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Un'etica senza Dio

Ultimo Aggiornamento: 29/04/2007 00:37
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27/04/2007 19:40
 
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Il titolo di quest’opera richiama quello del libro pubblicato nel 1991 da Paolo Flores D’Arcais, Etica senza fede. Tuttavia, mentre il direttore di MicroMega allargava la sua attenzione a temi quali la guerra, la democrazia e la dottrina sociale della Chiesa cattolica, Lecaldano ha voluto soffermare il proprio pensiero sull’etica, con uno sforzo che non ha alcun precedente recente in Italia (si deve semmai risalire a Ethics Without God di Kaj Nielsen, tra l’altro mai tradotto nella nostra lingua). Lo sforzo di Lecaldano è ancor più interessante perché concentra la propria riflessione in una cinquantina di pagine, riuscendo nell’impresa di presentare in maniera sistematica ed efficace l’etica atea per la quale rivendica, direi anche orgogliosamente, che «non solo non è vero che senza Dio non può darsi l’etica, ma anzi è solo mettendo da parte Dio che si può veramente avere una vita morale».



Peraltro, tale obbiettivo appare ambizioso solo a prima vista, perché l’autore trova le sue “radici” nel pensiero filosofico europeo fiorito tra il XVII e il XIX secolo (in special modo Hume, Kant e Mill). Se ne deduce che agli atei non mancano certo le basi per elaborare un’etica credibile, anzi: manca semmai la consapevolezza di averla, così come mancava una sistemazione filosofica autorevole di tale pensiero. Il libro di Lecaldano è un importantissimo sforzo in questa direzione.


La prima parte del libro è a sua volta divisa in due sezioni. La prima sezione è una sorta di pars destruens, dedicata agli «errori in cui cadono coloro che sostengono che Dio è necessario per l’etica». Gli errori sono soprattutto di tre tipi: essere sicuri che Dio esiste; concepire un’etica che, rifacendosi a un’entità sovrannaturale, è priva di autonomia; ritenere che l’esistenza di Dio sia compatibile con l’esistenza del male.


Sull’esistenza di Dio l’autore si rifà ai classici argomenti di Hume e Kant, non dimenticando di ricordare che «un’etica che trova il suo fondamento in un Dio inteso come causa prima o Autore della Natura non può essere universale perché escluderebbe gli atei, mentre è evidente che se l’etica deve essere una risposta alla comune umanità di tutti noi non deve escludere nessuno».



Il secondo errore è confutato sottolineando che «chi arriva all’etica attraverso il comando divino finisce con il ridurre la moralità a qualcosa di simile alle regole di un’etichetta», mentre «il suo vero fondamento risiede nel carattere autonomo della scelta di un individuo di evitare quelle condotte che producono danni o sofferenze agli altri suoi simili»: e chi si aggrappa alla nota formula «se Dio è morto tutto è possibile» rende manifesto il fatto che «non è riuscito a liberarsi dell’erronea concezione che fa dipendere l’etica dai comandi divini e, in mancanza di questo sostegno, non trova nella sua persona alcuna risorsa per distinguere tra giusto e ingiusto».



Sul problema del male Lecaldano, a mio avviso, non deve nemmeno impegnarsi più di tanto: è, in effetti, da sempre (fin dal primo “ateo” noto come tale, Diagora) il principale argomento usato per motivare la negazione di Dio. Un tema su cui gli atei vanno come sul velluto.


Viene poi la vera e propria pars construens, in cui Lecaldano si domanda «come può essere costruita un’etica senza alcun riferimento a un Dio?». Qui l’autore mette a punto la sua ambiziosa tesi: «solo colui che è agnostico o ateo può effettivamente porre al centro della sua esistenza le richieste dell’etica, e solo colui che è senza Dio può attribuire alla morale tutta la portata e la forza che essa deve avere sia nelle scelte che riguardano la sua propria esistenza, sia un quelle che riguardano l’esistenza altrui. […] L’ateismo è la cornice intellettuale più favorevole all’affermarsi di una moralità». Non solo, ma rivendica anche il diritto che gli atei esprimano il loro punto di vista, «uscendo dalla condizione subalterna in cui sono attualmente confinati».


