evidentemente dipenderà dal caso specifico trattato, ma in certi casi la presenza di genitori, che non convivono più con l’adolescente, può provocare risultati controproducenti, dato che può aumentare ancor più le distanze, i pregiudizi, i disaccordi e le colpe.


Deve partecipare alla mediazione un padre divorziato che vede il figlio ogni quindici giorni e che non ha alcun rapporto con la madre?


Non è più opportuno che sia la madre convivente, sola o accompagnata dal nuovo compagno, a partecipare alla mediazione?

 

 

A ) Perché mettere in evidenza le differenze.


La mediazione può far capire a genitori e figli adolescenti che le differenze esistenti tra loro non sono affatto un’eccezione, ma problemi molto comuni, legati a situazioni esistenziali diverse.


Riteniamo che in alcune mediazioni questo sia essenziale.


E’ opportuno che le parti riescano ad interiorizzare ed analizzare le ragioni alla base delle proprie convinzioni, dei propri valori, della cultura, delle abitudini, delle personali idee sulla vita, sul futuro, sul rischio e sulla sicurezza.


Se la mediazione riesce in tutto questo allora risulterà chiaro che le differenze tra persone in fasi esistenziali così diverse sono logiche.


La consapevolezza e l’accettazione di questo dato differenziale porterà senz’altro ad ammorbidire le proprie posizioni e a capire che l’altro, genitore o adolescente, ha dei motivi per pensare e vivere in modo diverso e altrettanto legittimo.


A tale scopo è indispensabile che smettano di vedere e vivere come un problema patologico, o quanto meno anormale, la situazione di conflitto in cui sono immersi, in modo da aprire la strada del dialogo.


>>>>>>> continua

®@ffstef@n
00martedì 11 agosto 2009 11:02

B ) Quando è meglio farlo.


In quale momento della mediazione le parti saranno pronte ad affrontare ed elaborare quanto le separa ed ostacola o che, comunque, impedisce la comunicazione?


Il mediatore, che avrà studiato a fondo come compensare il probabile squilibrio tra le parti (a volte a favore dei genitori, altre dei figli), dovrà essere molto attento nella scelta del momento opportuno per mettere in evidenza le differenze.


Dovrà prima riuscire a creare un clima di rispetto tra genitore e figlio, poi,(circostanza questa per noi molto importante) capire se i genitori siano o meno pronti ad affrontare le differenze e, infine, costruire lo scenario adatto a produrre un effetto positivo.


Potrà, infatti, segnalare esplicitamente le differenze solo dopo essersi assicurato la fiducia dei genitori.


Il mediatore dovrà lavorare a fondo per non dare ai genitori l’impressione di star prendendo le parti dell’adolescente e di non essere imparziale.
Dovrà inoltre valutare se sono in grado di capire che il fatto che l’adolescente ne risulti rafforzato sarà un bene per tutti. Perché, evidentemente, saranno i genitori a subire di più la nuova situazione creatasi, dato che sono loro a cercare di imporre il più possibile (con le migliori
intenzioni) la "cultura adulta", che ritengono frutto della ragione, della verita e
dell’esperienza, al figlio adolescente.


Il mediatore sa che il figlio adolescente invece si sentirà rafforzato dalla manifestazione delle differenze, di cui va orgoglioso. Tuttavia, riteniamo che non sia giusto pensare che la manifestazione delle differenze indebolisca l’autorità dei genitori.

Quando questo tipo di conflitti arrivano in mediazione, i genitori o hanno già perso la loro autorità sui figli o, se la conservano, è grazie all’imposizione di determinate norme tramite l’uso della forza e non del dialogo (della cui assenza non sono necessariamente i colpevoli), cosa che non fa che nutrire il conflitto causando disamore, frustrazione e magari cronicizzazione dei malintesi.

>>>>>>> continua

®@ffstef@n
00mercoledì 12 agosto 2009 19:41
C ) Come conviene farlo. 


1.
- Come preparare le parti.

 

Il mediatore dovrà man mano “aprire delle porte” ai genitori durante la mediazione, per aiutarli sulla strada della comprensione e dell’accettazione delle differenze, cosa per loro molto faticosa, sicuramente più che per i figli.

 
Il mediatore deve investire tutto il tempo necessario nella fase pedagogica, vale  a dire preparare il terreno tramite domande che conducano i genitori e l’adolescente verso la riflessione sui propri valori e sulle
differenze.

2. - Come presentare le differenze.

 

Quando il mediatore riterrà che la mediazione “è matura” e le parti pronte adaffrontare le differenze:

Condurrà le parti a riconoscere le cose che le uniscono, tanto nel presente,
quanto nel passato.

Ricordare momenti importanti vissuti insieme, sia fatti allegri sia difficoltà affrontate insieme, favorirà il processo.

