Tra censura politica e fuga dalla realtà:
perché la tv non racconta la crisi economica
Pubblicato da Riccardo Spiga alle 09:34
La vicenda degli operai dell'Alcoa di Portovesme, in Sardegna, è emblematica dell'approccio dell'informazione televisiva nel raccontare la crisi economica: poca, pochissima cronaca dei tanti casi di fallimenti aziendali e conseguente perdita di occupazione e molto chiacchiericcio politico con contorno di dati statistici, quasi sempre contraddittori e incomprensibili; salvo poi accorgersi delle persone in carne ed ossa quando i lavoratori inscenano qualche protesta clamorosa, come quella di venerdì scorso degli operai sardi, che hanno bloccato l'aeroporto di Cagliari per alcune ore. Altrimenti, silenzio totale o quasi.Del resto le dichiarazioni, anche le più allarmanti, di politici e sindacalisti, o i dati sulla disoccupazione, sono in grado di preoccupare infinitamente meno dei volti disperati dei lavoratori che si ritrovano da un giorno all'altro senza un'occupazione, senza un futuro e con mutui da pagare e figli da far studiare.
E la tv, con le solite eccezioni come Annozero, pare proprio che si sia data il compito di rassicurare il pubblico e di nascondere gli aspetti più tragici della recessione, oscurando le lacrime e la rabbia di chi si ritrova buttato in mezzo a una strada senza più lavoro e dignità.
I motivi di questa linea editoriale, seguita pressoché da tutta l'informazione del piccolo schermo, sono principalmente due.
Da un lato c'è senza dubbio la solita acquiescenza nei confronti del governo, la volontà di non disturbare il manovratore, che di suo non fa che accusare di essere anti-italiano chiunque non condivida il suo ottimismo;
dall'altro lato però c'è una motivazione diversa, che in un certo senso risponde a un'aspettativa del pubblico.
Un pubblico che di fronte alle "brutte cose" che raccontano i telegiornali spesso cambia canale, perché preferisce perdersi dietro il mondo di plastica dei reality e delle veline piuttosto che aprire gli occhi di fronte a una realtà sempre più dura e preoccupante.
Una realtà che, appunto, non si vuole conoscere, che ci si rifiuta di analizzare, preferendole di gran lunga il sogno dozzinale e fatuo dello show in salsa televisiva.
Ma quando succede questo, quando le persone fuggono dalla realtà, allora bisogna cominciare a preoccuparsi:
perché significa che più o meno inconsciamente si sta radicando l'idea che non ci sia niente da fare, che informarsi non serva a nulla perché ci si sente impossibilitati a mobilitarsi e intervenire, perché la risoluzione dei problemi è delegata in bianco a un classe politica per la quale, tra l'altro, non si nutre alcuna fiducia.
In parole povere quando al dramma degli operai sopra i tetti che difendono il loro posto di lavoro si preferiscono le lacrime finte dei reality, significa che si è completamente persa la speranza che qualcosa, fuori dalla porta di casa, possa cambiare grazie al proprio impegno.
E allora non resta che drogarsi di tv. Una tv peraltro che pare felicissima di assecondare questo desiderio di oblio e di distacco dal reale.