I TESTIMONI DI GEOVA: FIGLI DI ARIO E LA TRADIZIONE CRISTIANA APOSTOLICA

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Pagine: [1], 2, 3
Adriano Baston
00sabato 11 settembre 2010 00:51
ADRIANO BASTON
VIA TRUCCHI 39/A
VENARIA REALE

TORINO – 15/07/2008

AL CORPO DIRETTIVO
DEI TESTIMONI DI GEOVA
BROOKLIN



I tdG: FIGLI DI ARIO E LA TRADIZIONE CRISTIANA APOSTOLICA


<<Davanti e con Dio viviamo senza Dio. Dio si lascia cacciare fuori del mondo sulla croce, Dio è impotente e debole nel mondo e appunto solo così egli ci sta al fianco e ci aiuta. E’ assolutamente evidente, in Mt 8,17, che Cristo non aiuta in forza della sua onnipotenza, ma in forza della sua debolezza, della sua sofferenza!

Qui sta la differenza decisiva rispetto a qualsiasi religione. La religiosità umana rinvia l’uomo nella sua tribolazione alla potenza di Dio nel mondo, Dio è il deus ex machina. La Bibbia rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare. In questo senso si può dire che la descritta evoluzione verso la maggior età del mondo, con la quale si fa piazza pulita di una falsa immagine di Dio, apra lo sguardo verso il Dio della Bibbia, che ottiene potenza e spazio nel mondo grazie alla sua impotenza.>> (D. Bonhoeffer, Resistenza e resa) (mio il grassetto).

Questo pensiero biblico, così straordinariamente espresso nella sua sofferenza da Bonhoeffer in una cella nazista, evidenzia che in terra non è discesa una creatura per mettersi accanto ad un’altra creatura che vive nel dolore, come diceva Ario e oggi i suoi discepoli tdG, ma la stessa divinità.

Anche qui sta la differenza tra la religione cristiana e il cristianesimo paganizzato col demiurgo platonico di Ario e dei tdG.

Dio, nel suo incommensurabile amore, accetta l’implorazione di milioni di Giobbe, di madri e di bambini e di tanti padri e di tutti gli altri, il grido di dolore rivolto a Dio di mettersi al loro posto. (Gb, cap. 10).

Così Egli, spinto dal suo immenso amore, entra nella storia, nel tempo; pertanto si rende presente e visibile misteriosamente nell’uomo Gesù, mettendosi in questo modo a fianco della nostra sofferenza, patendo con noi i tormenti di questa vita allo scopo di liberarci dalla nostra condizione di miseria e condurci, dopo la catarsi cosmica, nel Regno eterno del Padre.

Nella Torre di Guardia (TG 1/12/1984, pagg. 26-28), il Corpo Direttivo (CD) sostiene che è infondata l’accusa fatta nei suoi confronti di professare la dottrina di Ario in quanto, egli dice, che: <<sotto molti aspetti>> le sue idee non collimano con la dottrina dei tdG. sulla natura del Logos. E' vero che sotto certi aspetti la dottrina di Ario differisce da quella dei tdG.

Egli, infatti, sosteneva che ci sono tre hypostasis ontologicamente di sostanze differenti. Detto ciò, questo vuol dire che sotto altri aspetti ne condivide il pensiero, difatti Ario credeva che il Figlio di Dio, cioè il Logos, fosse una “creatura” “un Dio”. La sua formula era: <<ci fu un tempo in cui egli non esisteva>>.


segue....
Adriano Baston
00sabato 11 settembre 2010 01:02
In una lettera, che Ario scrisse all’amico Eusebio di Nicomedia, che ne condivideva le idee, dice che il Logos: “prima di essere stato sia generato, sia creato, sia definito, sia fondato, (Prov. 8, 22-25) non esisteva…” <<Il Figlio ha principio, mentre Dio è senza principio>>. <<Deriva dal nulla>>.

Questo in breve era il suo impianto teologico.

Come si può ben notare, confrontando il pensiero di Ario sulla natura del Logos con quello dei tdG, il loro credo sul Logos non fa una grinza: fondamentalmente si tratta della stessa dottrina; ed è proprio all’orizzonte di questa dottrina che hanno prodotto una traduzione della Bibbia allo scopo di dimostrare la creaturalità del Logos, introducendo anche nel testo sacro, tra gli altri insegnamenti, migliaia di volte la voce “Geova”, un nome che non esiste, come alla fine sarà brevemente trattato. Su ciò che sostenevano gli ariani: “Né gli angeli, né Gesù esistevano prima di essere creati” (Dovreste credere nella Trinità? Pag. 14, 1989), si noti il pensiero ariano:’Gesù non esisteva prima di essere creato’. A questo specialmente, il CD dovrebbe prestare la dovuta attenzione in quanto si tratta di una dottrina che non trova appoggio scritturale.

In un’altra lettera, che Ario scrisse al suo vescovo Alessandro di Alessandria, ribadisce gli stessi concetti: il Logos è “creatura perfetta di Dio... dopo è stato generato o creato in luogo di figlio… non esisteva prima di essere stato generato.

Infatti, non è eterno né coeterno né è ingenerato insieme col Padre, né ha l’essere insieme col Padre... Quanto poi a espressioni come <<da lui>> e <<dal ventre>> Ps. 109,3 e <<sono uscito dal Padre e sono venuto>> (Ev Io. 8,42), se alcuni le intendono nel senso che il Figlio è parte del Padre consustanziale ed emanazione, il Padre risulterà, secondo loro, composto, divisibile, mutevole e corpo; e Dio incorporeo sarà soggetto a tutto ciò che secondo loro, succede naturalmente ad un corpo. Ti auguro di star bene nel Signore, beato papa”.

A queste affermazioni di Ario il vescovo Alessandro rispose con una lettera che inviò a tutti i vescovi della cristianità con lo scopo di avvertire della pericolosità dei contenuti della dottrina di Ario per la fede dei cristiani. Egli riassume la dottrina di Ario cogliendo nel segno le sue autentiche idee: “<<Non sempre Dio fu padre, ma ci fu un tempo in cui Dio non era padre. Non sempre è esistito il Logos di Dio, ma è stato creato dal nulla. Infatti, colui che era Dio ha creato dal nulla quello che non esisteva: perciò c’è stato un tempo in cui quello non esisteva. Infatti, il Figlio è creatura e fattura. Né è simile al Padre per sostanza; né è il vero e naturale Logos del Padre, né è la sua vera Sapienza, ma soltanto una della cosa fatta e creata, e impropriamente è definito Logos e Sapienza , mentre anch’egli è stato creato dal vero e proprio Logos di Dio e dalla sapienza che è in Dio, nella quale Dio ha fatto tutte le cose e anche quello. Perciò egli è mutevole e alterabile per natura alla pari di tutte le creature razionali. Il Logos è estraneo, altro e separato rispetto alla sostanza di Dio… Infatti, il Logos non conosce il Padre esattamente e perfettamente, né lo può vedere perfettamente. Infatti, il Figlio non conosce neppure la sua stessa sostanza, come essa è. Infatti, è stato creato per noi, perché servendosi di lui come di uno strumento Dio ci creasse; né sarebbe esistito se Dio non ci avesse voluto creare>>”.

Da questo discorso si può constatare che ci possono essere delle differenze viste sul piano formale rispetto all’espressione dei tdG, ma sul piano dei contenuti e della sostanza ci sono tutti gli ingredienti dottrinali che li caratterizzano.


segue...
Adriano Baston
00sabato 11 settembre 2010 14:33
Segue poi la confutazione di Alessandro che tra l’altro dice:”… Chi, ad udire Giovanni che dice: <<In principio era il Logos (Ev. Io. 1,1), non biasima costoro che affermano: <<c’è stato un tempo in cui non esisteva?>>

Chi, ad udire nel Vangelo <<Figlio unigenito>> e <<per mezzo di lui tutto è stato fatto>> (Ev. Io 1,18.3) non odierà costoro che affermano che egli era una delle cose create?

… Come, infatti, egli può essere una delle cose che sono state fatte per suo mezzo?

O come è Unigenito colui che, secondo loro, è connaturato insieme con tutti?

… Come può essere dissimile dal Padre per sostanza colui che è immagine perfetta e il riflesso del Padre e che dice: <<Chi ha visto me ha visto il Padre (Ev. Io. 14,9)?

... Come infine, se il Figlio è Logos e Sapienza di Dio, c’è stato un tempo in cui non esisteva?

Infatti, sarebbe lo stesso che essi dicessero che un tempo, il Padre è stato privo di Logos e sapienza… Quanto poi alla loro bestemmia che il Figlio non conosce perfettamente il Padre, non dobbiamo meravigliarci.

Infatti, una volta che si sono dati a combattere Cristo, essi respingono anche le parole con le quali egli dice: <<Come il Padre conosce me anche io conosco il Padre>> (Ev. Io. 10,15)

Se perciò il Padre conoscesse il Figlio parzialmente, sarebbe chiaro che anche il Figlio conosce il Padre non perfettamente.

Ma se non è lecito affermare ciò e il Padre conosce il Figlio perfettamente, allora è chiaro che, come il Padre conosce il suo Logos così anche il Logos conosce suo Padre, di cui è anche Logos”.

“Con tali affermazioni e con l’interpretazione delle Sacre Scritture più volte confutammo, ma quelli di volta in volta si trasformavano in camaleonti…

Noi siamo addolorati per la loro rovina e soprattutto perché avendo prima anch’essi appreso la dottrina della chiesa poi sono venuti meno; però non ci stupiamo.

Infatti, è successo anche a Imeneo e Fileto (2Ep.Tim, 2,17), …ma il Signore ha detto in anticipo: <<State attenti che nessuno vi inganni.

Molti, infatti, verranno in nome mio e diranno: “Sono io”, e: “Il tempo si è avvicinato”, e inganneranno molti. Non seguiteli>> (Ev. Lu. 21,8)”.

“E Paolo, avendo appreso questo dal Salvatore, ha scritto: <<Negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dall’integrità della fede, prestando ascolto a spiriti ingannatori e ad insegnamenti di demoni che stravolgono la verità>> (1 Ep.Tim. 4,1).” (Il Cristo. II vol. di M. Simonetti, F. Lorenzo Valla, Mondadori, 1995; pagg. 65-97.

Allo stesso giudizio non sfugge il C.D. che stravolge il messaggio biblico con il sistema del sofismo e della demagogia, plagiando le persone naturalmente impreparate sul significato della dottrina del Vangelo.

Da rilevare, tra l’altro, che gli ariani non erano tutti concordi con il radicalismo estremo di Ario, anche se ne condividevano gran parte del pensiero, erano pronti a sostenerlo.

Ciò che Ario insegnava non era tutta farina del suo sacco, egli era stato preparato a questa dottrina, come altri ad esempio Eusebio di Nicomedia, alla scuola dell’antiocheno Luciano.

Sarà poi lo stesso che difenderà Ario dall’accusa di eresia dal vescovo Alessandro di Alessandria che lo ha scomunicato dalla Chiesa.

Ario ebbe il suo teorico in Asterio, detto il Sofista, il quale condivideva la sua dottrina e sia l’uno che l’altro erano stati allevati, appunto, dal prete antiocheno Luciano, il maestro che aveva posto le basi dell’arianesimo.

Ario faceva parte del clero di Alessandria, uomo eloquente e grande demagogo, culturalmente preparato sul piano filosofico e anche su quello teologico.

Nei suoi insegnamenti, riguardanti il Logos, come si è osservato, si parla del Logos come di “un Dio” “unigenito Dio” “creato” e si dice pure dello Spirito Santo come di una seconda creatura di Dio, altri come di creatura dello stesso Logos, quindi si parla di tre nature ontologicamente distinte e separate che indusse il vescovo di Alessandria a scomunicarlo e mandarlo in esilio a Nicomedia, dove trovò rifugio presso amici e anche da parte di Eusebio di Cesarea e lì rimase in esilio per circa dieci anni dal 318 al 328.

Uomini influenti fecero pressione sia sulle autorità ecclesiastiche che su quelle politiche affinché potesse rientrare dall’esilio; nel frattempo organizzerà il suo partito religioso e politico con i suoi amici che ne condividevano il pensiero, per opporsi al clero di Alessandria che rappresentava l’ortodossia e che manteneva forte lo spirito della tradizione apostolica.

