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13/06/2009 22:16 | |
Una mattina del 1980, mentre cercavo disperatamente di assumere una postura, più possibile soglioliforme, con l’intero busto, le braccia e la testa spalmate sul mio banco, all’ultima fila della classe di liceo scientifico, intanto, farfugliando, a voce spenta, una preghiera, piena di ripromesse, all’indirizzo di un dio sconosciuto, perché rendesse invisibile il mio nome sul registro della professoressa di filosofia, scoprii che quel dio sconosciuto doveva coltivare un sadismo non comune, se permise alla professoressa medesima, di chiamare nettamente il mio nome per invitarmi alla cattedra a conferire. Andai e dissi che purtroppo non avevo potuto studiare l’assegnato perché dovevo preparare il compito di matematica. Lei fece, prima di darmi l’“impreparato”, solo una domanda: <Trova sul libro cosa stiamo studiando…> Allora, mentre giravo le pagine lentissimamente e le mie facoltà auditive raggiunsero un acume mai più eguagliato, sentii sovrapposte, e pure sfasate, flebilissime onde sonore, esalarsi dal gruppo dei miei amici asini e colsi, così un primo e un secondo monosillabo: Ge, che, sce…allora proruppi in un nome: Goch! <Sì, oggi dovevamo portare Goch! La professoressa mi guardò con rabbia commiserante e disse: <Sono 15 giorni che stiamo parlando in classe di Goethe…e tu…a posto, vai a postoooo! Fortuna volle che il 23 Novembre di quell’anno un potentissimo e distruttivo terremoto avvenuto nella mia provincia, l’Irpinia, interruppe per due o tre mesi il regolare svolgimento delle lezioni così l’anno scolastico fu abbuonato a tutti. La colpa di quell’avversione alla storia del pensiero, alla filosofia risale, però a un anno e mezzo prima, quando fu spiegato, dalla stessa insegnante il pensiero di un greco antico, nostro conterraneo, essendo campano nato nell’antica colonia greca di Elea, poi Velia con la conquista romana e oggi Ascea, nel Cilento in provincia di Salerno dove feci anche un mese di mare. Parmenide asseriva che i cambiamenti e le trasformazioni a cui è soggetta la natura non hanno motivo di esistere e che quindi essi sarebbero il risultato di una pura illusione dei nostri sensi. Il vero “Essere” l’assoluto è statico e immobile e non può essere altro che una sfera, uguale in tutte le sue caratteristiche in ogni sua porzione considerata, dentro e fuori di essa. Quella che sarebbe per noi la realtà delle cose, percepita dai sensi, secondo è una solo illusoria , essa appare, ma in realtà non è. La vera conoscenza si può raggiungere solo con la ragione, la mente. La filosofia è l’unica strada per cogliere la verità dell'Essere e quindi di tutte le cose. Parmenide dice che gli uomini determinano la realtà in maniera illogica, perche’ usano i propri sensi e l’esperienza che da essi dipende. Parmenide fondò a scuola di Elea, appunto, e il più importante dei suoi discepoli fu Zenone. Il metodo usato dagli eleati era la dimostrazione per assurdo, con cui confutavano le tesi degli avversari, giungendo a dimostrare la loro verità sull’ “Essere”, conseguentemente sulle cose, nonché la falsità del divenire e della percezione della realtà, per una "impossibilità logica di pensare altrimenti". Gli eleati, i filosofi seguaci di Parmenide, per avvalorare le loro tesi usavano una tecnicnologia di pensiero, quella del “paradosso”. Un paradosso è una conclusione che appare inaccettabile perché sfida il buon senso comunemente accettato. Il paradosso è anche definito: "Una conclusione apparentemente inaccettabile, che deriva da premesse apparentemente accettabili per mezzo di un ragionamento apparentemente accettabile". Zenone, per sostenere l'idea di Parmenide, suo maestro, che la realtà è costituita da un Essere unico e immutabile, propose alcuni paradossi che dimostrano, a rigor di logica, l'impossibilità della molteplicità e del moto, nonostante le evidenze della vita quotidiana. Le argomentazioni di Zenone costituiscono forse i primi esempi del metodo di dimostrazione noto come reductio ad absurdum appunto dimostrazione per assurdo. Sono anche considerate un primo esempio del metodo dialettico, usato in seguito dai sofisti. I paradossi di Zenone restano anche un utile esercizio di logica, per riflettere sulla modalità di costruzione dei ragionamenti umani. Il Paradosso di Achille e la tartaruga - uno dei paradossi di Zenone più famosi - afferma invece che se Achille (detto "piè veloce") venisse sfidato da una tartaruga nella corsa e concedesse alla tartaruga un pochino di vantaggio, egli non riuscirebbe mai a raggiungerla, dato che Achille dovrebbe prima raggiungere la posizione occupata precedentemente dalla tartaruga che, nel frattempo, sarà avanzata raggiungendo una nuova posizione che la farà essere ancora in vantaggio; quando poi Achille raggiungerà quella posizione nuovamente la tartaruga sarà avanzata precedendolo ancora. Questo stesso discorso si può ripetere per tutte le posizioni successivamente occupate dalla tartaruga e così la distanza tra Achille e la lenta tartaruga pur riducendosi verso l'infinitamente piccolo non arriverà mai ad essere pari a zero.In pratica, posto che la velocità di Achille (Va) sia N volte quella della tartaruga (Vt) le cose avvengono così: - dopo un certo tempo t1 Achille arriva dove era la tartaruga alla partenza (L1).