Le cosiddette “leggi naturali” sono difficilmente esperibili, e la pluralità di concezioni del mondo testimonia l’impossibilità di farne eventualmente discendere una morale condivisa. Non bisogna peraltro dimenticare la bizzarria di tale argomento: già Hume notava che, se fossimo conseguenti, non dovremmo curare le malattie, perché esse sono naturali, così come non dovremmo cercare di sottrarci a una catastrofe “naturale”. L’assunzione di Lecaldano, che vi ravvede quel carattere universale necessario per individuare un’etica condivisa, è che «la capacità degli esseri umani di farsi guidare da distinzioni tra bene e male, giusto e ingiusto, virtuoso e vizioso è radicata nella loro natura biologica. Se così è, allora l’etica non è altro che una pratica volta a risolvere le questioni di interazione privata e pubblica tra gli uomini e su questa terra […] Per il non credente, il premio per la sua condotta morale deriverà principalmente dalla consapevolezza di aver fatto ciò che è bene, giusto e doveroso».



Chi non crede può dunque far ricorso sia ai sentimenti, sia alla ragione quali fondamenti di un’etica radicata nella natura umana, percorrendo (e tracciando) un sentiero più sicuro di quello affrontato dai credenti: «è tempo di rifiutare l’invito di chi vuole che noi si continui a evadere dalla realtà e dalle nostre responsabilità in attesa di soluzioni che verranno da un deus ex machina il cui volere – affidato all’interpretazione di una casta speciale – non è sempre garanzia di miglioramento e tutela delle nostre esistenze ed esigenze». Di qui nasce la convinzione che un’etica non religiosa sia uno strumento migliore e più universale dell’alternativa teista, perché solo essa «sarà in grado di riconoscere la varietà e la relatività culturale e storica delle prese di posizione morali e di promuovere l’universalità di alcune regole, quale ad esempio quella costitutiva della moralità di evitare azioni che provochino a un altro essere umano sofferenze non volute per sé»: similmente, un’etica senza Dio consente più agevolmente di distinguere tra moralità e legge.



La seconda parte del libro è costituita da un’antologia di citazioni tratte da testi classici del pensiero laico e razionalista e da una densissima bibliografia ragionata: entrambe seguono l’ordine di esposizione degli argomenti presentati nella prima parte. Una sezione altrettanto utile, perché non è facile trovare pubblicazioni che prospettino in maniera così organica la ricchezza della riflessione filosofica laica.


Un’opera, dunque, che combina completezza ed essenzialità; una lettura stimolante per chiunque sia desideroso di riflettere sulla validità delle proprie convinzioni. Non dovrebbe mancare nelle biblioteche “atee” che si rispettino.


Raffaele Carcano
Ottobre 2006




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27/04/2007 21:30
 
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L'esposizione è davvero interessante.
Sfata l'idea che, sensa religione, si possa essere privati di un'etica.

L'etica può originarsi, secondo alcuni analisti della parola, in due modi:
-Attingendo al proprio linguaggio ed alla propria capacità di pensare.
-Rinunciando alla propria capacità di pensare ed affidandosi ciecamente a quella altrui, o ad etiche che siano fuori dal linguaggio, perciò non dimostrabili nel loro valore.

Millenni di storia umana, tutti improntati alla credenza in una qualche divinità, non hanno dimostrato di arginare il male...anzi, nella maggior parte dei casi, non solo non l'hanno arginato, ma l'hanno promosso violentemente e diffuso. Dal punto di vista etico sembrerebbe che le religioni abbiano fallito clamorosamente nel loro tentativo di dimostrare che la presenza di un'etica religiosa limitasse la cattiveria umana.

