Il velo non è un diritto ma un’imposizione

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@nounou@
00mercoledì 3 ottobre 2007 13:38
di MAGDI ALLAM
Amato ha ragione, ma solo a metà, nel fare un collegamento tra il velo islamico e «un' ideologia imperialista».
Perché mentre è del tutto opinabile sostenere che «vietare il velo vuol dire imporre un'ideologia imperialista occidentale », è invece assolutamente vero che l'imposizione del velo è lo strumento principale di un'ideologia imperialista islamica, nella certezza che sottomettendo la donna si avrà mano libera nella conquista del potere religioso, culturale, sociale e politico.

Questa è la realtà storica da quando negli anni Settanta il vuoto identitario in Medio Oriente, provocato dal fallimento dell'utopia laico-nazionalista del panarabismo, fu gradualmente colmato dalla reislamizzazione ad opera dei Fratelli Musulmani in Egitto, Siria, Sudan e Yemen, dei wahhabiti sauditi che diffusero un'interpretazione radicale dell' islam disseminando moschee in Asia, Africa e anche in Europa, mentre Khomeini in Iran esportava la sua rivoluzione islamica tra gli sciiti in Iraq e Libano.

Ebbene il tratto comune della reislamizzazione è l'imposizione del velo alle donne, sostenendo la tesi arbitraria dell'obbligo coranico. Laddove per le strade della mia Cairo, nel ventennio in cui ci sono nato e cresciuto tra gli anni Cinquanta e Sessanta, non si vedevano donne velate in giro, a partire dagli anni Settanta cominciarono a rendersi visibili fino a trasformarsi in maggioranza.

Lo stesso fenomeno involutivo contagiò gradualmente gli altri Paesi musulmani che si caratterizzavano per una sostanziale laicità delle istituzioni e liberalità dei costumi, Marocco, Algeria, Tunisia, Indonesia, Malesia e, più recentemente, la Turchia.

Ed è significativo che più si è consolidato il potere degli estremisti islamici, più sono aumentate le donne velate.

Il velo è il termometro inconfutabile per registrare il livello di crescita del radicalismo islamico.
Sono i fatti ad attestare che il velo è tutt'altro che un simbolo religioso. È piuttosto il simbolo ideologico per antonomasia dell'integralismo e dell'estremismo islamico.

Se potessero ascoltare le parole di Amato, si rivolterebbero nella loro tomba la militante femminista egiziana Hoda Shaarawi, la poetessa irachena Nazik Al Malaika e l'intellettuale egiziano Qasim Amin che sin dall'inizio dello scorso secolo si batterono contro il velo islamico.
Così come oggi la tesi di Amato si scontra con la battaglia per l'emancipazione della donna condotta in Algeria dal ministro della Cultura Khalida Messaoudi e dal suo omologo in Egitto Farouq Hosni, che ha recentemente subito un linciaggio religioso, mediatico e politico per aver criticato il velo islamico.

Ed è lo stesso impegno civile sostenuto da diverse intellettuali tra cui Fatima Mernissi, Elham Manea, Raja Benslama, Nahed Selim e Monjiya Souaihi.
Infine deve far riflettere il fatto che persino alcuni teologi islamici non propriamente moderati sul diritto all'esistenza di Israele e sul terrorismo palestinese, tra cui Gamal Al Banna, Hassan Al Turabi e Ahmad Chaouki Alfangari, sono stati accusati di apostasia e perfino condannati a morte per aver sentenziato che non vi è alcuna prescrizione coranica del velo.

L'invito che rivolgo ad Amato è di considerare la realtà del velo islamico all'interno del contesto originario in cui si colloca e di valutarla con i parametri propri di una religione che è fisiologicamente plurale e storicamente conflittuale.

Diversamente si diventa auto-referenziali, collocando la questione del velo nel contesto occidentale e valutandola con i parametri esclusivi dei diritti fondamentali della persona che non hanno riscontro nella sharia islamica.
Ciò che ad Amato sfugge è che per gli integralisti e gli estremisti islamici il velo non è un diritto individuale ma un obbligo divino, alla donna non si dà la facoltà di indossarlo o meno, bensì la si obbliga a farlo.

