CRESCE LA CENSURA IN RETE
NEW YORK - Internet è un ambiente libero per definizione. Non per tutti però. Guidati da Cina e Iran, infatti, sarebbero almeno due dozzine i Paesi che praticano forme di censura digitale, secondo uno studio realizzato dalla 'OpenNet Initiative' - progetto che ha visto coinvolte la scuola di legge di Harvard e le università di Toronto, Cambridge e Oxford. Allo steso tempo, di fronte a più moderne ed efficaci pratiche censorie, gli attivisti del Web rispondono con più raffinate tecniche di elusione, stando però ben attenti a non lasciare tracce digitali dietro di sé. Dai risultati della ricerca - che si è protratta per sei mesi e ha preso in esame oltre quaranta Paesi - è emersa una tendenza crescente da parte di molti Paesi - come, oltre a Cina e Iran, Arabia Saudita, Tunisia, Uzbekistan - a limitare l'eccessiva libertà disponibile in Rete o, come ha affermato John Palfrey, direttore del Centro per Internet e Società di Harvard, "una forte tendenza nella direzione sbagliata". L'allarme della 'OpenNet Initiative' arriva a ridosso del grande clamore provocato dalla decisione della Turchia - decisione revocata dopo quarantotto ore - di oscurare il sito 'YouTube', reo di aver dato spazio a materiale offensivo nei confronti del padre della nazione Kemal Ataturk. Quella di impedire l'accesso ad un sito - come ad esempio avviene in Cina con la nota enciclopedia Wikipedia, o in Pakistan con la piattaforma di blogging offerta da Google - è però solo una delle possibilità a disposizione dei censori dell'era informatica, che possono oggi avvalersi anche di tecnologie più avanzate, come software per il rilevamento intelligente di parole-chiave sensibili o i 'denial of service attacks', che bombardano il sito di richieste di accesso, rendendolo inaccessibile. Nella loro attività di filtraggio dei contenuti 'indesiderati', inoltre, sono sempre più numerosi i Paesi, ricorda Palfrey, "che si rendono conto di non potercela fare da soli e si rivolgono a compagnie private". Società che sviluppano sistemi di protezione, nella maggior parte dei casi in Occidente, e che affermano di non poter controllare l'uso che viene fatto dei propri prodotti. Ma anche fornitori di servizi come Google o Microsoft, disposti a 'scendere a compromessi' pur di non perdere appetitosi mercati emergenti come quello cinese. A mali estremi, tuttavia, estremi rimedi. Anche gli attivisti dei diritti digitali, infatti, si danno da fare in direzione opposta, escogitando ogni giorno nuove strategie per sfuggire alle limitazioni e ai controlli. Danny O'Brien, coordinatore del gruppo di pressione 'Electronic Frontier Foundation', si affida per esempio ad una connessione criptata attraverso ad una rete di server privati: "(Quando navigo) il mio segnale viene casualmente reindirizzato da un computer a un altro - afferma O'Brien - così per esempio Google mi può apparire in svedese o in qualche altra lingua, a seconda della macchina da cui ci arrivo". Scappatoie di questo genere possono essere scomode e rallentare notevolmente la connessione a Internet, ma per gli internauti di una crescente parte del mondo rappresentano l'unico ponte tra il 'loro' web filtrato e la Rete, libera da censure, cui accede il resto del mondo.
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“Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sè non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
Joseph Pulitzer (1847-1911), Fondatore Premio Pulitzer