Come facciano i religiosi ad intravvedere nell'assenza di una religione anche l'assenza di un'etica è incomprensibile.
Ragionando in questo modo mostrano di non aver nessuna fiducia nella capacità umana di formulare un'etica.
E se fosse più umana ed a portata del buon senso un'etica che non derivasse dalla necessità di dover rendere conto ad un'autorità religiosa? Chi può garantire che la religiosità sia anche garanzia di affidabilità etica? Nessuno...! tant'è che osservando la razza umana c'è da chiedersi, al contrario, come abbiano potuto le religioni portare l'uomo in questo attuale profondo baratro, dal quale, per uscirne, c'è davvero bisogno di uno sforzo internazionale concertato.
Staremo a vedere, nella speranza che ci vada bene. [SM=g28004]













[Modificato da pyccolo 27/04/2007 21.44]

28/04/2007 01:16
 
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"Millenni di storia umana, tutti improntati alla credenza in una qualche divinità, non hanno dimostrato di arginare il male...anzi, nella maggior parte dei casi, non solo non l'hanno arginato, ma l'hanno promosso violentemente e diffuso. Dal punto di vista etico sembrerebbe che le religioni abbiano fallito clamorosamente nel loro tentativo di dimostrare che la presenza di un'etica religiosa limitasse la cattiveria umana."

Alcune etiche religiose promuovono solo il non-dialogo,il rifiuto,la "non comprensione",l'intolleranza,in definitiva,la "condanna",l'etica laica invece cerca di promuovere valori opposti per quanto possano essere concretizzabili!

C'e' chi dice che le societa' senza Dio cadrebbero inesorabilmente in rovina,nel disastro piu' totale e piu' caotico,ma,al di la' del fatto che la Storia sembra dimostrare che anche le societa' con qualche Dio hanno indiscutibilmente generato violenza,l'esigenza di avere qualche riferimento assoluto nella storia umana,sia che possa essere situato sul piano della comunicazione umana,sia che venga posto oltre il piano dell'esperienza umana,pare essere un'esigenza imprescindibile nella nostra storia!
Perche?

Paolo
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28/04/2007 08:30
 
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Se, in passato, le società che "avevano Dio", erano immerse nel male era esclusivamente perchè il messaggio religioso non è stato messo in pratica.

Non si è messa in pratica la misericordia del messaggio di Gesù.

La Parola di Dio mostra quali sono le Leggi....il problema non è risolto, però, perchè tali Leggi vanno messe in pratica.


Il problema è duplice, quindi.
Ci può essere una società dove le leggi sono buone ma non vengono rispettate...
E ci può essere una società dove le leggi non sono buone, e qui parte della responsabilità cade sulla società stessa.

Sinceramente di fronte ad una realtà umana, giudice di se stessa, che arriva a ritenere "giusto" l'infanticidio sino a legalizzarlo (cosa che va contro il concetto laico di società civile), troviamo già la nostra risposta.


Tanto tempo fa antichi pastori nomadi si sono azzardati a scrivere un libro, la Bereshit.
In tale libro ci viene presentato un fatto, colto dalle cosmogonie dell'area mesopotamica.

Delle persone che decidono di ergersi a giudici di loro stessi e che, nella loro scelta (più o meno quella che propone di perpetuare il libro citato), trova progressivamente origine il male e la sofferenza.
Anzi, senza andarci giù leggeri, in questo atteggiamento, quegli antichi autori...a prima vista tanto rozzi ed ignoranti...hanno colto l'ingresso stesso della morte e della corruzione nell'ambito umano.


L'uomo spesso non ha gli occhi e la lungimiranza per riuscire a capire che cosa è bene e che cosa è male.
Questa cosa lo porta, concretamente, a confondere il male con il bene ed apportare sofferenza e morte nel mondo.