- nel frattempo la tartaruga ha compiuto un pezzo di strada e si trova nel punto L2.
- occorre un ulteriore tempo t2 per giungere in L2.
- ma nel frattempo la tartaruga è giunta nel punto L3 ... e così via.
Quindi per raggiungere la tartaruga Achille impiega un tempoe quindi non la raggiungerà mai.Spiegato altrimenti:Supponiamo che Achille sia due volte più veloce della tartaruga e che entrambi gareggino lungo un percorso di 100 metri. Supponiamo inoltre che Achille dia mezzo metro di vantaggio alla tartaruga.
Quando Achille avrà percorso mezzo metro, la tartaruga si troverà più avanti di Achille di un quarto di metro; quando Achille avrà percorso quel quarto, la tartaruga si troverà avanti di un ottavo di metro e così via all'infinito cioè Achille non raggiungerà mai la tartaruga.
Se osserviamo il percorso di Achille troviamo che esso è dato da infiniti tratti che costituiscono la successione
1/2 ; 1/2 + 1/4 = 3/4; 3/4 + 1/8 = 7/8; 7/8 + 1/16 = 15/16; ... ; (2n - 1)/2n
ed è facile osservare che questa successione tende a 1. Vediamo così che una somma di quantità finite in un numero illimitato non è necessariamente finita.
D'altro canto i tratti di strada percorsi da Achille nel tentativo di raggiungere la tartaruga sono dati dalla successione:
1/2; 1/4; 1/8; 1/16; ... ; 1/2n
ed anche questa successione tende a 1.
Cosa significa però l'espressione "tende a 1"?
Significa che se chiamo sn la somma dei primi n tratti percorsi da Achille allora sn , per quanto grande sia n , non supera mai 1, numero al quale si avvicina sempre di più.
Sempre più, anzi quanto si vuole: la differenza tra 1 ed sn , per n opportunamente grande, si fa più piccola di un qualsiasi numero per quanto piccolo da noi scelto.
E' questa una proprietà caratteristica del Limite definito nell'Ottocento da Weierstrass.
Con la nozione matematica di limite si può dunque disporre della soluzione del paradosso infatti, pur conservando l'idea di un processo e di una potenzialità illimitata, il limite ha il potere di risolvere tale potenzialità in una unità formale.
E' perciò possibile esprimere concretamente la soluzione finale di un processo illimitato senza rinunciare al carattere potenziale di quest'ultimo: l'inesauribilità di questo processo resta un fatto irrinunciabile, ma non per questo dobbiamo accontentarci di soluzioni approssimate. Il valore 1 è un limite che "comprende" tutta la successione (2n - 1)/2n , è una soluzione della potenzialità di sviluppo di tale successione, pur mantenendosi sempre al di fuori di questa.--------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Ricapitolando: Con l’unico mezzo che Zenone riconosceva per l’accertamento della realtà dei fatti, la logica (presunta), il pensiero filosofico, le ragioni della mente in luogo di quelle, che lui, come il suo maestro, Parmenide consideravano ingannevoli e fallaci, dell’ osservazione di un fenomeno, dell’ esperienza e del “buonsenso da essa derivata.Egli usando un paradosso geometrico-matematico, quello di “Achille e la tartaruga” dimostrava che in un’eventuale corsa con una tartaruga, a patto di concedere un piccolissimo vantaggio, anche su una qualsivoglia lunga distanza, Achille perderà la gara di corsa. Il mio cuore e la mia esperienza da 3° anno di liceo scientifico mi dicevano che Parmenide col suo “Essere” assoluto immobile e immutabile, perfettamente sferico e Zenone con i suoi dimostrabili paradossi avevano torto, torto marcio, pur se sulla carta era così come annunciavano, perché il mio e l’altrui buonsenso mi diceva che nella gara reale Achille avrebbe superato dopo qualche secondo la tartaruga e vinto la gara (perché tra un punto e un altro della materia, in questo caso di un percorso non esistono infiniti punti nella realtà ma solo nella teoria). Detestai un certo tipo di filosofia, quella che si basa sulla qualità estetica e retorica delle argomentazioni, piuttosto sulle conclusioni derivate dall’osservazione e la sperimentazione di un fenomeno o di una verità. Dovetti attendere le dimostrazioni matematiche derivate dai concetti di “limite di una funzione” e di “funzione derivata”, concetti elaborati dalla matematica occidentale solo nel 19° secolo (per 23 secoli il paradosso di Zenone l’ha fatta franca, prevalendo sull’evidenza dedotta dall’esperienza comune) e studiata nel programma di matematica dell’ultimo anno delle scuole superiori per avvalorare e dimostrare ciò che l’osservazione e l’esperienza mi ha sempre indicato. Fraterno saluto da Nevio63 |