In seguito alla sconfitta di Ario a Nicea, su pressione di Eusebio di Nicomedia, Costantino fece in modo che Ario fosse reintegrato nella Chiesa.

La controversia ariana si protrasse fino alla fine del IV sec. e anche oltre.

L’imperatore Costantino alla fine della sua vita, prima di morire farà professione di arianesimo facendosi poi battezzare dall’ariano Eusebio di Nicomedia, amico e sostenitore del pensiero di Ario.

Era consuetudine in quel tempo che prima di morire molti si battezzassero alla fine dei loro giorni, l’ultimo periodo della loro vita, in cui le condizioni morali lo potevano permettere.


segue...

Adriano Baston
00sabato 11 settembre 2010 14:44
La speculazione filosofica di Ario all’inizio si incentrava innanzitutto nel combattere la Trinità di Sabellio, la quale si esprimeva con il concetto che il Dio supremo fosse una monade, un’unica sostanza indivisibile: Padre nel V.T. dopo di che si sarebbe manifestato come Figlio incarnato nel N.T. per la redenzione del genere umano e dopo la sua morte e risurrezione il Padre si sarebbe manifestato sotto l’aspetto dello Spirito Santo per la santificazione.

Questa dottrina è anche chiamata “patripassismo” o anche “monarchianesimo” perché a patire sulla croce fu il Padre, un’eresia condannata dalla Grande Chiesa come quella di Ario.

Nei passi della Scrittura sui quali Ario aveva impostato il suo discorso a favore della non consustanzialità del Figlio con il Padre erano, ad esempio, <<il Padre è maggiore di me>> o <<io faccio la volontà del Padre mio che è nei cieli>> o <<il Padre mi ha mandato>>.

Non teneva conto del fatto che si trattava di un’inferiorità solo formale, ma non sostanziale.

Il suo subordinazionismo in questo modo fu portato alle estreme conseguenze: Gesù Logos era solo e soltanto una creatura.

Con <<unigenito Dio>> “un dio generato = creato” e altre scritture simili citate in senso letterale trascurava la metafora.

Con ciò, negava il fatto che Gesù Cristo il Logos fatto carne, fosse Figlio in senso proprio, e quindi non poteva, all’atto della sua incarnazione, perdere la sua divinità; egli era Dio incarnato, cioè teantropo, e questo costituiva l’abisso che separava Ario dalla tradizione apostolica.

Gli ariani non comprendevano, come non vogliono capire i tdG, che è il paradosso di Dio, quello che da una parte la Scrittura afferma che il Logos è Dio e dall’altra che il Figlio è il Logos incarnato, e subordinato alla volontà del Padre.

E’ presunzione bella e buona quella di pretendere di spiegare l’azione e il comportamento di Dio nella storia del mondo e delle sue operazioni.

Se gli evangelisti ci dicono di non conoscere ciò che saranno nella resurrezione quando si troveranno alla presenza di Dio e che ora vedono solo confusamente, come si può pretendere di spiegare chi è Dio e il suo operare?

Le argomentazioni di Ario per la formulazione della sua dottrina avevano trovato ispirazione e appoggio nel subordinazionismo moderato espresso da Origene, ma è altrettanto vero e significativo che egli si allontanava enormemente dalla sua teologia radicalizzando al massimo il subordinazionismo origeniano.

Egli non teneva conto del fatto che il Figlio fosse, secondo Origene, eternamente generato e che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo erano “tre eternamente presenti insieme” (Comm. Mt.,XII,20).

Egli e i suoi seguaci distinguevano due Logos, uno immanente nel Padre coeterno con lui e un altro generato=creato in vista della creazione.

Figlio per adozione e non Figlio proprio come da sempre sosteneva la Tradizione Apostolica negato dagli ariani.

Anche se ci sono moderati cenni di subordinazionismo da parte di alcuni autori di spicco, come ad esempio da parte di Origene o da parte di Eusebio di Cesarea, essi non hanno mai pensato, con coerenza alla Tradizione, che il Figlio fosse di sostanza diversa da quella del Padre che lo generò, come invece avevano fatto al contrario Ario e i suoi sostenitori.

Come si evince, i tdG, si sono appropriati degli stessi pensieri ariani nel costruire i loro insegnamenti sulla dottrina del Logos; non si notano differenze se non marginali e non cercano neppure di smentirlo quando affermano:<<Ario nel IV sec. ribadì la verità biblica secondo la quale “il Figlio, non è ingenerato” >> e che <<…i testimoni di Geova non possono essere accusati di essere ariani, in quanto sotto molti aspetti non condividono le idee di Ario>>.

E’ chiaro che con questa ultima affermazione ammettono che sotto altri aspetti ne condividono il pensiero rifugiandosi in esso con estrema ostinazione nonostante le evidenze in contrario Scritturalmente parlando.


segue...

Adriano Baston
00lunedì 13 settembre 2010 14:49
E’ vero che Ario negava <<che il figlio potesse conoscere il Padre>> in contrasto con il passo trinitario che le stesse parole di Gesù smentiscono: <<…nessuno conosce pienamente il Figlio eccetto il Padre, né alcuno conosce pienamente il Padre eccetto il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare>> (Matteo 11:27 - Luca 10:22; TNM).

Ma i tdG hanno la presunzione di conoscere Dio e la sua natura!

Altri passi fortemente trinitari sono: <<Io e il Padre siamo uno>>, <<chi vede me vede il Padre>> (Giov. 10:30; 14:9).

Non si tratta di una unità morale, come spiegava Ario e oggi i suoi discepoli, ma di una unità sostanziale esclusiva del Padre con il Figlio, il quale è l’unico rivelatore di Dio agli uomini; rivelatore dell’amore di Dio rivolto specialmente verso gli oppressi e gli emarginati dalla società.

Ario sosteneva che la Parola fosse diventata Figlio di Dio “per adozione” infatti diceva: <<Fra le molte parole pronunciate da Dio quale di esse egli adottò come figlio?>> .

Se vi è una differenza con la dottrina dei tdG è solo nella forma, non nella sostanza, in quanto essi insegnano, come Ario, che il Logos sia una creatura tra le “altre”, uno strumento della creazione.

Della degradazione del Figlio di Dio, operata dal C.D., non sorprende che dicano che: <<dietro al serpente nell’eden>> si trova <<il suo ex fratello angelico… Satana>> (Esaminiamo le Scritture ogni giorno, 1990, 16-1).

Essi arricchiscono la dottrina di Ario aggiungendo che il Logos in cielo muore e poi la sua energia vitale viene trasferita nel seno della vergine Maria per comparire come uomo, per riscattare l’intera l’umanità.

Non si riesce a capire come uno spirito, quale il Logos possa essere dotato anche di energia vitale!

Forse perché si parla di Dio come avente un “corpo”?

Infatti, essi dicono: <<…Il primogenito Figlio di Dio scomparve dal cielo. La sua forza vitale fu trasferita nel corpo vergine di Maria>>. ( Lo spirito santo, la forza del Nuovo Mondo, 1977 pag. 87).

Dunque, in terra sarebbe apparso Michele Arcangelo nelle vesti di Gesù Cristo. Domanda: durante la sua morte di tre giorni, durante i quali Michele - Gesù “scomparve”, la sua “energia vitale” in quale parte si è rifugiata?

Se la morte è il nulla ontologico quale energia vitale può sopravvivere?

Se il corpo di Michele - Gesù si è dissolto in gas, che cosa allora sarebbe risorto?

Del corpo di Gesù vien detto: <<Geova dispose di esso, dissolvendone gli elementi o atomi che lo costituivano>> (TG 15 -6 -1954, pag. 361).

Infatti, dicono che Michele - Gesù Cristo è stato ricreato con “corpo spirituale”: <<La morte non significò il passaggio a un’altra vita per Gesù; significò invece l’inesistenza>> (SV 8 -1 -1980, pag. 27), parola di Geova!!!

C’è poi anche da rilevare: dov’è scritto nella Bibbia che gli angeli sono dotati di corpo spirituale?

Nel “Il mio libro di racconti biblici”, 1979 cap. 102, viene ribadito lo stesso concetto: <<Sai che ne fu del corpo di Gesù? Dio lo fece sparire.

Dio non riportò Gesù in vita con il corpo di carne col quale era morto.

Diede a Gesù un corpo nuovo, spirituale, come lo hanno gli angeli in cielo>>.

Lo stesso pensiero lo afferma il libro “Ragioniamo” 1990, pag. 171 e aggiungono: <<Eliminare il corpo fisico di Gesù al momento della risurrezione non fu un problema per Dio>>.

Neppure un problema che Geova si proponesse che il Figlio: <<fosse così temporaneamente cancella dall’esistenza come membro della famiglia universale di Dio>> (TG, 15-1-1992, pagg. 9, 10).

Il problema sta però nel dimostrare tutto ciò con le Scritture.


segue...

Adriano Baston
00martedì 14 settembre 2010 14:49
Se le cose stanno in questa maniera, cioè che l’uomo Gesù si è sciolto andando nell’eterno nulla, che ci stanno a fare allora nel Vangelo le parole di Gesù in Luca 23: 46: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”?

Considerando che il C.D. ritiene i termini fiato, respiro e spirito solo materia, che cosa allora Gesù affida al Padre: la sua disintegrazione e il suo nulla?

Al contrario di ciò che dicono i tdg, il Vangelo è lapidario quando Gesù stesso li smaschera dicendo: << “Abbattete questo tempio e in tre giorni lo rialzerò”…egli parlava del tempio del suo corpo>> (Giov. 2: 19-21, TNM).

Gesù afferma con queste parole che il suo corpo sarebbe stato resuscitato naturalmente come corpo glorioso perché carne e sangue non possono ereditare il Regno di Dio. (Paolo).

Nella “teologia” del C.D. si osservano in questo modo questi passaggi assurdi: Michele-Gesù, una specie di triade sabelliana.: Michele preumano, Michele terrestre, nelle spoglie di Gesù e Michele-Gesù ricreato nella risurrezione per la santificazione degli “unti” i 144 mila.

Gli altri di serie B, hanno la salvezza solo di riflesso per vivere per sempre sulla terra.

Infatti, essi insegnano che Gesù non è il mediatore dell’intera umanità, ma solo per i 144 mila.

Parola di Geova a dispetto di ciò che dice Paolo in I Tim. 2: 5,6 che egli è l’uomo celeste e non quello che è morto che fa da mediatore come Sommo Sacerdote per tutti.

Un angelo quale creatura, per quanto grande possa essere, non può riscattare un’altra creatura (Sal. 49:7).

Solo la divinità col suo sacrificio è in grado di redimere la creatura.

E di nuovo in relazione all’arcangelo Michele il C.D. domanda: <<Gesù Cristo e l’arcangelo Michele sono la stessa persona?>>.

E dopo alcune scritture citate in modo inappropriato, per dare valore alla loro tesi, concludono: <<Perciò l’evidenza indica che il Figlio di Dio era conosciuto col nome di Michele prima di venire sulla terra, come lo è stato in seguito al suo ritorno al cielo, dove risiede come glorificato Figlio spirituale di Dio>>. (Ragioniamo 1990 pagg. 171, 172).

Intanto le scritture che vengono citate per dimostrare le loro tesi non dicono assolutamente nulla di questa dottrina e ci occorre una bella fantasia per arrivare a credere che siano l’evidenza immaginata dai tdG.

E’ sorprendente il fatto, poi, che la scrittura di I Tess. 4: 16 che essi applicano a Gesù nella TNM, la nota in calce, la “voce d’arcangelo” viene applicata a “Geova”.

Comunque la Scrittura afferma che Gesù nella sua preesistenza non è per nulla un angelo (vedi Lettera agli Ebrei).

Il discorso che Michele è la prima creatura di Dio, con la quale si è servito per creare l’intero mondo, non la costituisce diversa per natura dalle “altre” creature, e non la rende superiore, caso mai il Logos (Michele per i tdG), come sosteneva Ario, era superiore per i “doni ricevuti” quello di essere “adottato” come Figlio e quale strumento della creazione.

