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Ultimo Aggiornamento: 22/09/2008 20:16
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21/09/2008 20:51
 
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Concordo con quanto sottolineato da pcerini e nikitha, ovvero che la nostra è evidentemente una specie parassitaria.
Concordo in parte anche con quanto riportato da shoni_, ovvero che gli esseri umani differiscono in maniera sostanziale dai ratti e da altri animali. Questo è evidente, direi. Perciò non tutti i risultati ottenuti da esperimenti su ratti possono essere generalizzati alla popolazione umana. Evidente anche questo. Tra l'altro vi sono vere e proprie "cavie" umane che si prestano alla sperimentazione di farmaci ed altro.
Vi sono comunque dei punti in comune tra il genoma umano e quello di alcuni animali. Studiare l'effetto, ad esempio, di una mutazione indotta su un certo gene in un determinato locus, comune sia all'uomo che al ratto, darà un risultato, nel ratto, simile a quello che si potrebbe avere nell'uomo. Mutare invece un tratto non in comune, è del tutto inutile se lo scopo è prevedere l'effetto di una simile mutazione nell'uomo.
Animali diversi avranno tratti di DNA diversi in comune con l'uomo. Per questo motivo non si usano solo ratti, ma anche, ad esempio, moscerini della frutta (drosophila melanogaster).

Questa possibilità di indurre mutazioni in animali/insetti ha tutta una serie di applicazioni in vari campi. Rendere un insetto "buono", ovvero che mangia alcuni parassiti di una determinata pianta, più fecondo e più resistente, ad esempio, alle temperature basse, ci darebbe la possibilità di evitare inquinanti antiparassitari.

Sullo studio del comportamento umano: senza esperimenti sugli animali mancherebbero intere branche della psicologia odierna. Pavlov, studiando l'entità della salivazione in alcuni cani, per primo studiò quello che ora è universalmente conosciuto come "condizionamento classico". Lorentz, tramite i suoi esperimenti sulle scimmie, permise a Bowlby di elaborare il concetto di "attaccamento" [interessante: alcune scimmie ancora non svezzate, 2 manichini: il primo semplicemente un "simulatore di mammelle" il quale distribuiva il latte, ma freddo e metallico, il secondo ricoperto di pelo, caldo e soffice: le scimmiette si nutrivano e poi andavano a "nascondersi" in caso di pericolo dal manichino soffice].

Per quanto riguarda la genetica del comportamento, una delle poche -purtroppo- estensioni della psicologia ad utilizzare il metodo scientifico in toto; in breve, per lo studio del comportamento umano: si assume che esso sia frutto della somma di due componenti, fattore genetico e fattore "ambientale" (dovuto all'interazione con il mondo in cui viviamo). Tuttavia, il fattore genetico è ambiguo. Alcuni tratti (e malattie) sono infatti dovuti semplicemente all'azione di un gene unico, altri sono dovuti all'azione di più geni.

Attenzione: SE TROVO IL GENE RESPONSABILE DI UNA CERTA MALATTIA GENETICA, POSSO TENTARE DI MODIFICARLO. POSSO QUINDI SPERARE IN UNA COMPLETA RISOLUZIONE DI QUELLA MALATTIA GENETICA. Ad esempio: HD (corea di Huntington), PKU (Phenilchetonuria), albinismo, daltonismo, X-fragile, Trisomia sul chr.21 (sindrome di Down), delezione sul chr.15 (Angelman Syndrome, Prader Willi Syndrome), ecc..

Naturalmente prima di tentare di modificare un gene, lo devo trovare. Prima ancora, devo sapere se quel tratto/malattia è determinato da un singolo gene o da più geni in interazione. Come faccio?
Necessito di animali con il tratto di DNA interessato simile a quello umano. Un esempio su tutti: "Linee selette": prendo una coppia di esemplari ad un estremo della distribuzione normale della popolazione ed un'altra coppia all'altro estremo. Li incrocio tra di loro. Nasce una popolazione F1, i quali esemplari verranno di nuovo incrociati tra di loro. A lungo andare, si dovranno osservare, su un grafico, delle linee che si discostano sempre più dall'andamento normale della popolazione. Se queste linee seguono un andamento "a salti", significa che l'effetto è determinato da un singolo gene (in particolare ad un allele recessivo, il quale "saltando" alcune generazioni crea l'andamento "a salti"), se invece le linee sono omogenee significa che l'effetto è determinato dall'interazione di più geni. Questo è solo un esempio di tecnica necessaria ma non utilizzabile su esseri umani. Ve ne sono molte altre.

Dal mio punto di vista, alcune tecniche di ricerca necessitano l'impiego di animali, e, sempre dal mio punto di vista, queste tecniche sono assolutamente necessarie per il miglioramento delle condizioni di vita dell'essere umano.

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La questione è che l'essere umano è a tutti gli effetti un parassita. Per il nostro benessere, abbiamo bisogno di sacrificare parte di ciò che ci circonda. Il fatto che ce ne facciamo scrupolo, è, sempre dal mio punto di vista (non finirò mai di ripeterlo, queste sono opinioni personali), estremamente curioso. Ovvero: siamo parassiti, siamo naturalmente portati alla distruzione del luogo in cui ci insediamo. Siamo, per così dire, disfunzionali all'equilibrio planetario, che l'evoluzione ha mantenuto per milioni di anni. In realtà, la cosa è ancora più curiosa: non siamo come i virus, essi infatti hanno un perché; nonostante distruggano il luogo nel quale si insediano, cose che APPARENTEMENTE li rende disfunzionali, trovano una loro motivazione nel mantenimento dell'equilibrio del NUMERO di esemplari di una determinata specie, in modo che non prenda il sopravvento su un'altra causandone l'estinzione (trovo interessante paragonare questo processo dell'ecosistema terrestre al concetto base della prima cibernetica, la retroazione o feedback negativo che tende all'omeostasi).
Per l'uomo no, non è così. Noi sconfiggiamo un virus, noi debelliamo un batterio, noi blocchiamo l'evoluzione, noi causiamo l'estinzione delle specie, noi esauriamo le risorse del pianeta causando -forse- la nostra stessa estinzione. Diversamente quindi, dai virus.

Le motivazioni sono due: o siamo realmente disfunzionali in senso assoluto, ma sarebbe il primo caso di cui si abbia conoscenza, oppure non lo siamo. Ma, come abbiamo visto, per la Terra siamo disfunzionali. Quindi la seconda opzione si potrebbe verificare solo se non fossimo di questo pianeta. Nulla infatti ci vieta di ipotizzare che possa esistere un altro pianeta sul quale noi ci integreremmo alla perfezione in modo da essere funzionali come qualunque altra forma di vita di nostra conoscenza. Il che, sinceramente, mi appare più plausibile. Questo tra l'altro spiegherebbe il motivo per cui ci facciamo continuamente scrupolo dello sfruttamento indiscriminato del pianeta e nonostante ciò continuiamo a farlo, rendendoci disfunzionali, oltre che al pianeta, a noi stessi.

P.S.: Non vi scrivo da molto tempo ma spesso vi leggo con piacere.

P.P.S.: Spero che shoni_ non riprenda a chiamarmi "ciccio" in quel modo così grezzo perché è una cosa che mi dà sinceramente sui nervi e che tra l'altro non le è mai stata permessa.

Ciao a tutti,



PsYkoT|k

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"Ciò che è affermato senza prova, può essere negato senza prova" - Euclide
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