Il suggerimento di seguire la "morale della maggioranza" è il medesimo suggerimento che l'antico serpente diede ai nostri progenitori.
Il risultato, pur conoscendolo tutti...poichè lo sperimentiamo sulla nostra pelle, ci fa ancora gola.

Fa bene ad insistergli su...oggi siamo più cretini di quanto lo erano quegli antichi pecorai ignoranti che facevano pascolare le pecore nell'area mesopotamica.
Insomma, tale "suggerimento" trova ancora terreno fertile...e a farne i conti saremo tutti quanti.

Ciao
Mauri



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Diceva Rabbi Yeudà in nome di Rav:"Dodici ore ci sono nel giorno: nelle prime tre il Santo, benedetto sia, si dedica alla Torà; nelle seconde tre giudica tutto il mondo e, quando vede che questo meriterebbe la distruzione, si alza dal trono del Giudizio e si siede su quello della Misericordia...(b'Avodà zarà 3b)
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Tutto ciò che scrivi è ciò che supponi possa accadere con un'etica laica, ma non hai le carte in regola per dimostrarlo, mentre è dimostrabile il rovinoso quadro storico di millenni di dominio della religione e circa due millenni di dominio tragico ed infamante della civiltà cattolica e delle denominazioni, a partire da quella protestante, che si sono susseguite sulla stessa scia di pensiero religioso dappertutto. Penso che tutti conoscano i fatti, anche se ultimamente si cerca meschinamente di nasconderli.

Non serve dire che è perchè le regole non sono state applicate, mentre è molto più vero affermare che le religioni hanno sempre cavalcato la buona fede della gente per dominarle con un'etica condizionante e plagiante tesa unicamente a fare i loro interessi e gli interessi delle classi politiche dominanti...proprio come oggi, la storia si ripete. [SM=x1061980]

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28/04/2007 21:35
 
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Re:

Scritto da: pyccolo 27/04/2007 21.30
Come facciano i religiosi ad intravvedere nell'assenza di una religione anche l'assenza di un'etica è incomprensibile.
Ragionando in questo modo mostrano di non aver nessuna fiducia nella capacità umana di formulare un'etica.

[Modificato da pyccolo 27/04/2007 21.44]



Che i religiosi non riescano a concepire un'etica senza Dio è ovvio: essi fanno parte appunto di quella schiera di persone che non hanno fiducia nell'uso della Ragione (o meglio: nella PROPRIA ragione) e fanno affidamento ad etiche cosiddette "rivelate" o di "ispirazione divina" (in altre parole: etiche già inventate in precedenza da qualcun'altro).

Questa sfiducia nella Ragione è quanto di più deleterio possa esistere per le civiltà umane, e la Storia è lì a dimostrarlo.





Scritto da: pyccolo 27/04/2007 21.30
E se fosse più umana ed a portata del buon senso un'etica che non derivasse dalla necessità di dover rendere conto ad un'autorità religiosa? Chi può garantire che la religiosità sia anche garanzia di affidabilità etica? Nessuno...! tant'è che osservando la razza umana c'è da chiedersi, al contrario, come abbiano potuto le religioni portare l'uomo in questo attuale profondo baratro, dal quale, per uscirne, c'è davvero bisogno di uno sforzo internazionale concertato.
Staremo a vedere, nella speranza che ci vada bene. [SM=g28004]

[Modificato da pyccolo 27/04/2007 21.44]



Speriamo proprio. [SM=g27988]
Purtroppo, le ideologie religiose spesso sono deleterie per l'uso della Ragione.

















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Certamente, il prossimo libro che andrò a leggere sarà “Un’etica Senza Dio” di Eugenio Lecaldano.

Ho trovato una frase di Lecaldano interessante, che infatti, centra il nocciolo della questione: "non si chiede ai Cristiani (od ai credenti di altre Religioni) di abbandonare la loro Fede, si chiede a queste persone di non tentare di imporre la loro visione del mondo ad altre persone che ne hanno già un’altra, del tutto diversa dalla loro ed altrettanto degna."





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