Anche se i tdG non usano il termine “adottato” nella sostanza la loro dottrina del Logos è la stessa di quella degli ariani, anche se essi negano tutte le evidenze. Essi credono che si tratti di una creatura che Dio dichiara come Figlio.

Il loro sistema dottrinale non è altro che un sincretismo religioso, una mescolanza di ebionismo, gnosticismo e arianesimo.


segue...


Adriano Baston
00martedì 14 settembre 2010 14:51
Quando i tdG parlano del Logos nella “forma pre-umana” e di Gesù nella forma umana, come strumento di Dio, per esprimere le sue volontà, dicono che Gesù ha il dovere (anche lui come angelo), “di trasmettere i messaggi divini con la stessa accuratezza con cui un telefono o una radio possono trasmettere le vostre parole a un’altra persona…la loro esperienza (quella di Abramo e di Mosè di aver visto Dio attraverso gli angeli) non smentisce affatto l’affermazione di Giovanni “nessun uomo ha mai visto Dio”, ma il “telefono” Gesù Cristo, il “portavoce” lo ha “fatto conoscere”! (T.G. 15/5/1988 pag.23).

Una bella fantasia raccontata alle “altre pecore”!

Non serve a nulla dire che Gesù viene reso “superiore alle altre creature” solo per il fatto di essere la prima a esistere, quando si tratta che la sua natura è della sostanza delle “altre”.

Infatti, “primogenito” per i tdG non significa avere il primato nella creazione secondo la concezione semitica di questa accezione, ma il primo nato e come il “telefono” “riporta” la voce di Geova e dopo di che appare così la creazione!

Un compito davvero onorifico per il Figlio “unigenito Dio”!

Si capisce così in questo modo anche il fatto che l’opera dei tdG si svolge nel trasmettere fedelmente come “telefoni” la voce e i messaggi del C.D., che definiscono la voce di Geova!

Veniamo ora alla frase più importante segnalata dalla TG in questione:

<< “l’unigenito dio”>> (TNM)


Ario sfruttava l’ambiguità del termine “agenetos” concludendo che il Figlio non è “ingenito” come il Padre, ma generato-creato.

Si rifiutava di accettare, o non aveva compreso, che, quando l’ortodossia sosteneva che il Figlio esisteva eternamente con il Padre, non intendeva dire che il Padre e il Figlio fossero due nature distinte e separate, come sosteneva Ario e oggi sostengono i tdG, cioè due entità diverse, perché questo avrebbe comportato due divinità e avrebbe distrutto di conseguenza il monoteismo.

In realtà l’ortodossia sosteneva che il Figlio possedeva la stessa natura del Padre, che non comportava affatto una diminuzione di essa, ma che dalla stessa sostanza ingenerata del Padre il Figlio viene generato, ecco perché i Padri non facevano nessuna differenza tra i due termini “ingenerato” e “generato”, agenetos e genetos vanno considerati: <<non nel loro significato filologico, ma nel significato logico in cui venivano adoperati nell’uso comune.>> (G. Presige, Dio nel pensiero dei Padri, EDB, Bologna 1992, pag. 155).

Gli ariani, insegnando che il Logos fosse “una parola”, “una sapienza” del Padre, si mettevano in aperto contrasto con le parole dell’Apostolo che dichiarava il Figlio <<Potenza e sapienza di Dio>> (1Cor. 1: 24).

Ario invece sosteneva che il Figlio fosse di natura diversa (come dicono anche i tdG.) rispetto a quella del Padre e questo apriva la via verso il politeismo, dava luogo ad un panteon di dei, a quello del demiurgo platonico.

Anche se in buona fede Ario insegnava e interpretava a modo suo la Scrittura; non si è permesso, proprio perché la considerava sacra, di aggiungere ad essa il suo pensiero come hanno fatto in modo scorretto i sacerdoti di Brooklyn, per esempio, traducendo con la formula ariana <<un dio>> in Giovanni 1:1 cioè un dio minore.


segue...

Adriano Baston
00martedì 14 settembre 2010 14:58
Con lo stesso spirito ariano traducono, contaminando in questo modo le parole dell’Apostolo in Col. 1: 15-18 “primogenito” tra le “altre” creature, dando così un falso messaggio circa la natura del Figlio che al contrario è Primogenito in quanto in modo assoluto detiene il primato sulla creazione.

Secondo ciò che Atanasio riferisce sull’Incarnazione del Logos, vi era la consuetudine, nel mondo pagano, di creare un dio in vista della creazione e così deificavano uomini e demoni per adorarli: <<La forza della credenza che il mondo fosse circondato da potenze soprannaturali si può misurare osservando la degradazione della parola di Dio: questa era giunta a tal punto che non soltanto si poteva normalmente attribuire quel titolo alle divinità dei pagani, ma lo si poteva anche applicare alle emanazioni evolutive di cui fantasticavano gli gnostici (per es., Ireneo, Haer., 1, 8, 5; Ippolito,Refut., 5, 7, 30); quella degradazione permetteva ad Ario di dire (Thalia, in Atanasio, De syn.,15) che il Figlio, sebbene privo di essenza in quanto esisteva per volontà del Padre, era “dio unigenito”, e che, essendo un dio molto potente, lodava il suo Superiore secondo il proprio grado. Un linguaggio di questo genere era fondamentalmente politeistico.>> ( Ibidem pagg. 92,93).

Sono analisi storiche sulle quali il C.D. dovrebbe meditare con responsabilità nei confronti di se stesso e soprattutto nei riguardi del tdG comune.

In nessun passo, sia in modo esplicito che implicito, dove la divinità del figlio viene affermata, Ario, come si è detto, non si è preso la libertà di falsificare le Scritture.

Crediamo che egli conoscesse il greco molto meglio del C.D. ed era troppo intelligente per sostenere che nella scrittura in questione Giov.1:1 potesse tradursi in: “il Logos era un dio” che avrebbe in questo modo giustificato il suo modo di pensare che il figlio fosse una creatura, un semidio un “potente”, ma non lo ha fatto.

Ha preferito invece giocare le sue carte elaborando la sua dottrina soprattutto sui testi nei quali la Scrittura parla dell’umanità del Figlio, come per esempio: <<il Padre è maggiore di me>>.

L’uso che della Bibbia hanno fatto i tdG scandalizzerebbe lo stesso Ario.

Non li giustifica il discorso filosofico ariano fatto sulla scrittura di Giovanni 1:1, 1:18 e 8:58, anche se sotto il profilo filologico, fosse possibile tradurre in italiano come fa la TNM, ma errato sul piano contestuale e teologico.

Queste scritture circa la divinità del Figlio uguale a quella del Padre hanno un valore assoluto, per niente relativo.


segue...

Adriano Baston
00martedì 14 settembre 2010 15:00
Sul discorso di Giovanni 1:1 <<e la Parola era Dio>> lo studioso Prestige, citando Eusebio di Cesarea, dice: “Egli infatti non dice <<e la Parola era il theos>> aggiungendo l’articolo, perché vuole evitare di farne l’essere supremo; non dice neppure <<il Logos era in Dio>>, per evitare di ridurlo al livello umano (ossia fare di lui una pura e semplice <<parola¬immanente>>); ma dice <<e la Parola era con Dio>>.

Eusebio ritorna più avanti su questo argomento (ibidem, 2,17.2), dicendo che se l’evangelista avesse voluto redigere il suo vangelo in modo gradito a Marcello avrebbe dovuto scrivere ovvero <<la Parola era di Dio>>, ovvero <<la Parola era il theos>>con l’aggiunta dell’articolo; ma allo stato dei fatti egli afferma che la Parola era Dio in modo simile a come lo è il Dio con cui Essa era” (Dio nel Pensiero dei Padri Ed. EDB, 1992 pag. 161).

Lo stesso autore che ha esaminato la letteratura del tempo di Ario e dei risultati della sua ricerca dice: <<La storia di Ario aveva dimostrato che il subordinazionismo conduce o all’unitarianismo o al politeismo o a una mescolanza dei due.

L’unico senso in cui la dottrina poteva sopravvivere nella teologia cattolica era in relazione stretta ed esclusiva con la dottrina della archè.

Secondo questa dottrina il modo di byparxis del Padre implica una priorità logica, anche se ovviamente non cronologica, per la quale i due modi di byparxis derivati, e precisamente quelli del Figlio e dello Spirito Santo, derivano da lui quanto alla loro origine.

Ma tale priorità non comporta alcuna superiorità. La dottrina della Trinità, secondo la formulazione datane dai Cappadoci, si può riassumere nella frase secondo cui Dio è un unico oggetto in se stesso ed i tre oggetti per se stesso.

E’ difficile immaginare che la mente umana possa spingersi oltre questo illuminante paradosso.

Esso garantisce tanto l’unità quanto la trinità>> (ibidem pagg. 257,258)
I tdG fanno fatica a comprendere e a distinguere la metafora del discorso letterale: generare, regno, primogenito, generato, soggetti che da essi vengono presi alla lettera.

Non si fanno guidare dalla Scrittura ma dalla loro dottrina, tanto è vero che anche chi possiede una formazione scolastica del greco si accorge che essi hanno introdotto nella loro traduzione espressioni e parole per dare un significato diverso alla parola di Dio allo scopo di sostenere in questo modo la loro dottrina.

La loro attenzione è indirizzata soprattutto a smantellare la divinità di Cristo nella forma più grave.

Il loro modo di pensare poggia sull’arianesimo nella sua espressione più radicale, evidente in tutta la loro letteratura, con espressioni a volte sconcertanti, additando la Trinità come un “insegnamento del diavolo” quindi la stessa divinità del Figlio.

Incapaci di distinguere la metafora come gli ariani, piegano la Scrittura al loro volere per confortare la loro dottrina.


segue...

Adriano Baston
00martedì 14 settembre 2010 15:02
Dice loro lo pseudo-Cirillo: <<…che nella Scrittura si usano metaforicamente, a proposito di Dio, dei termini molto più direttamente applicabili a oggetti fisici, siamo obbligati a riconoscere che per gli uomini mortali è impossibile comprendere Dio o parlarne altrimenti che con l’uso di simboli derivanti dall’esperienza della vita contingente.

Tanto lo pseudo-Cirillo quanto tutti gli altri teologi competenti si tennero sempre rigorosamente in guardia contro il pericolo di scambiare le metafore antropologiche o fisiche per qualche cosa di più di quello che intendevano essere. Gli ariani erano caduti in quel trabocchetto, ma i figli di Atanasio rimasero liberi.>> (idem, pag. 305).

Nello stesso errore sono caduti i tdG i quali si sono pure adoperati a correggere l’evangelista: <<unigenito dio (notate il minuscolo, un dio minore) che è nel (la posizione del) seno>> in quest’ultima interpolazione tra parentesi, prendendo alla lettera “generare”, Dio come tale e creatore della coppia umana, non poteva generare da sé un Figlio.

Egli può solo creare, quindi non è onnipotente, e per generare, per logica geovista, in cielo doveva esserci una donna.

Poteva Dio avere un seno, caratteristica femminile?

Perciò il figlio doveva essere nella “posizione del seno” cioè “posizione di favore”.

Dicono, infatti, che è errato credere che “generato” voglia dire non creato: <<Ebbene, c’era dunque qualche persona di sesso femminile in cielo da cui Geova Dio generasse il suo unigenito Figlio?...Inoltre, perché generò, non dobbiamo immaginare che Dio abbia un seno come una persona di sesso femminile.

Dio non è femmina>> (Cose nelle quali è impossibile che Dio menta, 1965 pag.123).

Per evitare fraintendimenti, perché Giovanni, invece di adoperare la parola “seno”, non ha usato l’espressione “posizione unica” visto che generare è una caratteristica umana?

“posizione del seno”, “posizione di favore”, “posizione unica” forse all’autore del vangelo di Giovanni mancavano nella sua lingua dei termini appropriati invece di usare la parola seno?

Espressioni come “seno” “grembo” sono termini che evocano i sentimenti profondi che legano una madre al proprio nascituro.