E non si tratta ahimè più soltanto di un fatto che concerne gli «altri», dal momento che anche l'Europa è diventata terra di conquista islamica e vede diffondersi il velo.

Con una strategia ufficializzata il 12 luglio 2004 dalla «Assemblea per la protezione del hijab», promossa da Youssef Qaradawi e Tariq Ramadan, i referenti religiosi e ideologici dei Fratelli Musulmani in Europa.
Con loro c'erano 300 delegati provenienti da 15 Paesi, tra cui l'Italia.
Ebbene la posizione di Qaradawi sul velo è netta: «La donna deve indossare il velo perché glielo ordina Dio. Ma se la moglie rifiutasse di portare il velo, il marito la deve ripudiare».
Questa è la realtà dell'ideologia imperialista islamica che trova purtroppo terreno fertile in un Occidente affetto da un'altra ideologia, il relativismo che nel caso specifico si traduce nell'«islamicamente corretto », trasformando le leggi e le libertà della civiltà occidentale nel cavallo di Troia della conquista islamica.
25 settembre 2007 Il corriere della sera
@nounou@
00martedì 9 ottobre 2007 12:00
Il prefetto dice sì al burqa. Ok della Bindi
Il caso Treviso divide il governo. La legge del 1975 e la circolare del 2004: il caos delle norme


Una donna con il burqa

Se la decisione del prefetto di Treviso, Vittorio Capocelli, di legittimare il burqa dovesse accreditarsi come riferimento giuridico e amministrativo a livello nazionale, prossimamente le donne islamiche completamente velate potrebbero frequentare le scuole, essere assunte nei luoghi di lavoro e circolare liberamente ovunque in Italia.

Si tratta di un'ipotesi tutt'altro che remota, visto che ha subito incassato l'approvazione del ministro per la Famiglia, Rosy Bindi. Il caso è stato sollevato dal Corriere del Veneto il 6 ottobre con un articolo di Federica Baretti dal titolo «Il prefetto sfida lo sceriffo: sì al burqa». Dove lo «sceriffo» è il prosindaco leghista Giancarlo Gentilini, l'antesignano della «tolleranza zero» nei confronti dei clandestini e dei delinquenti. E da un secondo articolo del 7 ottobre di Gianni Favero che sintetizza il pensiero della Bindi: «Il burqa? Va tollerato. Il vero rischio è Gentilini».

Cominciamo dai fatti. È di tre anni fa l'ordine di Gentilini alla polizia municipale di arrestare le donne con il burqa ai sensi dell'articolo 5 della legge 152 del 1975 che vieta di fare uso in luogo pubblico, salvo giustificato motivo, di caschi o di qualsiasi altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona. Con il suo tono notoriamente colorito Gentilini ha sentenziato: «Il burqa? Una mascherata permessa a Carnevale, ma che non può essere tollerata tutti i giorni dell'anno». Ebbene, il 5 ottobre scorso, al termine di una riunione con la Consulta per l'immigrazione e l'associazione Migrantes, Capocelli ha emesso la seguente decisione: «Se per motivi religiosi una persona indossa il burqa, lo può fare, basta che si sottoponga all'identificazione e alla rimozione del velo».

Il prefetto fonda probabilmente il suo atteggiamento sulla circolare del Dipartimento della Polizia del dicembre 2004, che legittima il burqa in quanto «segno esteriore di una tipica fede religiosa» e una «pratica devozionale ». Una posizione che dovrebbe essere formalizzata in un documento da rendere noto nei prossimi mesi. Il giorno successivo il ministro Bindi si schiera dalla parte del prefetto: «Allo stesso modo con il quale vogliamo vedere i crocifissi appesi nelle nostre aule siamo tenuti a essere rispettosi del velo con cui le donne islamiche si coprono il volto. Se viene liberamente portato è un segno della propria civiltà». Da notare che la Bindi difende il velo che copre il volto, non semplicemente i capelli, quindi appunto il burqa.

