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la Germania investe sul solare e ottiene risultati

Ultimo Aggiornamento: 09/03/2010 13:56
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09/03/2010 12:20
 
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dalla puntata di domenica scorsa di Presa Diretta ( intitolata : sole, vento, alberi ) si è saputo che:


l'emissione di gas serra in Germania, dal 1990, è diminuita del 18% ; mentre in Italia è aumentata del 10% ;

la Germania vuole arrivare al 20% nel 2020 e ciò creera 700.000 posti di lavoro! ma un lavoro che crea benessere; ieri, a Che Tempo che Fa, un vescovo ha detto che il lavoro dell'uomo non deve essere una cosa finalizzata al mero guadagno, ma soprattutto un qualcosa che contribuisca a migliorare il mondo in cui viviamo; un qualcosa che ci renda simili a Dio nel creare un mondo migliore. In questo senso il lavoro nobilita l'uomo.

Germania, Spagna, Belgio e Danimarca hanno deciso di abbandonare il nucleare; l'austria lo ha abbandonato dal 1978.

preciso che la Germania non è un paese di sinistra; quindi l'abbinamento Ecologista=Comunista è errato;

la cancelliera Merkel ha tenuto un discorso in cui ha ammesso che, fino a 10 anni fa non ci credeva; ma ora le tecnologie ci sono! con centrali ad energia eolica stanno producendo carburante a idrogeno per le auto

i pannelli solari sono in silicio; sono riusciti a rendere ancora più sottile la lastra ed il costo sarà abbattuto quindi di 2/3; per questa nuova scoperta sono arrivati ricercatori da spagna, francia, USA, cina, giappone e molti altri; ma non gli italiani

i pannelli solari producono elettricità anche quando il cielo è nuvoloso; in un anno, in Germania, un complesso di pannelli solari lungo 2000 metri e largo 600, ha prodotto 34GW di potenza e fatto produrre 23000 tonnellate di anidride carbonica in meno. questo complesso è stato costruito in soli 2 anni; una centrale nucleare richiede 15-20 anni ( anche 30 considerando che siamo in Italia ) per essere costruita.

in Italia quel complesso avrebbe prodotto il doppio dell'elettricità perchè abbiamo un clima più caldo di quello tedesco.

a proposito di riciclo; dicono che i pannelli non sono riciclabili; e le scorie nucleari e le centrali stesse, lo sono ? dismettere una centrale nucleare di vecchia generazione costa 40 miliardi di dollari;

Obama sta investendo sul nucleare, ma su quello di 4° generazione; quello senza scorie; costerà 8 miliardi di dollari una centrale. E in Italia quale si farà?

in Italia, la Basilicata ha un sacco di terreni non utilizzati.

ecco la prima delle 9 parti della puntata di Presa Diretta

www.youtube.com/watch?v=HwsoOdD_C30



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http://www.no1984.org
non comprare PC di tipo DRM o TC ( Trusted Computing ); Come Iphone2 è controllato da Apple al punto che, da remoto ti può disinstallare i programmi che ci installi, così sarà anche per Windows Vista e successori; per evitarlo, bisogna passare a sistemi open source.

La buona notizia è che Dio esiste; quella buonissima è che quindi c'è speranza per tutti quelli che lo vogliono
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09/03/2010 13:43
 
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Caro alenis,
Ormai lo ripeto da tempo.
Il popolo italiano è incapace di ribellarsi

Infatti la puntata di  Presa diretta, non ha fatto alto che rispolverare un qualcosa che già *"si (doveva) sapere".

Riuscira a far svegliare gli italiani ?

*
I Moratti producono elettricità a partire dagli scarti della lavorazione del petrolio. Per legge sono una fonte rinnovabile di energia, che lo Stato sovvenziona con i nostri soldi. Ecco come trasformare un rifiuto speciale in un ottimo affare.


[AltraEconomia.it]
I soldi per comprare i giocatori dell'Inter Massimo Moratti li prende da qui, da questo piccolo paese sulle coste sarde. Ma non sentitevi esclusi: anche voi contribuite a investire sulla squadra. Ogni volta che pagate la bolletta della luce. Sarroch è in provincia di Cagliari. Vi sorge lo stabilimento di raffinazione della Saras, la società di famiglia dei petrolieri Moratti, fondata nel 1962 da papà Angelo (già presidente dell'Inter). Dal satellite si vede che l'impianto è di gran lunga più vasto dell'agglomerato urbano. È sulla costa, per permettere l'attracco delle petroliere: un quarto del petrolio trasportato via nave nel mondo passa di qua, dal mare della Sardegna. È la più grande raffineria di petrolio del Mediterraneo per capacità produttiva: 15 milioni di tonnellate l'anno di petrolio grezzo trattato, che per la maggior parte viene da Libia e Mare del Nord. Tra i clienti Shell, Repsol, Total, Eni, Q8, Tamoil.