Pertanto Giovanni non usò il termine seno a caso, ma lo utilizzò per spiegare la profonda intimità e relazione del Figlio con il Padre, una realtà profondamente diversa dal "seno" di Abramo in Lc 16, 22 come maldestramente, per analogia, traducono nella TNM che Lazzaro "... fu portato dagli angeli nel'[la posizione del] seno di Abraamo".

E' la dimostrazione che i tdG, per i loro fini dottrinali, spesso non tengono conto della metafora. Nella scrittura c'è "seno" e "seno". In Giov 1:18 vuol significare che il Figlio esiste all'interno della sfera della divinità mentre nel caso di Lazzaro seno vuol significare che egli vive all'interno della salvezza escatologica del banchetto celeste che Abramo rappresenta.

(Mat. 8:11) In conclusione per la dottrina dei tdG Dio e Gesù, essendo dotati di corpi spirirituali che occupano uno spazio, Gesù poggerebbe il capo al petto, "seno" di Geova, come Giovanni fece con Gesù nell'ultima cena cioè assume la "posizione del seno"!

Il “seno” usato da Giovanni è una comunione che va al di là della comprensione umana: è il modo di dire che il Figlio è “essere presso il Padre” del versetto 1°.

E’ anche il modo di spiegare la misteriosa immanenza del figlio nel Padre e viceversa: “il Padre è in me” e “io sono nel Padre”.

Giovanni all’inizio del prologo non usò né il termine fare, né il termine creare; evidentemente perché non riteneva che il Logos fosse una creatura.

I tdG sostengono che essi non negano la divinità del Figlio nel senso che egli sia “ un dio”, ma neppure Ario negava che il Figlio fosse una divinità di rango inferiore, infatti, si tratta della stessa dottrina che i tdG hanno fatto propria: è la loro bandiera.

E’ in questo orizzonte che si muove tutta la loro dottrina del Logos.


segue...

Adriano Baston
00giovedì 16 settembre 2010 22:51
Quella di Ario e dei tdG è una dottrina pagana in quanto <<riduceva il Logos a qualcosa di impersonale; e adorando Cristo, che egli (Ario) considerava come un semidio di sostanza diversa da quella del Padre, si poneva sulla stessa posizione dei politeisti>> (G. Prestige, op. cit:, pagg. 162, 163).

Difatti, come Ario, i tdG insegnano che Gesù è il passaparola e non la Parola naturale di Dio, ma la parola immanente in Lui, con l’incarico di trasmetterla agli uomini. E’ il contrario di ciò che afferma il Vangelo che dichiara in modo lapidario: “e la Parola era Dio”.

Inoltre, ancora a proposito di Giovanni 1:18, una successiva pubblicazione di un’altra rivista, come quella che stiamo esaminando, afferma circa il Codice Sinaitico su questa scrittura: <<Questo Codice conferma l’accuratezza dei manoscritti biblici papiracei più recenti. Aiuta anche i moderni biblisti (che ai testimoni di Geova mancano) additando sottili errori che si infiltrarono in copie successive. Ad esempio, Giovanni 1:18 dice: “Nessun uomo ha mai visto Dio; l’unigenito dio che è nella posizione del seno presso il Padre è colui che l’ha spiegato”. La nota in calce della “Traduzione del Nuovo Mondo”… rivela che il Codice Sinaitico e altri manoscritti, sostengono la lezione “l’unigenito dio” anziché quella alternativa “l’unigenito Figlio”. La nota in calce (…) riporta inoltre la nota di un correttore di questo codice per giustificare il ripristino dell’articolo determinativo in “l’unigenito dio”. Come conferma questo versetto, Gesù gode di una posizione unica>> (TG 15 -10 -1988, pag. 30).

Ecco che salta fuori l’asso nella manica che il Figlio è “nella posizione del seno presso il Padre”, “posizione del” che a forza viene inserita nel versetto 18 e fatta spacciare per Parola di Dio al comune testimone di Geova come lezione che il versetto nella sua totalità compare nell’originale Codice Sinaitico.

Questo è falso perché non ricorre nessuna lezione del genere in nessun manoscritto del mondo, “posizione del seno” è un’invenzione filosofica del C.D., una trovata che fa invidia al loro padre Ario!

Non è per niente edificante ingannare, da parte del C.D., il comune tdG facendogli credere che la lezione nel suo complesso sia quella originale aggiungendo “la posizione del” pur sapendo che ciò non è parola di Dio.

E’ questa l’onestà intellettuale del C.D.?

Se detta espressione fa parte della parola di Dio, come appare nella suddetta rivista, perché allora nella traduzione della Bibbia viene collocata fra parentesi?



segue...

Adriano Baston
00giovedì 16 settembre 2010 22:52
Da ciò che precede è evidente l’errore ariano di non vedere nei termini “generare”, “persona” la metafora, un significato “altro” quando si parla della Divinità e del suo operare.
Il discorso proposto dal C.D. dove sta scritto nella Bibbia?

E’ il peggior discorso che il neoarianesimo potesse partorire!

Anche un cieco scorge come i tdG, che a forza hanno introdotto espressioni ariane come “un dio”, “posizione del seno” e altre, correggendo le Scritture.

Un errore costante del C.D. è quello di far credere ai suoi discepoli che la Chiesa insegna che il Padre ed il Figlio nella Trinità siano la stessa persona, cioè l’errore sabelliano, insegnamento che viene confuso con la verità della Chiesa dove viene espressa in modo solare la divinità del Figlio come quella del Padre, essendo Figlio per natura.

Confondono quindi la Trinità della cristianità con quella di Sabellio che afferma che a patire sulla croce fu il Padre manifestato nel Figlio, dottrina pure combattuta dallo stesso Ario e condannata come eresia dalla Chiesa.

Per quanto riguarda lo Spirito Santo, dico solo questo: Il CD insegna che è la "forza attiva di Geova" un espressione che manco a dirlo non trova nessun sostegno biblico.

Una "forza" impersonale che viene paragonata alla corrente elettrica che parte dalla centrale Geova.

Di conseguenza la "bestemmia", che non sarà perdonata, non sarebbe rivolta alla persona dello Spirito Santo, ma ad una "forza" paragonata all'elettricità!

Si può bestemmiare una forza simile all'elettricità?

Si può pensare che la forza si possa offendere?

La parola "spirito" nella Bibbia assume significati molteplici e c'è anche quello dell'uso di "Spirito" in senso personale.

Il CD ritiene che la “forza attiva”, che paragona l’energia elettrica a una forza cieca priva di intelligenza, sia superiore al Figlio di Dio, l’intermediario attraverso il quale avrebbe dato origine a tutto.

Interessato solo a negare la Trinità, che secondo lui, è di origine pagana, trova invece la sua ragion d’essere proprio nella Tradizione Apostolica; per questo escogita l’idea che lo Spirito Santo sia di natura impersonale.

Invece è proprio il suo demiurgo platonico, le cui radici affondano nella filosofia pagana, ad essere contrario alle Scritture.

La bestemmia della quale parla Gesù, che sarà perdonata, non è contro il Logos nello Spirito Santo, ma contro il “Figlio dell’uomo” cioè contro la sua umanità.

La dottrina della Trinità, per i tdG, non è ragionevole, ossia per loro tutto ciò che la ragione non può spiegare non è da accettare: questo è razionalismo filosofico.

La Trinità ha i suoi termini chiari, e, per quanto alla sua natura, non è contro la ragione, ma al di sopra di essa.

L’essenza di Dio, l’incarnazione del Logos, la risurrezione, la trasfigurazione non si possono spiegare con la ragione stessa, bisogna accettarle per fede.

Quando la Scrittura dice che il Logos si fece carne non significa che da spirito il Padre l’abbia trasformato in carne, come dicono erroneamente i tdG, ma significa che il Logos si rese visibile nella carne.


segue...

Adriano Baston
00sabato 18 settembre 2010 00:12
E’ vero che la Trinità come formula non è espressa esplicitamente nella Bibbia, ma in essa ci sono tutti gli elementi specificati e molto chiari; si tratta della Divinità che si manifesta nella distinzione delle persone nel senso divino, persone che sono distinzioni di Dio, come il sole che è fuoco, luce e calore elementi distinti non separati dell’unico oggetto.

Dio, rispetto al mondo sensibile, è “altro” e lo si può percepire soltanto in una piccola misura dalla rivelazione e dalla creazione che ci circonda: <<le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute come la sua eterna potenza e divinità>> (Rom. 1:20).

Conoscere appieno Dio non è facoltà umana, legata alle leggi del tempo e della materia, solo Dio può conoscere Dio e la sua natura.

Nessun C.D. o “organizzazione” o “sala del regno” esistono nella Bibbia, e allora, come la mettiamo?

Nella rivista in questione si osservi la terminologia usata: <<Quando i trinitari parlano della “divinità di Gesù” non intendono che sia “un dio” o “simile a Dio”, ma che sia “Dio”, una delle tre persone coeterne della “divinità”>>.

Giusto, ma dopo aver parlato in modo così chiaro subito dopo negano questa verità.

Si noti, poi, la formula ariana adoperata!

Ario, infatti, cercò di contrastare la tradizione apostolica proprio con gli stessi argomenti.

La Torre di Guardia muove la sua critica nei confronti della CEI che invece di riportare la lezione “Unigenito Dio” traduce “Unigenito Figlio” e ciò, secondo il pensiero del C.D., per contrastare gli antitrinitari che preferivano la lezione più antica cioè “Unigenito Dio” arguendo che i Padri “pendessero dalla parte opposta”.

Intanto diciamo subito che proprio i Padri non facevano nessuna distinzione tra “Unigenito Figlio” e “Unigenito Dio”.

E neppure Ario la faceva, anche se, poi, queste espressioni le interpretava a suo modo e non esiste per niente da parte sua una discussione tra le due lezioni, come vogliono far credere i tdG.

Ireneo dice:<<Nessuno ha mai visto Dio, se non “l’Unigenito Figlio”... “Dio nessuno l’ha mai visto, se non che il Dio Unigenito”>> (Contro le eresie, III 11,6; IV 20,6; cfr. pure IV 20, 11) e Origene contro Celso afferma la stessa cosa, nessuna distinzione di significato tra le due lezioni: “<<Nessuno ha mai visto Dio; e l’unigenito, che è Dio, ed è nel seno del Padre…>>.(II, 71). <<Il Dio unigenito>> (VIII, 17). <<Il Figlio unigenito che è nel seno del Padre>> (Commento al Cantico dei Cantici, IV, 2, 13-14).


segue...

Adriano Baston
00sabato 18 settembre 2010 00:13
E ancora nel Commento alla Lettera ai Romani dello stesso autore non si nota nessuna differenza quando dice, <<il suo Unigenito>> (Libro VIII, 11, 25, 27 Marietti Secondo Vol.).

Ma al di là di ciò che dissero gli antichi Padri in queste due lezioni, ciò che fa testo è lo stesso autore del Vangelo di Giovanni il quale non specifica nessuna differenza tra la lezione più antica di 1:18 e le affermazioni dello stesso Maestro, quando in Giovanni 3: 16,18 per Sua bocca dice <<Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito>>, infatti Gesù lo afferma due volte e la stessa lezione è attestata dall’autore della I Lettera in 4: 9,12: <<…mandò il suo Unigenito Figlio…Nessuno ha mai visto Dio>>.

E’ evidente che queste espressioni sono in armonia con il Vangelo di Giovanni 1:18 che contengono lo stesso significato!

Da quanto precede come possono i tdG affermare che l”Unigenito Dio” è diverso nel significato da “Unigenito figlio” quando lo stesso evangelista non propone nessuna distinzione?

Con quale ragione essi sostengono che la lezione “Unigenito Figlio” è stata usata invece della più antica “Unigenito Dio” per “paura degli antitrinitari”?

Da questo è evidente che il C.D. ha capito bene che con tale espressione l’evangelista parlava della completa divinità del Figlio, non facendo distinzione tra un’espressione e l’altra dando ad esse lo stesso significato ed è proprio di questo che la tradizione apostolica si è appropriata, al contrario di Ario che dopo aver seguito per molti anni l’ortodossia, cercò di sconvolgere queste verità con le espressioni <<un Dio>>, <<generato>>=<<creato>>, <<prima creatura>>, <<un Logos creato>>.