Diciamo subito che la posizione di Capocelli e della Bindi sul burqa non corrisponde a quella del presidente del Consiglio Prodi e del ministro dell'Interno Amato. «Se vuoi indossare il velo va bene, ma deve essere possibile vederti. Non puoi coprirti il volto», aveva detto Prodi il 17 ottobre 2006.
E due giorni dopo Amato aveva bocciato il burqa qualificandolo una «offesa alla dignità della donna». E nuovamente in un'intervista a Federico Geremicca sulla Stampa del 28 settembre scorso Amato ha ribadito: «Siamo d'accordo a vietare qualunque cosa copra interamente il volto, e dunque il burqa, perché offende la dignità delle donne islamiche».

Così come il burqa è stato considerato illegale dal procuratore della Repubblica di Cremona Adriano Padula il 25 settembre 2005, specificando che è «un comportamento vietato dalla legge». Da allora la polizia locale ha l'ordine di fermare, condurre in Questura e denunciare le donne che circolano in luoghi pubblici con il burqa. E il 14 ottobre del 2005 l'allora ministro della Giustizia, il leghista Roberto Castelli, disse: «Girare per strada indossando il burqa è illegale e la religione islamica è profondamente intollerante perché rivendica il diritto, in nome delle proprie convinzioni religiose, a violare le leggi dello Stato».

Che cosa sta dunque succedendo? Mi sembra evidente che ci sia un profondo contrasto tra la legge 152/75 e la circolare del Dipartimento della Polizia del 2004. E che sarebbe opportuno porre fine a questo conflitto abrogando questa circolare. Così come mi sembra evidente che il prefetto, che è un funzionario amministrativo, abbia travalicato le sue competenze e prerogative invadendo il terreno della magistratura e della politica. E che sarebbe pertanto opportuno che tornasse indietro sui suoi passi.

Ma più in generale s'impone una seria riflessione su che cosa sta succedendo in quest'Italia che dopo essersi innamorata del velo islamico e aver legittimato la presenza delle donne velate in tutti i luoghi pubblici, si sta piegando sempre più ai diktat dei predicatori della sharia, la legge islamica, permettendo che seppur clandestinamente stiano proliferando le scuole coraniche all'ombra di moschee dove si predica l'odio, che negli ospedali pubblici le pazienti islamiche possano essere assistite solo da donne medico e che possano disporre di piscine e spiagge separate perché le loro nudità non vengano viste dai maschi, che le ragazze crescano discriminate e talvolta segregate nelle proprie case-carceri affinché non vengano «contaminate» dalla società occidentale «perversa». Ci rendiamo conto che il vero velo, questo sì integrale, è quello che ci sta obnubilando la mente e portandoci diritti verso il suicidio della nostra civiltà?

Magdi Allam
09 ottobre 2007

Il corriere della sera
=omegabible=
00martedì 9 ottobre 2007 12:32
re
Per contrastare il fenomeno bisognerebbe tutti andare in giro nudi dalla cintola in giù e coperto il resto!!!! [SM=x1061910] [SM=x1061910] [SM=x1061910]
Che la Bindi sia favorevole al burqa non mi meraviglia: è la sola a trarne beneficio!!!!. Lei è tutta da nascondere!!!! [SM=g1380273] [SM=g1380273]

Poveri noi,in che mani siamo!!!!
Speriamo nelle prossime elezioni, se ci arriveremoooooo [SM=g28000]



omega [SM=x1061912] [SM=x1061912] [SM=x1061912]
pcerini
00martedì 9 ottobre 2007 12:39
"Ma più in generale s'impone una seria riflessione su che cosa sta succedendo in quest'Italia che dopo essersi innamorata del velo islamico e aver legittimato la presenza delle donne velate in tutti i luoghi pubblici, si sta piegando sempre più ai diktat dei predicatori della sharia, la legge islamica, permettendo che seppur clandestinamente stiano proliferando le scuole coraniche all'ombra di moschee dove si predica l'odio, che negli ospedali pubblici le pazienti islamiche possano essere assistite solo da donne medico e che possano disporre di piscine e spiagge separate perché le loro nudità non vengano viste dai maschi, che le ragazze crescano discriminate e talvolta segregate nelle proprie case-carceri affinché non vengano «contaminate» dalla società occidentale «perversa». Ci rendiamo conto che il vero velo, questo sì integrale, è quello che ci sta obnubilando la mente e portandoci diritti verso il suicidio della nostra civiltà?"