I conti di Saras sono ottimi: 5,5 miliardi di euro di ricavi nel 2005, un bel più 48% rispetto al 2004, e utili per 332 milioni (ancora: più 47% sul 2004). E nei primi mesi del 2006 le cose marciano anche meglio, con risultati netti che raddoppiano rispetto allo stesso periodo del 2005. Saras dà lavoro a 1.600 persone. Ma il vero gioiello dell'azienda sta nell'angolo sudorientale dell'impianto: è la centrale elettrica Sarlux. La Sarlux è una società posseduta al 100% da Saras. La centrale produce energia elettrica bruciando gli scarti di lavorazione che la Saras produce raffinando il petrolio. Questo scarto si chiama tar, detto anche "olio combustibile pesante", una pece semi solida che potrebbe essere utilizzata per fare bitume, e che per essere bruciata viene gassificata e irrorata di ossigeno. È un combustibile altamente inquinante, molto più del metano di solito utilizzato nelle centrali elettriche. L'impianto brucia 150 tonnellate di tar l'ora. Oltre a CO2, ossidi di azoto ed emissioni varie, a fine anno la combustione lascia in dote 1.400 tonnellate di scarti tra zolfo e concentrati di metalli, come il vanadio e il nichel.

L'energia prodotta dalla centrale Sarlux viene tutta comprata da un ente pubblico, il Gestore del sistema elettrico (Grtn), che la paga il doppio di quanto varrebbe sul mercato. Questo accade perché per la legge italiana l'impianto Sarlux è un impianto "assimilato" alle fonti rinnovabili, e per tanto va incentivato come queste ultime. Come sia possibile che una centrale che brucia scarti della lavorazione del petrolio sia pagata come fosse un impianto a energia solare lo dobbiamo al famigerato provvedimento Cip6 (comitato interministeriale prezzi) del 1992. All'epoca il governo decise di agevolare la costruzione di impianti rinnovabili garantendo di comperare (attraverso Enel) elettricità a un prezzo più alto, il doppio e in alcuni casi il triplo, e destinando alla collettività, attraverso le bollette, l'onere del sostentamento dell'energia pulita. Ma poi allargò questa opportunità anche a un numero limitato di altre centrali che utilizzavano fonti che definì "assimilate"e che di rinnovabile non avevano nulla: per la precisione gas, carbone, tar, rifiuti.

Da allora gli italiani pagano anche il 10% in più in bolletta pensando di contribuire alla diffusione di energia pulita. Invece l'0% di quei contributi finisce a impianti come quello dei Moratti. Per il 2005 parliamo di un totale di oltre 3,1 miliardi di euro (erano 2,3 miliardi nel 2004). Oggi il meccanismo Cip6 è stato superato da quello dei certificati verdi nato nel 1999, che non prevede fonti "assimilate", ma le convenzioni stipulate nel passato sono ancora per la maggior parte attive. Sarlux non è l'unica a trarre vantaggio da questa situazione. L'elenco dei beneficiari non è pubblico, ma sappiamo che metà della torta Cip6 finisce a Edison, che appartiene ai francesi della Edf. Anche altri petrolieri, come i Garrone di Erg o i Brachetti Peretti di Api godono delle incentivazioni con impianti simili, che producono cioè elettricità bruciando scarti della lavorazione del petrolio.

Ma l'impianto dei Moratti ha qualche particolarità interessante: la prima, è che è uno dei più grandi, con i suoi 575 megawatt di potenza e 4 miliardi di kilowattora prodotti l'anno. La seconda particolarità è che è tra gli ultimi ad aver avuto accesso agli incentivi, visto che la convenzione è partita l'8 gennaio 2001. Tra l'altro la convenzione di Sarlux dura 20 anni, cinque in più rispetto a quanto stabilito dal provvedimento Cip6. Stando alle analisi della società, il prestito di oltre un miliardo di euro stipulato nel 1996 con Banca Intesa e Banca Europea per gli investimenti per costruire l'impianto dovrebbe essere ammortizzato entro il 2011. Poi saranno dieci anni di guadagno netto. Un paradosso ulteriore è che più cresce il prezzo del petrolio, lo stesso che i Moratti vendono pochi metri più in là, maggiore è il contributo che lo Stato riconosce all'impianto Sarlux in quanto fonte "assimilata" alle rinnovabili. Sarlux è strategica per i Moratti, tanto che anche nella fase di approvvigionamento del petrolio grezzo si tiene conto delle esigenze della centrale. È vero, rispetto al fatturato del gruppo i ricavi equivalgono solo a un decimo, ma gli utili di Saras sono per oltre il 36% riconducibili alla centrale elettrica (122 milioni di euro su 332). Senza gli incentivi produrre elettricità costerebbe moltissimo, molto più di quanto si guadagnerebbe vendendola (solo per l'ossigeno impiegato per la combustione Sarlux spende 50 milioni di euro l'anno). E se non vengono bruciati, gli scarti di lavorazione si tramutano, da fonte di guadagno, in un costo, perché sono rifiuti speciali e vanno smaltiti adeguatamente.