Affermare che le due lezioni siano in contrasto tra loro significa accusare l’evangelista di contraddizione con le dichiarazioni del cap.3: 16,18 e I Giov. 4: 9,12.

Il C.D ammette pertanto che l’espressione “Unigenito Figlio” adoperata dai Padri abbia un significato trinitario, ma ciò lo è allo stesso modo in cui lo esprime “l’Unigenito Dio” e visti i precedenti storici sono in malafede quando dicono che il Logos non è Dio come il Padre.

I Padri niceni, fedeli alla Tradizione, come dimostra la storia, non facevano nessuna distinzione tra le due lezioni.

Da rilevare poi che la cosiddetta <<verità biblica secondo la quale “il Figlio non è ingenerato”>> sostenuta da Ario e oggi abbracciata dal C.D., non trova riscontro né prima né dopo Nicea.

Nessuna chiesa ariana è sopravvissuta nella storia eccetto quella alla quale Gesù disse che la “Chiesa” da lui fondata non “avrebbe visto le porte dell’Ades» (Matteo 16: 18).

E su questa base, appunto, la Chiesa apostolica anche se sconvolta dal tormentone degli ariani, sopravvive fino ai nostri giorni e oltre fino alla venuta di nostro Signore.


segue...

Adriano Baston
00sabato 18 settembre 2010 00:14
Ario con la sua nuova dottrina negava tutta una tradizione che iniziava dagli Apostoli, specialmente da Paolo e Giovanni dove è evidente il loro pensiero circa la natura del Figlio, il Logos incarnato.

Loro credevano nel Logos incarnato, non come strumento, in quanto Dio non ha bisogno di strumenti per creare, ma il Logos di Dio, la causa prima della creazione ed è in questo senso che si intende quanto la Scrittura dice che Dio creò il mondo “per mezzo” della sua Parola.

E’ davvero ridicolo pensare, come crede il C.D., che il Logos sia un “passaparola”, un “telefono” o una “radio”.

Quale scrittura della Bibbia sostiene che il Figlio è il portavoce di Dio?

E' la degradazione estrema del Figlio di Dio, è il peggiore arianesimo che si conosca, oltre questo discorso è impossibile andare.

Da ciò che precede è evidente che la divinità del Figlio è la stessa delle due lezioni e pertanto è corretta la definizione: “Dio da Dio”, il Padre è luce, il Figlio è splendore e luce del Padre” si arriva così, su base biblica, alla formulazione nicena: “Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato”: il pensiero non poteva essere espresso meglio.

L’unica difficoltà incontrata dai Padri consisteva nel cercare dei termini appropriati per esprimere la relazione del Figlio con il Padre evitando, naturalmente, che il loro uso non permettesse di sconfinare dai contenuti del messaggio cristiano e alla fine essi si accordarono di usare due termini provenienti dalla filosofia del tempo “sostanza” e “natura” che alcuni di loro interpretavano erroneamente applicandoli a Dio: <<L’affermazione definitiva di Trinità delle persone e unità di natura fu dichiarato dalla Chiesa come l’unico modo corretto di cui si potessero usare questi termini>> (Dizionario biblico di John L. Mc Kenzie, pag. 1009).

Del resto già l’Apostolo Paolo usò parole come: “ipostasis”, “prosopon”, “morfé”= natura e sostanza. Sono termini che in seguito entrarono nel linguaggio degli stessi Padri. Pertanto l’uso di quei due termini che i Padri usarono, anche se estranei al N.T., non permise di alterare in nessun modo il messaggio evangelico che dichiara: “E Dio era il Logos” e che “in lui dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col. 2: 9), che i tdG, nemici della completa divinità del Figlio uguale a quella del Padre, hanno tradotto alla fine “qualità divina” che è un’espressione simile a quella del loro padre Ario quando sosteneva che il Figlio, quale creatura, aveva ricevuto dal Padre attributi divini.

Una traduzione, quella dei tdG, che la parola usata da Paolo, “theòtetos”, non può consentire.


segue...

Adriano Baston
00sabato 18 settembre 2010 00:16
Lettera ai Filippesi

Ora veniamo anche al passo, discusso dai tdG, della lettera ai Filippesi.

Il primo a parlarci della divinità del Figlio e che inaugura così il N.T. è l’apostolo Paolo e riguarda soprattutto la lettera Filippesi 2: 6-9 dove, in modo furbo, la rivista, che stiamo trattando, salta il versetto 6 per dire: << “svuotò se stesso” della sua precedente esistenza spirituale e divenne un uomo, “inferiore agli angeli” >>.

Affermare che il Figlio sparisce dal cielo come “essere spirituale” è filosofia geovista e non scritturale.

Intanto la Scrittura sottolinea il fatto che nel versetto 6 Paolo specifica in modo che non lascia dubbi che “egli esisteva in forma di Dio” e non in “forma spirituale” come dicono i tdG!

Questo tanto per precisare!

Il passo è stato falsato con l’aggiunta: “ciò che dovesse essere” allo scopo di oscurare la divinità del Figlio espressa dall’autore della lettera a caratteri cubitali!

Essi, astutamente, nascondono il significato che ha il termine “forma”, che, nel caso specifico, è in relazione a Dio, che in greco significa “natura” “sostanza” di Dio, per niente il generico “esistenza spirituale” tipico del mondo sovrasensibile.

Da specificare, per questo ultimo discorso, che Dio non è uno spirito generico come maldestramente traducono i tdG in Giovanni 4:21 rendendolo indeterminato anche se filologicamente è possibile nella traduzione italiana.

Non credo che Giovanni pensasse che Dio fosse “uno Spirito” indeterminato, ma lo “Spirito” per eccellenza: “Dio è spirito” senza specificarne la natura che resta un mistero.

Dio come spirito è al di là degli spiriti quali gli angeli che per natura sono creature, quindi diversi come spiriti in sostanza e natura.

Il Figlio essendo in “forma”=”natura” di Dio volontariamente prende “forma” di “schiavo”=uomo senza naturalmente privarsi, proprio perché Dio, della sua “natura o sostanza” divina.

Il Logos, che come Dio è senza principio ontologico e storico, assume un corpo umano come un involucro, non in senso docetico in quanto apparente, ma nel senso di vero uomo, come dirà più tardi in una considerazione teologica più sviluppata, Giovanni, quando, infatti, afferma che “la Parola si attendò tra di noi” (greco).

Ed è proprio alla “tenda” del deserto nella quale c’era al suo interno la “shechinà” la parola di Dio, una presenza misteriosa, che è la stessa che si ritrova nella “tenda” di carne del Logos, che vuol dire anche esilio, e, come ripeto, il resto è filosofia geovista non biblica!

Ciò cui il Figlio volontariamente rinuncia non è la sua “uguaglianza con Dio”, cioè la forma di Dio, ma della sua gloria, abbassandosi, svuotandosi (kenosis), umiliandosi, prendendo la “forma dell’uomo” invocata poi dallo stesso Gesù: “glorificami davanti a te con la gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse”. (Giov. 17: 5).

Il Figlio, pertanto, rinunciò alla gloria, ma essendo per “natura” Dio, non poteva privarsi della sua divinità che è intrinseca alla sua persona.


segue...

Adriano Baston
00sabato 18 settembre 2010 00:17
La maggioranza degli studiosi ci dicono che l’inno di Filippesi da 6 a 8 sia un inno prepaolino cantato nelle liturgie, ma come dicono gli insigni studiosi Antonio Orbe e Manlio Simonetti: <<Poco importa qui che Paolo sia l’autore di queste linee oppure riprenda formule a lui anteriori.

Nella prima metà (vv 6-8) annuncia il Cristo preesistente, uguale a Dio, che nella manifestazione storica assume la forma di servo, destinata alla croce>> (Il Cristo vol. I pag. X, Fond. Lorenzo Valla, Mondadori 1995). I primi cristiani “invocavano” = supplicavano, “pregavano” il nome del nostro Signore Gesù Cristo” (1Cor. 1:2; II Cor. 12:8; Atti 7:59; 9:14,21; 22: 14-16).

Gesù è il Signore e, come dimostrano le Scritture, va pregato e invocato.

Non ha senso dire che è Signore in modo rappresentativo o relativo tanto è vero che non ha nessuna base scritturale.

Egli è Signore in senso assoluto.

Infatti, è rilevante come gli autori del N.T. applicarono molte Scritture a Gesù quale Signore.

(2Tim. 2:22; 2Cor. 12:8; Atti 10:36; Rom. 10: 9-14).

A proposito delle applicazioni delle Scritture del V.T. fatte dagli evangelisti, tratte dal vocabolario del V.T., la TNM chiama Gesù Geova sia in Giovanni 12: 36-43, in Romani 10: 9-14 e in tante altre Scritture che evidenziano che ciò che apparteneva a Jhavè, nel N.T. ora viene indirizzato a Gesù Cristo.

Infatti, secondo Giovanni capitolo 12, Gesù si rivolgeva agli ebrei quando nel Vangelo si dice che “non riponevano fede in lui” (in Gesù) e a sostegno di ciò, viene citato il profeta Isaia e conclude dicendo: “Isaia disse queste cose perché vide la sua gloria e parlò di lui (di Gesù)”.

La stessa cosa fa l’apostolo Paolo quando nel cap. 10 ai Romani nei primi versetti esprime la sua preoccupazione che i suoi fratelli ebrei siano increduli nei confronti del Signore Gesù apparso ai quali dice: <<Poiché se pubblicamente dichiari “quella parola” della tua bocca, che Gesù è Signore, ed eserciti fede in lui sarai salvato. Poiché la scrittura dice: “Chiunque ripone fede in lui (cioè in Gesù) non sarà deluso”… poiché sopra tutti è lo stesso Signore (Gesù) … che è ricco verso tutti quelli che lo invocano…Poiché “chiunque invoca il nome di Geova sarà salvato”>> (TNM).

In questo passo contestualmente essa dichiara che Gesù è Geova! Quindi Gesù è il Nome.

Al riguardo è significativa l’analisi condotta da J. Dianelou che così scrive: “Peraltro C.H.Dodd ha dimostrato che nel Vangelo di Giovanni eravamo in presenza di un’elaborazione teologica in cui il Nome sta a designare il Cristo.

Il Cristo manifesta il Nome del Padre (Giov 17,6), ma questa manifestazione è la propria persona. Scrive Dodd: <<Se questo Nome di Dio è il simbolo della sua vera natura, la rivelazione del Nome fatta da Cristo è questa unità del Padre col Figlio a cui egli rende testimonianza>>.


segue...

Adriano Baston
00sabato 18 settembre 2010 00:19
Di conseguenza quando il Padre glorifica il Figlio, glorifica il suo nome.

Abbiamo l’equivalenza delle due formule: <<Padre glorifica il tuo Nome>> (Giov. 12, 28).

Qui è affermata essenzialmente l’unità di natura tra il Padre e il Figlio, ma pure il fatto che la Persona del Figlio è la rivelazione, cioè il Nome del Padre”.

Quindi, secondo Giovanni e Paolo, Gesù è “Geova”, in quanto ne porta la natura e la sostanza, ma distinto come persona.

Sulla questione di portare il nome, dice tra l’altro ancora J. Danielou: “Dinkler ha infatti dimostrato che si incontra una questione parallela a proposito dell’espressione <<portare la croce>>. Mentre i Sinottici danno per <<portare>>… <<lambanein>> oppure <<airein>> Luca dà <<bastazein>> (14,27). L’espressione ha una risonanza liturgica: Dinkler ritiene che possa trattarsi della signatio sulla fronte con il segno + oppure X. Ad ogni modo questa usanza è attestata ad una data molto antica. Ora, sembra proprio che questo marchio non sia che la ripresa del segno tau nella sua forma arcaica, che era il marchio di Jahwéh, segnato secondo Ezechiele sulla fronte degli eletti: è ad esso che fa allusione Apoc. 7,2. Ma il tau, segno del nome divino, ormai non indica più Jahvéh, bensì il Cristo”. (La teologia del Giudeo-cristianesimo pagg. 256,262; EDB, 1974.) (Vedi anche nota in calce della TNM in Ezechiele 9:4).

Tutto ciò è la dimostrazione di come la tradizione apostolica avesse tratto dalle antiche Scritture la sua struttura dottrinale del Logos.