Sono d'accordo con questo messaggio di Magdi Allam,perche' si basa sui fatti,su esperienze che avvengono gia' in altri paesi,un giorno assisteremo al proliferarsi di queste tendenze estremiste di tipo islamico fino a creare delle vere e proprio nicchie che potranno dare luogo a realta' intolleranti verso la nostra cultura e i nostri valori democratici.

Va bene consentire l'islam "moderato",male chiudere gli occhi innanzi a evidenti segnali dell'islam "radicale" contrario alla libera circolazione degli elementari diritti individuali e contrario anche alla democrazia,i vari Bindi,Prodi e Amato dovrebbero farsi un giro nella realta' di questi estremismi,saggiare con occhi,invece,come al solito,tengono ben salde le loro natiche alle poltrone dei palazzi del potere facendo finta di essere persone "moderne",persone che abbracciano valori della tolleranza e del dialogo quando poi cadono inevitabilmente nel banale paraculismo tipico dei politici di oggi,cercando in tal modo di accaparrarsi anche simpatie di tipo politico-elettorale,chiudendo gli occhi anche ai messaggi lanciati da persone che come Allam conoscono benissimo certe realta' rispetto agli improvvisati geniacci profondi conoscitori dell'islam appartenenti alla nostra classe politica (Bindi,Prodi,Amato e company...)

PRODI,BINDI,AMATO,perche' allora non fate candidare al governo qualche fanatico islamico?

Ancora una volta per mera convenienza politica avete dimostrato di essere lontani milioni di anni luce dalla realta' (e da certe realta' pericolose) del nostro paese,vi fate promotori della tolleranza religiosa quando poi consentite fenomeni di intolleranza e di prepotenza e prevaricazione come nel caso di De Magistris lavandovene altamente le mani senza spiccicare una benche' minima parola sul caso!

Ancora una volta avete dimostrato di essere deboli,state indebolendo sempre di piu' la nostra democrazia innanzi a simili segnali e' gia' di per se' martoriata dagli attacchi clericali.
Preferisco una laicita' "non sana" a quella "sana" che vi piace cosi' tanto.Meglio essere "malati" di laicita' acattolica e aislamica piuttosto che essere "malati" di laicita' che si prostra davanti al Papa o davanti al burka!

Paolo
@nounou@
00martedì 9 ottobre 2007 14:17

Va bene consentire l'islam "moderato",male chiudere gli occhi innanzi a evidenti segnali dell'islam "radicale" contrario alla libera circolazione degli elementari diritti individuali e contrario anche alla democrazia,i vari Bindi,Prodi e Amato dovrebbero farsi un giro nella realta' di questi estremismi,saggiare con occhi,invece,come al solito,tengono ben salde le loro natiche alle poltrone dei palazzi del potere facendo finta di essere persone "moderne",persone che abbracciano valori della tolleranza e del dialogo quando poi cadono inevitabilmente nel banale paraculismo tipico dei politici di oggi,cercando in tal modo di accaparrarsi anche simpatie di tipo politico-elettorale,chiudendo gli occhi anche ai messaggi lanciati da persone che come Allam conoscono benissimo certe realta' rispetto agli improvvisati geniacci profondi conoscitori dell'islam appartenenti alla nostra classe politica (Bindi,Prodi,Amato e company...)



concordo in pieno con Paolo!
@nounou@
00martedì 9 ottobre 2007 14:20

Che la Bindi sia favorevole al burqa non mi meraviglia: è la sola a trarne beneficio!!!!. Lei è tutta da nascondere!!!!




[SM=x1061910] [SM=x1061909] [SM=x1061909] [SM=x1061909]
Luteranamanier
00lunedì 21 gennaio 2008 18:27
La storia del velo purtroppo non fa parte solo del mondo islamico,ma
anche nel mondo cristiano, ancora oggi in alcune congregazioni cristiane (tra cui anche i tdG)la donna si mette il velo in determinate situazioni.

Questo sarebbe giustificato dalla Bibbia.

Ma guardate un po' qui, interessante studio dei passi biblici incriminati.

Mi sembra che San Paolo sia molto meno antifemminista di quanto creduto da molti.


www.credereoggi.it/upload/2004/articolo143_95.asp


Saluti
Veronika


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