Enfatizzerà la reciproca consapevolezza dello sforzo realizzato dalle parti durante la mediazione e l’interesse che entrambe mostrano nel continuare con

la mediazione nonostante le difficoltà.
Questo incrementerà l’empatia tra
genitori e adolescente.

Proporrà domande “aperte” sulla loro cultura, sul loro modo di vedere la vita, in modo da allargare la visione delle cose all’intera società e non restringerla al

conflitto privato.

Aiuterà le parti a riflettere sui vari fattori sociali che influiscono sul loro modo di
veder la vita ed i rapporti genitori-figli.


A questo punto potrà indagare su quanto le parti siano consapevoli del fatto di
vivere un conflitto che non ha nulla di insolito, dato che appartiene a una
conflittualità generale e che, senza sminuire la
componente personale,
entrambe sono in parte condizionate da diverse circostanze sociali.


Rivolgerà quindi domande tese a svelare la visione che le parti hanno dei motivi
che spingono l’altra parte a comportarsi in un determinato modo.


Le informazioni ottenute lo aiuteranno a segnalare, con la dovuta delicatezza,
esplicitamente a genitori e adolescenti le loro diverse visioni e culture che hanno ostacolato o impedito il rapporto.


Il mediatore favorirà la consapevolezza reciproca delle ragioni delle posizioni
che hanno causato il conflitto.


Una volta comprese le differenze di fondo delle diverse visioni del mondo e
della vita, genitori ed il figlio adolescente saranno disposti ad accettarle ed il

mediatore li inviterà ad osservare il conflitto da questo “nuovo” punto di vista ed a dialogare positivamente sugli interessi di tutti.

 
3) Come sfruttare la nuova visione del conflitto. 


A partire dall’accettazione delle differenze il mediatore:
Dovrà, tramite domande e riflessioni adeguate, rafforzare la figura dei genitori nei confronti dell’adolescente, sottolineando il loro sforzo, le difficoltà che devono superare per andargli incontro, il loro amore, il loro desiderio di felicità per il figlio, ecc.


Parallelamente, dovrà favorire nel figlio l’interiorizzazione di una nuova
sensibilità nei confronti della figura e dei comportamenti dei genitori, che adesso è in grado di capire e, persino, di
apprezzare, che lo manifesti o meno.


La mediazione potrà allora avanzare grazie ad accordi minimi su argomenti specifici per i quali il mediatore dovrà chiedere la collaborazione di entrambe le parti, ma soprattutto dell’adolescente.

Accordi su fattori che hanno causato
continue discussioni o disaccordi: l’ordine, l’ora di rientro, la collaborazione in casa, la partecipazione ad eventi familiari, il rispetto di determinate regole di
convivenza... ecc.

I genitori s’impegneranno in generale a rispettare la libertà del figlio.


Questi accordi, con l’aiuto del mediatore, costruiranno, man mano, un nuovo rapporto basato sul dialogo,la fiducia ed il rispetto, che permetterà alla mediazione di ottenere i risultati desiderati.

*********


>>>>>>> continua

®@ffstef@n
00giovedì 13 agosto 2009 12:58

Vorremmo presentare il caso di una madiazione tra una madre di 42 anni,separata, e sua figlia di 16, nella quale è stata decisiva la tecnica dell’evidenziare le differenze.


La madre era divorziata da tre anni e il rapporto con l’ex-marito era pessimo.

Madre e figlia vivevano da sole e la loro convivenza era un vero inferno. Da due anni si rivolgevano la parola solo per litigare: da quando la figlia aveva iniziato a frequentare un gruppo di giovani, aveva smesso di andare a lezione regolarmente e tornava tardi la sera.
La figlia stava abbandonando il gruppo.

La madre soffriva e voleva controllare la figlia; quest’ultima non lo permetteva.

Durante la prima seduta di mediazione la madre disse di non poterne più, di voler vedere la figlia fuori casa non appena avesse compiuto 18 anni, di non sopportarla più.
Durante la seduta la figlia affermò di “voler vivere nuove esperienze”, che sua madre non la capiva e che si vergognava a camminare per la strada con lei.


Cercavano di non essere mai presenti in casa entrambe, cosa che si rinfacciavano reciprocamente.


La madre accusava la figlia di non aiutarla, per niente, nei lavori domestici e soprattutto di mentirle.

La rimproverava per la vita disordinata che conduceva,
inadatta alla sua età, e per l’uso di droghe.


La figlia non sembrava molto interessata a confutare quest’ultima accusa e, da parte sua, rinfacciava alla madre di non rispettare la sua intimità (entrava nella
stanza e frugava tra le cose della minore in cerca di prove e le aveva addirittura sequestrato lettere, che accennavano alle droghe e al sesso, senza più
restituirgliele).


Inoltre, un anno prima, la madre aveva ingannato la figlia riuscendo a portarla con sé d’estate a casa della sua famiglia, a 400 chilometri di distanza dal domicilio abituale.