Sia gli antichi ariani che quelli moderni ignorano questo prospetto della Tradizione Apostolica preferiscono ripercorrere i sentieri di quella parte del giudeo-cristianesimo, quella radicale, dove vedevano nel Logos un angelo, una creatura che aveva ricevuto da Dio maggior attenzione quale, per esempio, “primogenito” (preso in senso letterale) rispetto alle “altre” creature.


segue...



Adriano Baston
00sabato 18 settembre 2010 16:16
La Tradizione Apostolica

Le opere della Tradizione, che segue immediatamente a quella apostolica, non sono arrivate tutte a noi per avere un quadro più completo, pur tuttavia ciò che gli studiosi hanno nelle mani, che la storia ha tramandato, è sufficiente e chiaro sulla comprensione che avevano i suoi protagonisti, alcuni dei quali avevano conosciuto gli apostoli, su quello che era Gesù nei confronti della divinità.

Che i cristiani fossero convinti del fatto che Gesù fosse Dio lo riferisce Plinio il Giovane che scrisse verso il 110 -113 all’imperatore Traiano per chiedere consiglio su come doveva trattare i cristiani che venivano denunciati, alcuni dei quali aveva messo a morte per il loro rifiuto di rendere omaggio all’immagine dell’imperatore.

Plinio specifica che i cristiani: <<…affermavano tutta la loro colpa e il loro errore erano consistiti nell’abitudine di riunirsi in un giorno stabilito prima dell’alba, il cantare alternativamente un inno a Cristo come a un dio…L’affare mi è parso degno di tale consultazione, soprattutto per il gran numero di denunciati: sono molti infatti, di ogni età…>>.

Riferisce che alcuni di essi erano cristiani da: <<tre, altri da più anni, alcuni perfino da vent’anni>>! (G. Barbaglio, Gesù ebreo di Galilea, EDB, Bologna, 2003; pagg. 43-45. “Epist., 10,96-97”).

Se c’erano alcuni che erano cristiani da vent’anni si arriva addirittura a prima della stesura del Vangelo di Giovanni!

Questo dimostra, in modo lapidario, che i cristiani adoravano Gesù come Dio sin dalle origini del cristianesimo com’è dimostrato dall’antica letteratura che ci è pervenuta; per esempio:

La Didachè (seconda metà del I secolo) riferisce che i cristiani pregavano Cristo, il Signore: <<Ricordati, Signore della tua Chiesa, liberala da ogni male rendila perfetta nel tuo amore e santificata raccoglila dai quattro venti (Matt 24, 31) nel tuo Regno che ad essa preparasti perché tua è la potenza e la gloria nei secoli…Amen (X, 5)>>. Si noti poi alla conclusione l’invocazione in aramaico rivolta a Cristo Signore: <<Marana tha>> = “vieni Signore”, la stessa che troviamo in Paolo molto prima: I Cor. 16: 22 e più tardi nell’Apoc. 22:20.

Clemente Romano Ai Corinti (scritto tra il 95 e il 98 durante Domiziano o Nerva).

E’ una lettera che in quel tempo era molto conosciuta.

Egli prorompe in un discorso dossologico trinitario: <<Vive Dio, vive il Signore Gesù Cristo e lo Spirito Santo>>. Dice anche: <<Veneriamo il Signore Gesù Cristo>>. In questo scritto ricorre anche, pure comune in quel tempo, la dicotomia: <<…il Signore…ha dato per noi il suo sangue, la sua carne per la nostra carne, la sua anima per la nostra anima>>. (LVIII, 2 ; XLIX, 6).

Ignazio di Antiochia martirizzato nel 107 durante il principato di Traiano come riferisce Eusebio di Cesarea; egli chiama: <<Gesù Cristo nostro Dio>>, <<Il nostro Dio Gesù Cristo>> e sottolinea che in Gesù è: << apparso Dio in forma umana>>. (Agli Efesini: Saluto; VII, 2; XVIII, 2; XIX, 3).

Ai Romani, nel “Saluto”, afferma: <<La Chiesa amata e illuminata da chi ha voluto tutte le cose che esistono,nella fede e nella carità di Gesù Cristo Dio nostro, che presiede nella terra di Roma, degna di Dio, di venerazione, di lode, di successo, di candore, che presiede alla carità, che porta la legge di Cristo e il nome del Padre>>.


segue...

Adriano Baston
00sabato 18 settembre 2010 16:18
Dallo stesso autore, che scrive a Policarpo, <<vescovo della Chiesa di Smirne>>, abbiamo: <<Vi prego di essere forti nel Dio nostro Gesù Cristo e in lui rimarrete nell’unità e sotto la vigilanza di Dio>>. ( “Saluto”; VIII, 3). Ciò è evidente che anche nella Chiesa di Smirne si professava la stessa dottrina che Gesù Cristo è Dio della stessa natura del Padre.

Policarpo fu discepolo degli Apostoli, quelli che avevano visto Gesù Cristo, secondo ciò che ci riferisce Ireneo suo discepolo. Fu nominato dagli apostoli vescovo di Smirne.

Policarpo scrisse molte lettere, ma di esse ci sono pervenute di una solo un frammento, di un’altra in modo completo.

Subì il martirio il 3 febbraio 155 all’età di circa 90 anni sotto l’imperatore Antonino Pio. La lettera che scrisse Ai Filippesi è dell’anno 107 -108 nella quale tra l’altro dice: <<Se preghiamo il Signore che ci perdoni, dobbiamo anche noi perdonare. Siamo tutti sotto del Signore e di Dio e tutti dovremo presentarsi al tribunale di Cristo.>> ( Ai Filippesi, VI, 2).

E nella preghiera, prima che fosse appiccato il fuoco per essere arso vivo, prega con queste parole: <<o Dio degli angeli e delle potenze di ogni creazione e di ogni genia di giusti che vivono alla tua presenza… di questo giorno e di questa ora di prendere parte del numero dei martiri al calice del tuo Cristo per la risurrezione dell’anima e del corpo…ti lodo e ti benedico per mezzo dell’eterno e celeste sacerdote Gesù Cristo tuo amato Figlio per il quale sia gloria a te con lui e lo Spirito Santo ora e nei secoli futuri. Amen>> Da lui apprendiamo la credenza che i “giusti vivono alla presenza di Dio”. (Addio alla resurrezione degli “unti” nel “1918”!) apprendiamo inoltre il credo dicotomico: anima e corpo. (Addio al nulla ontologico dei tdG.!).

La lettera dell’Apocalisse fu indirizzata alla chiesa di Smirne durante l’episcopato proprio di Policarpo, una lettera stupenda di approvazione e di lode per l’”angelo” di quella comunità il quale credeva che i giusti alla loro morte avrebbero raggiunto il cielo in attesa della resurrezione “dell’anima e corpo”.

Se questa fede fosse stata in netta contraddizione col disegno di Dio, il Cristo risorto, invece di lodarla, non si sarebbe preoccupato di rimuovere queste falsità? (Martirio di Policarpo, XIV, 3). Si noti che si dà gloria alle tre Persone nell’unità della Trinità.

Aristide, filosofo di Atene, convertito al cristianesimo, scrive il suo trattato che è il più antico scritto apologetico arrivato fino a noi. Scrive tra il 124 -126 e di Gesù dice che i cristiani: <<riconoscono, infatti, il Dio creatore e artefice di tutte le cose nel Figlio Unigenito e lo Spirito Santo e non adorano altro Dio che questo>> (Apologia, 15,3).

Onorano Dio che è nel Figlio Unigenito e nello Spirito Santo.

E’ la Trinità nella sua forma e nella sua sostanza ed è evidente che sin dagli albori del cristianesimo si riscontra questo concetto: i cristiani riconoscevano Dio nel Figlio e nello Spirito Santo.


segue...

Adriano Baston
00lunedì 20 settembre 2010 01:00
A Diogneto, scritto risalente alla metà del secondo secolo, si afferma che Dio mandò suo Figlio <<come Dio e come uomo per gli uomini>>.

Infatti, è molto interessante apprendere ciò che spiega circa l’invio da parte del Padre del Verbo naturale: <<Non già mandando, come qualcuno potrebbe pensare, qualche suo servo o angelo (come credono i tdG!) o principe o uno di coloro che sono preposti alle cose terrene o abitano nei cieli, ma mandando lo stesso artefice e fattore di tutte le cose…che da lui tutto fu ordinato, delimitato e disposto, i cieli e le cose nei cieli, la terra e le cose della terra…Lui Dio mandò ad essi.

Forse, come qualcuno potrebbe pensare, lo inviò per la tirannide, il timore e la prostrazione? No, certo.

Ma nella mitezza e nella bontà come un re manda suo figlio, lo inviò come Dio e come uomo per gli uomini; lo mandò come chi salva per persuadere, non per fare violenza…Non vedi (i cristiani) che gettati alle fiere perché rinneghino il Signore, non si lasciano vincere? Non vedi, quanto più sono puniti, tanto più crescono gli altri? >>.

Se i cristiani avessero saputo che Gesù fosse stato un angelo, l’arcangelo Michele, cioè una creatura, avrebbero accettato tutto ciò se Gesù non fosse stato Dio a soffrire per il mondo allo scopo della salvezza?

E ancora sottolinea A Diogneto: <<Egli (il Padre) mandò il Verbo come sua garanzia perché si manifestasse al mondo. Disprezzato dal popolo, annunziato dagli apostoli fu creduto dai pagani. Fin dal principio (Giov. 1,1; IGiov. 2, 13-14) apparve nuovo ed era antico (Ap., 1,8) ed ognora diviene nuovo nei cuori dei fedeli.

Egli Eterno in eterno viene considerato Figlio>>. (VII, 1.7; XI, 1-5). Dove sono i presupposti per negare questa evidenza?

Tutto questo è significativo, dimostra in modo solare che la tradizione cristiana considerava Gesù Cristo, Dio, invocato per la salvezza del mondo sin dall’alba del cristianesimo. (Atti, 9: 13-17; 20:21).

Significativa è l’esperienza della Chiesa primitiva ed è illuminante ciò che accadde all’apostolo Paolo circa il suo incontro con Gesù.

A Paolo gli vien detto, secondo la narrazione di Atti dell’esperienza della sua conversione, questo: <<E ora perché indugi? Alzati, battezzati e lava i tuoi peccati invocando il suo nome (cioè Gesù Cristo, il Risorto)>>. (Atti, 22: 14-16): Più tardi l’Apostolo dirà: <<…a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome di nostro Signore Gesù Cristo>> (I Cor, 1:2). Da segnalare anche poi che per tre volte l’Apostolo prega il Signore per essere liberato della spina nella carne: <<Basta la mia potenza>>, cioè la “potenza” di Cristo (II Cor. 12: 8-10).

Che questa fosse la consuetudine dei cristiani di invocare il nome di Gesù lo rende chiaro anche il Vangelo di Giovanni in 14: 14: <<Se mi chiederete qualcosa nel mio nome lo farò >>.

I tdG che credono che non si debba pregare Gesù, perché creatura, si precipitano a togliere, a tutti i costi, di mezzo quello scomodo “mi” e il gioco è fatto.


segue...

Adriano Baston
00lunedì 20 settembre 2010 01:01
La loro cosiddetta armonizzazione non li giustifica, non li salva dall’anatema rivolto a coloro che aggiungono o tolgono dalla Parola di Dio.

E sono proprio gli stessi tdG a dircelo! <<Il libro di Rivelazione è ispirato da Dio. Chi oserebbe cambiare una parola che Dio stesso ha detto e trasmesso mediante colui che ora domina quale Re, Gesù Cristo? Una tale persona meriterebbe certo di non ottenere la vita e di subire le piaghe che devono abbattersi su Babilonia la Grande e sul mondo intero.>>.

I tdG si sono giudicati e condannati da soli!!!

Rifletta su queste parole i C.D. sui vari falsi apportati alle Scritture!!! (Rivelazione e il suo grande culmine, pagg. 318-319).

E’ ovvio quindi che nell’Apocalisse venga detto che << “L’Agnello che fu scannato è degno di ricevere la potenza… l’onore e la gloria... A colui che siede sul trono e all’Agnello sia no la benedizione e l’onore e la gloria e il potere per i secoli dei secoli…” e gli anziani caddero e adorarono>> (Apoc 5:12-14).