A maggio Massimo e Gian Marco Moratti, rispettivamente amministratore delegato e presidente di Saras, hanno messo in vendita le azioni della società che detenevano a titolo personale, facendo sbarcare l’azienda in Borsa. Oggi il 40% di Saras è in mano al mercato. I fratelli avranno comunque il controllo dell’azienda attraverso la finanziaria di famiglia Angelo Moratti s.a.p.a., che mantiene il 60% delle azioni. La vendita di azioni ha fruttato ai fratelli poco meno di un miliardo di euro ciascuno. Immaginiamo che parte di questi soldi verranno investiti su qualche buon giocatore. Le azioni, vendute a 6 euro l'una, per lotti minimi di 600 azioni, sono andate a ruba. Il giorno dopo il debutto a piazza Affari, però, il titolo è crollato del 10%. A fine luglio chi ha investito in Saras perdeva il 20% (un'azione era quotata 4,8 euro). Per gli 80 mila investitori che hanno creduto in Saras non resta che sperare nel campionato.

TheSteve
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09/03/2010 13:54
 
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Ecco chi ha fatto i debiti.
E li paghiamo noi

Mar, 29/09/2009  

Simonetta Lombardo 
 

CLIMA COPENAGHEN

Edison,
Enel,
Eni,
Saras e
Tirreno Power.

Sono le cinque aziende che, sforando i limiti delle emissioni, devono correre ai ripari.

Ma il governo pensa un aiuto con i nostri soldi.

Ottocentomila euro di multe europee per l’Italia che non rispetta i limiti di emissione?

Errore e, soprattutto, voluta disinformazione.

Si tratta di soldi che una parte del sistema industriale deve destinare al pagamento dei crediti di emissione. In altre parole, denaro che va a comprare “licenze” di emissione di gas serra presso le industrie, italiane o europee, che hanno diminuito oltre i tetti fissati per legge il loro consumo di energia e quindi la produzione di anidride carbonica. Se questo è il meccanismo, le industrie che si stanno facendo del male - e lo stanno facendo ai consumatori - hanno nomi e cognomi precisi.

Si chiamano Edison, Enel, Saras, Eni e Tirreno Power.

Per legge, nel 2008 Edison poteva sparare in aria poco più di 14 milioni di tonnellate di CO2 e altri gas che fanno alzare la febbre del pianeta. Ne ha prodotte quasi 23 milioni.
 
Enel era riuscita a patteggiare per se stessa, con tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni, una quota di emissioni di 42,4 milioni di tonnellate e invece ne immette in atmosfera esattamente due milioni in più, 44,4 milioni di tonnellate.

Saras di Gian Marco Moratti (raffine-ria di Sarroch, in Sardegna) aveva un permesso per 2,6 milioni di tonnellate, mentre ne emette più del doppio, 6,2 milioni:

Eni sfora di un milione di tonnellate (7,8 contro 6,7) e

Tirreno Power di sole 300mila. «Complessivamente le industrie italiane hanno superato i permessi di emissione per 9 milioni di tonnellate di CO2, ma bisogna fare dei distinguo», spiega Francesco Tedesco, responsabile campagna Energia e clima di Greenpeace che ha reso nota la lista dei pirati.
 
«Lo sforamento si deve solamente ai settori del termoelettrico e della raffinazione. Altri settori, invece, hanno rispettato i tetti», anche se - probabilmente a lavorare è stata più la crisi che gli impegni in efficienza energetica. A far crescere la bolletta che il sistema industriale italiano dovrà pagare, insomma, sono aziende che non hanno rispettato le regole in primo luogo quelle che hanno utilizzato e - complice il governo Berlusconi - ancor più utilizzeranno il carbone.

La gran parte della produzione di anidride carbonica dell’Enel è dovuta alla centrale elettrica di Brindisi, un mostro che sforna 15 milioni di CO2 l’anno, un terzo della produzione dell’azienda. A luglio, il ministero dell’Ambiente ha dato il via libera alla trasformazione a carbone della centrale di Porto Tolle.
 
Così, il tetto di emissioni che nel 2008 era complessivamente di 211 milioni di tonnellate per i sei settori interessati dalla direttiva europea (e se ne sono prodotte 220), nel 2009 scende a 203.

Su questo il governo italiano chiede “l’aiutino” ulteriore, proclamando di essere legato a un «accordo ingiusto », come ha ripetuto ieri il ministro Stefania Prestigiacomo rispondendo alle domande di Terra a margine di un convegno.

«Il sistema delle emission trading - sostiene Prestigiacomo - ha dato più quote a chi inquinava di più e non a chi, come noi, era un Paese virtuoso ».

Ma non dovrebbero pagare le imprese e non il “Paese”?

«C’è la possibilità che il governo intervenga con un fondo».
 
Oltre che in bolletta, pagheremo con le tasse le inadempienze dei produttori di elettricità e petrolio.
[Modificato da ®@ffstef@n 09/03/2010 13:56]
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