La vacanza, che in teoria doveva durare tre o quattro giorni,si era, infatti, protratta per un mese.


La figlia affermava che non glielo avrebbe mai perdonato e che era la madre a mentire e ad ingannarla.


Durante il soggiorno a casa della famiglia, la madre costrinse la figlia ad accettare determinati accordi: se avesse frequentato più assiduamente la scuola, ottenuto voti migliori, se si fosse comportata meglio a casa, avrebbe ottenuto più ...libertà.


I patti,come prevedibile,non avevano funzionato e la sfiducia reciproca era aumentata.


Ci trovavamo di fronte a una situazione in cui la madre soffriva perché voleva proteggere la figlia dai pericoli della vita che conduceva e si scontrava con un rifiuto completo e, persino con il disprezzo della figlia, che non riusciva a capire l’atteggiamento della madre e si sentiva continuamente attaccata.


La mediazione avanzava con molte difficoltà.
Di seduta in seduta, siamo riusciti a ridurre l’aggressività delle discussioni, a ottenere qualche accordo di minima: la figlia avrebbe aiutato in alcuni lavori domestici, abbassato il volume della radio,
e la madre si sarebbe impegnata a non spiare la figlia.


La convivenza migliorava, ma solo in parte e su basi poco solide.


Le incompresioni di fondo restavano e continuavano ad accusarsi di mentire.


Tuttavia, però, desideravano continuare con la
mediazione.


Le sedute erano per loro un rifugio dove potevano trovare il meglio di sé e dell’altro.

Ad un certo punto, ci sembravano quasi esaurite le risorse per portare avanti la mediazione e ricostruire il rapporto ed abbiamo deciso di mettere in evidenza
alcune differenze:
-abbiamo chiesto loro un’opinione sulle differenze di visione del mondo e della vita tra adulti e adolescenti, se credevano di essere un caso isolato o eccezionale.


Abbiamo lavorato per sottolineare le cose che le univano, il reciproco affetto e riconoscere mutuamente lo sforzo, per quanto poco efficace, che entrambe stavano facendo.


Sono state analizzate nella mediazione le ragioni del comportamento della madre ed è stata riconosciuta la componente affettiva nei confronti della ragazza.


Sonia, ad un certo punto, ha iniziato ad aprirsi e ad ammettere che determinati comportamenti della madre potevano essere visti da questo punto di vista e non solo vissuti come un’ingiustificabile ansia di controllo (come era successo fino ad allora).

Ha riconosciuto di essersi comportata male con la madre e che era comprensibile che quest’ultima non si fidasse di lei.


La madre, da parte sua, cominciava a capire che il desiderio di “vivere nuove esperienze” espresso durante la prima seduta non era un argomento raro, ma anzi molto comune tra gli adolescenti, e che il modo migliore per proteggere ed influenzare la figlia era cercare di comprenderla ed avvicinarsi a lei, invece di criticarla, dubitare di lei, litigare come aveva fatto fino ad allora.


La riflessione è stata estremamente utile e, grazie ad essa, la mediazione si è sbloccata iniziando un percorso di maggior fiducia e comprensione reciproca che ha permesso loro di convivere nel rispetto reciproco.

*******************

>>>>>>> continua

®@ffstef@n
00venerdì 14 agosto 2009 10:57
Per concludere, vorrei ricordare due pensieri, uno di Ripol-Millt e l’altro di Cárdenas, che mi sembrano emblematici riguardo i rapporti tra genitori e figli
adolescenti: Ripol-Millet dice:

“La partecipazione, la collaborazione nei lavori e nelle responsabilità domestiche deve parallelamente comportare, affinché sia efficace, la condivisione del potere. Condividere il potere significa che nessuno
può imporre un unico modo di pensare o di agire, né avere l’ultima parola, ma bisogna appoggiare le inziative di tutti, rispettare i ritmi personali, adeguare i desideri. Significa considerare la vita in comune, anche con i figli, come un’avventura davvero condivisa. Significa assegnare sfere di competenza
esclusiva ai figli sulle quali essi esercitano un potere assoluto”.

Cárdenas, invece, afferma: ”I genitori non sanno dove va l’adolescente: in realtà neanche lui lo sa bene.
Però essi sanno che andrà dove vuole e non contro di
loro bensì con il loro aiuto. E l’adolescente sà che i genitori non possono condividere i suoi ideali, i suoi desideri, né tanto meno le sue esperienze, ma che non sono suoi avversari e che l’aiuteranno per quanto possibile perché gli vogliono bene.

Questo percorso, fondato sul non farsi del male ed aiutarsi reciprocamente, può essere la base di un accordo. Accordo flessibile che ha come scopo ultimo l’emancipazione dell’adolescente”. Sò che si tratta di un argomento delicato che permette molti punti di vista.
Spero che queste riflessioni e l’esperienza raccontata servano proprio a questo, al dibattito.
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