Padre e Figlio congiuntamente ricevono le stesse cose: onore, gloria e adorazione.

Significativa è la preghiera di Stefano, uno degli ellenisti convertiti, che rivolge a Gesù nell’atto del suo martirio in Atti 7:59-60. La preghiera che indirizza al suo Signore è, nella sostanza, la stessa che Gesù, sofferente sulla croce, rivolge al Padre, ma che ora il martire, inginocchiato e sofferente, rivolge al suo Signore, al Figlio dell’Uomo glorificato alla destra di Dio Padre: <<Signore Gesù, accogli il mio spirito>> (Atti, 7:59). <<Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito>> (Lc, 23: 46). <<Signore non imputar loro questo peccato>> (Atti, 7: 60). <<Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno>> (Lc, 23: 34).

Quel “Geova”, che a forza impongono a questa Scrittura, è come i cavoli a merenda, perché non possono giustificarla con nessun riferimento al V.T. in realtà la preghiera di Stefano non è altro che il pensiero preso dalle parole di Gesù prima di morire.

Stefano, quando supplica, non fa “appello” a una corte giudiziaria, come maldestramente hanno tradotto i tdG per far credere che non rivolge la preghiera al suo Signore, ma invece è una vera supplica al suo Signore.

Perché il martire Stefano avrebbe fatto “appello”, quando invece, coloro che vivono nella torre d’avorio, insegnano che non si debba pregare Gesù e nello stesso tempo dicono l’opposto alla fine del loro libro Rivelazione?: <<perciò, insieme a Giovanni preghiamo fervidamente: “Amen! Vieni, Signore Gesù”.>> cioè: “Maranà tha”.


segue...

Adriano Baston
00lunedì 20 settembre 2010 01:03
Ma considerato che, secondo la dottrina, Gesù è Michele Arcangelo, pregarlo, non è un atto idolatrico visto che bisogna rivolgere le preghiere solo a Geova?

Non si dimentichi neppure l’uomo che grida a Gesù supplicandolo con la preghiera: “Aiutami dove ho bisogno di fede”.

E proprio riguardo alla fede in Dio e la fede in Gesù che si tratta proprio della stessa fede, una fede che non è rivolta alla creatura, perché la differenza è molto chiara in tutto il Nuovo Testamento. (Mar. 9:24; Giov. 14:1).

Ci sono poi da rilevare le introduzioni delle lettere apostoliche che ciò che viene attribuito al Padre allo stesso modo si dice del Figlio Gesù Cristo cioè congiuntamente elargiscono “gloria e pace”: Rom. 1: 7; I Cor. 1: 3; II Cor. 1: 2; Gal. 1: 3; Ef. 1:2; Fil. 1: 2; I Tess. 1: 1; II Tess: 1: 1-2; I Tim. 1: 2; II Tim. 1: 2; Fil. 1: 3; Giac. 1: 1; II Giov. 1: 3.

Padre e Figlio sono distinti, ma non separati.

E tra l’altro, ed è evidente che a dirigere la via del cristiano è prerogativa divina come è scritto in I Tess. 3: 11-13 del Padre e del Figlio.

Da questa breve analisi è scaturita la consuetudine cristiana, che ci riferisce Plinio il Giovane, che i cristiani cantavano inni a Cristo come a <<un dio>>.

Perciò, non è possibile negare che fin dalle origini, prima ancora della stesura dei Vangeli, i cristiani pregassero e adorassero il Figlio di Dio.

Tutto ciò sarà rinnegato, anche quello nel quale credevano gli altri come Giustino Martire, Ireneo, Tertulliano, Origene, ecc., da Ario e dai suoi nipotini tdG!!!

Ario, sulla scorta della filosofia che concepiva il Dio assoluto, inaccessibile e inconoscibile, avesse bisogno di un intermediario per la creazione, cioè un collegamento tra l’eternità di Dio e il temporale al quale è soggetto il cosmo.

C’era in quel tempo proprio la discussione in quale parte poteva venire a trovarsi il Logos rispetto alla creazione.

Gli apologisti, nell’affrontare la cosmologia pagana, popolata di dei e semidei quali esseri intermedi, dovevano essere, pur utilizzando le categorie del neoplatonismo, stare in guardia per non contraddire la Scrittura e spiegare attraverso essa l’immagine del Logos che non fosse confuso con le varie divinità tipiche del mondo pagano che abitavano l’Olimpo.

Così: “L’opposizione tra Dio e il mondo è prospettata in tutta la sua portata.

Ma, appunto, partendo da questa opposizione, Ario, dopo Filone, postulò un intermediario creato tra Dio e il mondo.

Evidentemente, si tratta soltanto di un tentativo di colmare l’abisso, che non diminuisce affatto per questo.

S. Atanasio, nella sua polemica con Ario, si riferisce all’onnipotenza divina che è abbastanza grande per creare il mondo senza alcun intermediario, al contrario: <<senza ritardo viene ad essere tutto quanto è voluto da Dio>>.

Al dubbio circa il carattere ontologico, S. Atanasio risponde soltanto rinviando all’onnipotenza di Dio” (Il Paraclito, S. Bulgakov, EDB, 1987, pagg. 78,79).


segue...

Adriano Baston
00lunedì 20 settembre 2010 01:04
Ario, seguendo la filosofia platonica e quella aristotelica che Dio non poteva contaminarsi con la materia, concepì il Logos giovanneo come un intermediario della creazione, cambiando il nome del demiurgo platonico con quello di Gesù Cristo, sicché in questo modo si mette fuori dalla Tradizione Apostolica che vedeva nel Vangelo di Giovanni il vero Logos di Dio attraverso il quale, tutto viene all’essere e quindi è causa prima e fine della creazione.

Il Logos è il “nus”, il “discorso”, la “sapienza” e il “progetto” alto di Dio.

A differenza di Filone di Alessandria che vedeva nel Logos una potenza impersonale, Giovanni lo specifica come persona in contrasto alla scrittura di Prov. 8: 22 nella quale la “sapienza” viene personificata.

In quanto seguiva l’ordine divino, il Logos, secondo gli antichi Padri, perché uscito dal Padre in funzione della creazione, lo vedevano, secondo alcune loro espressioni non molto chiare, subordinato al Padre, ma mai insegnavano che in quanto alla sostanza il Logos fosse per natura diverso dal Padre o inferiore perché eternamente generato da lui.
Il generare di Dio non è lo stesso del generare umano, tra queste due realtà c’è un abisso, lo stesso abisso che esiste tra la divinità e l’uomo.

Lo sbaglio di Ario e quello dei tdG è quello di considerare il termine ‘generare’ con le categorie umane, incapaci, spesso, di separare il letterale dalla metafora.

Se il Logos fosse stato una creatura come le altre, anche se ‘superiore per i doni ricevuti’, poteva, come creatura per quanto grande fosse, dire: <<Io sono nel Padre e il Padre è in me>>? O << Io e il Padre siamo uno>>? Oppure l’atemporale: <<Io Sono>>? <<I tuoi peccati ti sono perdonati>>? <<Abbattete questo tempio (il suo corpo), io lo risusciterò in tre giorni>>? <<Chi ha visto me ha visto il Padre>>? Quale creatura può mai affermare: <<Io sono la verità>>? <<Io sono la vita>>?

E’ evidente allora che Ario parlò di un altro Logos, non di quello immanente del quale parlarono i Padri; il suo subordinazionismo radicale non aveva nulla a che fare con quello moderato espresso dai Padri non molto chiaramente.

Piuttosto della “verità biblica” professata da Ario, come afferma la rivista in questione citata all’inizio, si trattava piuttosto di una “verità” che trova la sua origine sostanzialmente nella filosofia platonico-aristotelica spacciata oggi dai suoi successori tdG come “verità” riesumata dopo 1650 anni!!!


segue...

Adriano Baston
00lunedì 20 settembre 2010 01:06
Gli antichi Padri, che gran parte provenivano dal mondo pagano,dovettero fare un grande sforzo per farsi capire dal mondo che li circondava e non sempre sono riusciti ad essere chiari.

Il loro sforzo si concentrava nella ricerca dei termini giusti per rispondere, specialmente agli intellettuali pagani affinché non fossero accusati, quando parlavano del Logos come Dio, di politeismo.

Dovettero alquanto sforzarsi di trovare le argomentazioni che avevano lo scopo di rispondere alle varie credenze cosmologiche che riguardavano il Dio supremo e gli dei inferiori che venivano posti di fronte alla materia, alla sua formazione e plasmazione.

Dice, infatti, Prestige al riguardo sulla relazione tra cristianesimo e filosofia greca: <<Non nego che certe idee introdotte dall’esterno abbiano esercitato un’influenza, tuttavia ritengo che si giunse alla dottrina della Trinità attraverso un autentico processo razionale e non per via di un sincretismo tra cristianesimo e paganesimo.>> (G. Prestige, Dio nel pensiero dei Padri, EDB 1962, pag. 8).

Facendo uso proprio della filosofia, Ario con il suo “dio inferiore” è caduto nel politeismo.

Il cristianesimo, sotto alcuni aspetti, è debitore alla filosofia del filosofo ebreo Filone di Alessandria con la differenza che il Logos di Giovanni si è fatto “carne”.

Senza il sostegno della filosofia di Filone diffusa nell’ambiente alessandrino, e su questo terreno cresceranno gli stessi Padri, non avrebbero potuto concepire il Logos come eternamente immanente nel Padre in vista della creazione come essere distinto, ma a lui unito.
E’ la stessa immanenza che si riscontra nel N.T. molto diffusa specialmente nel Vangelo di Giovanni: << Il Padre è in me e io sono nel Padre>>.

Sia la teologia del N.T. e quella che seguirà gli antichi Padri, quando si tratta di figlio di Dio non la si intende come figlio nel senso umano del termine come credeva Ario e oggi i tdG, ma alla maniera divina.

Analogamente quando la scrittura dice che Gesù è il Figlio dell’uomo non significa che egli sia figlio di un uomo, ma vuol dire che il Logos assume la natura umana vera e propria. (Giov. 1: 14; Eb. 2: 14).

Sulla cristologia sono stati trascurati in quel tempo aspetti significativi sulla divinità di Cristo, anche se col tempo, con il progredire degli studi, alcune di essi appartenenti a quella lingua del mondo di allora sono stati superati perché inadeguati alla luce delle ricerche moderne molto più ricche di possibilità rispetto a quelle antiche.

Comunque nella sostanza la teologia non è cambiata e la Tradizione Apostolica è stata conservata per la quale nessun argomento ariano, per quanto possa essere sofisticato, la può vanificare. Essa dimostra di essere la vera protagonista della sconfitta dell’arianesimo di ieri e di oggi.


segue...

Adriano Baston
00lunedì 20 settembre 2010 01:08
Il C.D. afferma ancora riguardante la scrittura di Giov. 1: 18: <<I testimoni di Geova non negano la divinità di Gesù, il fatto che sia un dio>>.

Forse perché gli ariani lo negavano?

Si noti, poi, con quanta superficialità e leggerezza affrontano le parole di Tommaso: <<I testimoni di Geova non sono turbati dalle esclamazioni di Tommaso, riportata in Giov. 20: 28 “Mio Signore e mio Dio”>> (notate questa volta il “Dio” maiuscolo che non sono riusciti a eliminare!) …Tommaso forse usava la parola “Dio” come aveva fatto nell’antichità Manoa: (Giudici 13: 20-22)>>.

Intanto diciamo: forse il loro maestro Ario era turbato dalle parole di Tommaso rivolte a Cristo?

Pur di negare la divinità di Gesù i tdG le escogitano tutte!!!

Ora dal ’cilindro’ tirano fuori Manoa!

Stando alla loro spiegazione, davvero Tommaso avrebbe agito come Manoa?

Davvero c’erano in quelle parole il pensiero rivolto a quell’antico evento?

Ma le bugie hanno le gambe corte.

In realtà Tommaso si riferiva bene a un altro discorso, nella sua bocca troviamo le stesse identiche parole della versione dei LXX che l’orante rivolge a Dio, ma che ora le stesse Tommaso le rivolge al suo Signore e Dio: <<Ho Theos mu kai ho kurios mu>>, cioè “Dio mio e mio Signore”.
Pertanto, per Tommaso Cristo era “Dio” (maiuscolo) con tanto di articolo determinativo “il” (greco) (Salmo 35:23)!

Di conseguenza, secondo la TNM, chiama Gesù “Geova” (Signore) (Sal. 35: 21-24).

Vogliono forse dire con il discorso di Manoa che Gesù nella risurrezione è un angelo, l’arcangelo Michele?

C’è da aggiungere che nel nostro mondo siamo abituati ad esclamazioni come quando diciamo “Dio mio”; fa parte della nostra cultura.

Ma nel mondo ebraico-cristiano antico non si usava così, che è del tutto improprio, trasferire ciò in quel mondo lontano espressioni simili perché agli Ebrei era proibito di usare il nome di Dio invano e pertanto non è possibile che l’espressione di Tommaso contraddica la cultura del suo ambiente.

Non sorprende la loro analisi teologica quando affermano che: <<…non è una sorpresa leggere in Ebrei 1: 6 che gli angeli sono invitati ad “adorarlo”, a “rendergli omaggio”>>.

Neppure per Ario costituiva una sorpresa!


segue...

Adriano Baston
00lunedì 20 settembre 2010 01:09
Allora vien detto il falso, e c’è pure la malafede, quando dicono che non si deve adorare Gesù, quando la stessa Torre di Guardia non fa nessuna distinzione tra “adorare” e “rendere omaggio”.

Il “proskineo” è usato in Matteo da parte di Gesù e anche in Eb., 1:6. Perché i tdG in quest’ultima scrittura hanno tradotto “rendere omaggio”? Semplice! Per motivi settari! Gesù non deve essere Dio!

Un’ulteriore osservazione su un’altra loro allusione: La Jerusalem Bible: «... in Ebrei 1:6, rimanda nelle note a margine a Deuteronomio 32:43 (Settanta) e Salmo 97:7, dove le stesse parole sono rese rispettivamente “rendergli omaggio” e “prostrarsi”.

Perché questa Bibbia cattolica è incoerente? Evidentemente per motivi trinitari>>.

Giusto, perché prostrarsi e rendere omaggio a Cristo significa riconoscerlo come Dio, come dice il testo.

Ma perché la Bibbia cattolica qui citata dovrebbe essere incoerente quando gli stessi testimoni non distinguono tra “adorare” e “rendere omaggio”? (vedi, per questo, anche come supporto, la nota in calce della TNM su Ebr 1:6).

E’ sintomatico che “prostrarsi” o “rendere omaggio” ad un uomo non è la stessa cosa che farlo nei confronti del Figlio di Dio.

Non trovo per niente strano che dicano che i trinitari adoperino questi termini: “adorare” e “rendere omaggio”, per affermare la dottrina della Trinità; quindi su questo, allora, i tdG hanno visto bene, ma nello stesso tempo negano questa realtà!
Pertanto, è pura ipocrisia quando si fanno le distinzioni tra “adorare” e “rendere omaggio” come è evidente dalla traduzione del 1963 e quella del 1967 che traducevano “adorare” cambiando nel 1987 con “rendere omaggio”.

Questi sono termini trinitari, lo dicono i tdG!

In quanto, poi, alla Scrittura che afferma che Dio è capo di Cristo è una questione di relazione che non pregiudica la sua divinità che condivide col Padre e non lo rende diverso.

Analogamente l’uomo è capo della donna, ma non significa che esso sia di un’altra natura rispetto a quella della donna.

Cosicché, anche Cristo è capo dell’uomo per relazione e ruolo, ma che, in quanto uomo, è della stessa natura.

Uno dei passi usati come cavallo di battaglia dai tdG per giustificare la loro dottrina sull’inferiorità di Cristo rispetto al Padre è I Cor. 15:24-28.

La risposta la lascio a uno che di Bibbia se ne intende W. Pannenberg!: “Nel trasferimento e nella riconsegna della signoria del Padre al Figlio e dal Figlio al Padre riesce percepibile una reciprocità di rapporti che manca nell’idea di generazione.


segue...

Adriano Baston
00mercoledì 22 settembre 2010 00:03
Trasferendo la signoria al Figlio, il Padre si rende dipendente dal fatto che è il Figlio che lo glorifica e che attraverso il compimento della sua missione ne realizza la signoria.

L’autodistinzione del Padre dal Figlio non si esprime dunque solo nel fatto che egli genera il Figlio, ma anche perché <<ha consegnato a lui ogni cosa >>, per cui il suo regno, e quindi pure la sua stessa divinità, ora dipendono dal Figlio.

In altre parole, la signoria, il regno del Padre, non è così esterna alla sua divinità da poter essere Dio anche senza il suo regno.

Anche se il mondo, in quanto oggetto della sua signoria, non è indispensabile alla divinità di Dio ed esiste perché originato dalla libertà creatrice di Dio, vero è anche che l’esistenza di un mondo non è conciliabile con la divinità di Dio senza la signoria che Dio stesso su di esso esercita.

Proprio per questo la signoria appartiene alla divinità di Dio.

Essa trova la propria collocazione già all’interno della vita trinitaria di Dio, nella reciprocità della relazione fra il Figlio che si sottomette spontaneamente alla signoria del Padre e il Padre che a lui trasferisce la propria signoria.” (Teologia Sistematica, I vol. pagg. 352-353; Queriniana, Brescia, 1990).

Gli studiosi, che hanno analizzato il problema ariano di quel tempo, sono molti e, per ulteriori delucidazioni, citeremo altre parti significative.

Il dotto studioso, esperto di arianesimo, M. Simonetti, tra l’altro dice: <<Ario non accettava il concetto origeniano, ormai radicato nella Tradizione alessandrina, per cui il Cristo era generato da Dio con generazione eterna: in tal senso il Figlio aveva nel Padre il principio, l’arché ontologica, ma era privo di arché cronologica>>.

Sul fondamento filosofico, sul quale poggia la dottrina del subordinazionismo radicale di Ario del Logos al Padre, lui e i suoi seguaci volevano giustificarlo con gli scritti di Origene, in quelle parti dove egli affermava che il Logos trovava il suo principio nel Padre e pertanto lo studioso spiega: <<…E ci porta in questo senso anche l’impostazione filosofica sottesa dalla dottrina ariana, di fondamentale derivazione platonica: qualche spunto di origine aristotelica va spiegato tenendo presente le tendenze sincretistiche delle correnti filosofiche dell’epoca e soprattutto la presenza di influssi aristotelici nel platonismo di allora soprattutto riguardo alla logica.


segue...

Adriano Baston
00mercoledì 22 settembre 2010 00:05
E la radicalizzazione del moderato subordinazionismo origeniano operata da Ario sulla scia di Luciano va spiegata tenendo presente, oltre le esigenze della lotta contro i monarchiani, il probabile influsso dello schema filosofico diffuso in quel tempo, che collocava come intermediario fra il sommo Dio (monade) e il mondo, un secondo dio (diade) nettamente inferiore al primo>> (La crisi ariana nel IV secolo, Institutum patristicum <<Augustinianum>>, Roma 1975, pagg. 47-55). E’ proprio su questi presupposti filosofici che Ario ha impostato tutta la sua dottrina sul Logos.

Un altro studioso, che ha affrontato lo studio della filosofia di quel tempo e sulla quale poggiano gli insegnamenti di Ario, dice; <<In risposta a Sabellio, Ario si richiamava alla nozione di un principio definitivo, semplice in se stesso ma comprendente ogni cosa, la “Monade” che, nel linguaggio del neoplatonismo era “oltre il sapere e oltre l’esistenza”.

A questo principio egli fa risalire la genesi di tutte le creature, compresa quella del Logos che è in tal modo descritto come “di un’altra sostanza” diversa da quella del Padre di cui si può dire che “vi era un tempo in cui non esisteva”…La sua divinità era perciò non sostanziale, ma acquisita dal merito…In altre parole esso possedeva la tipica essenza intermediaria” della teologia neoplatonica, né “vero Dio” né vero uomo , attraverso lo Spirito che si credette fosse a sua volta da lui generato, un “collegamento” tra i due>> (Cristianesimo e cultura classica di C. N. Cochrane, EDB 1969, pagg. 304-305).

Ecco dove affondano le radici della dottrina del Logos invocata dai tdG come, “la verità biblica” che Ario avrebbe esposto a Nicea!

Il discorso filosofico ariano è pure reso chiaro anche dallo studioso Kelly che lo spiega in questa maniera: “Ci si può domandare in che senso, secondo gli ariani, il Figlio potesse essere chiamato Dio o era realmente Figlio di Dio.

Essi rispondevano che si trattava di una realtà di una forma di omaggio. <<Anche se è chiamato Dio>>, scriveva Ario, <<non è veramente Dio se non in quanto partecipe della gloria (metoke)…karito (…). E anche, egli è chiamato Dio soltanto di nome>>.

Analogamente è per grazia che egli è chiamato Figlio.” (John N. D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini, EDB 1984, pag. 282). (il grassetto è mio)

Da quanto precede, secondo le analisi storiche condotte dagli studiosi di quel periodo, non è altro che lo specchio, nella sostanza, della stessa dottrina filosofica ariana professata dai tdG. A fronte di quanto si è rivelato dalle ricerche, possono i tdG negare che alla fine si tratta dello stesso loro vocabolario? Poteva il pensiero essere meglio descritto?


segue...

Adriano Baston
00mercoledì 22 settembre 2010 00:07
La crisi ariana e Atanasio difensore della Tradizione

Il IV secolo fu davvero un periodo per la Chiesa, molto sofferto; circolavano diverse dottrine sulla natura del Logos, spesso in contrasto tra di loro e, la Chiesa, fedele alla Tradizione, si sentiva in dovere di mettere ordine e chiarire una volta per tutte quella che era la vera dottrina da sempre professata iniziata dagli apostoli che avevano detto: << …ormai le tenebre passano e già risplende la luce>> (I Giov. 2: 8).

I tdG affermano il contrario: <<La luce sta passando e già stanno arrivando le tenebre>> con la morte dell’apostolo Giovanni che dà luogo, secondo loro all’apostasia.

Ma la luce della verità, per sua natura, non poteva spegnersi con la morte di Giovanni, come falsamente affermano i tdG che il mondo sarebbe precipitato nelle tenebre.

Che senso avrebbero allora le parole dell’apostolo che <<la luce risplende già>>? Essa continuò a risplendere fino a Nicea e dopo e certamente continuerà nei millenni futuri.

Tutti i gruppi religiosi, che combattevano la Chiesa cristiana che era nata per illuminare il mondo con la sua luce sulla consustanzialità del Figlio con il Padre, furono inghiottiti dalle tenebre.

La propaggine ariana dei tdG, come avvenne per gli altri apostati, come profetizzato dalle Scritture, Marcione, Valentino, Montano, Ario, ecc.…la cui esistenza sembrava durare nel tempo, è pure destinata all’oblio, è solo questione di tempo.

E così accadrà per tutti i gruppi che in seguito sorgeranno in contrasto dottrinale con la tradizione apostolica; anche loro saranno sciolti e la dottrina che professano sarà destinata al nulla.

Si sono presentati come portatori di luce, ma gli apostati, per la natura della loro dottrina come dimostra la storia, si tratta di una luce ingannevole che non reca nessun beneficio all’uomo.

Al Concilio di Nicea il più grande avversario di Ario fu Atanasio che confutò in modo definitivo la sua dottrina riguardante il Logos, la “prima creatura di Dio” e lo fece molto di più profondamente di quello che a sua volta condusse il vescovo Alessandro di Alessandria.

Costantino allora ordina il Concilio perché preoccupato per i disordini che erano sorti nell’impero a causa della dottrina che Ario aveva diffuso e che di conseguenza aveva diviso l’impero.

Gli ariani, mettendo in dubbio che la natura del Figlio era uguale a quella del Padre, costituivano il tentativo di distruggere la Trinità di Dio in cui da sempre la Chiesa su di essa aveva poggiato il suo credo.


segue...

Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 05:27.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com