| | | | Post: 1.706 Post: 497 | Registrato il: 08/02/2006 | Città: TORINO | Età: 69 | Sesso: Maschile | Occupazione: professionista | Utente Senior | AMMINISTRATORE | | OFFLINE |
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21/11/2006 15:41 | |
Non è mia intenzione fare polemiche sul discorso della privacy, sui nickname o sul fatto di trattare determinati argomenti con un certo riserbo.
Fino ad 1 anno fa pensavo che usare un nickname fosse una moda, facesse parte di una cultura telematica, ora ho capito che per molti il nickname è uno stratagemma per non essere identificati, in quanto dichiarare le proprie generalità potrebbe comportare delle complicazioni nella loro vita personale.
Devo ammettere che questa “riservatezza”, a me personalmente, non ha, sempre, facilitato una fluida comunicazione.
La comunicazione, quando avviene attraverso dei canali “artificiali” come internet, ha bisogno di “vedere” l’altra persona, almeno con delle informazioni che lo riguardano.
Invece, spesso, non sappiamo se la persona con cui comunichiamo è maschio o femmina, quanti anni ha, da dove scrive, qual è il suo nome.
In un sito, dove si trattano informazioni tecniche o commerciali, dove c’è soltanto uno scambio di notizie pubbliche, mi può star bene una forma di anonimato.
In un sito dove si trattano argomenti riguardanti la nostra posizione interiore su tematiche religiose o sulle nostre opinioni personali su materie esistenziali, dove ci si mette in discussione, trovo più logico che ci si identifichi, per una questione di credibilità.
Più di una volta ho invitato alcuni personaggi con cui avevo avviato una discussione piuttosto “impegnativa” a rivelare la propria identità, la maggioranza si è rifiutata.
In questi casi il confronto non è alla pari.
Chi si identifica, si espone di più e diventa protagonista delle sue affermazioni, dando spettacolo della sua vita.
Chi, invece, non si identifica, diventa uno spettatore, seduto in poltrona, che non teme di essere coinvolto.
Lo “spettatore” vede lo spettacolo, applaude, fa il tifo, fischia o sta in silenzio.
Chi dà spettacolo ha un coinvolgimento emotivo diverso da chi guarda, mette in gioco la sua stessa vita, è come stare in un’arena a combattere con le fiere.
Chi dà spettacolo si gioca tutte le carte pur di ottenere dei risultati, pur di vincere la sua battaglia.
Con questo non voglio squalificare gli “spettatori” rispetto a chi dà spettacolo.
Sono due posizioni diverse che non sempre trovano la giusta intesa.
Chi dà spettacolo ha il suo nome nei cartelloni, chi fa lo spettatore ha un biglietto anonimo per guardare lo “show”.
Per fare un esempio biblico, che può calzare, Boaz, quando affrontò il Tal dei Tali per la questione di prendere in moglie Rut, si mise in gioco e rimase nello “spettacolo teocratico”, ma il Tal dei Tali da protagonista divenne un anonimo spettatore.
Concludo, dicendo che chi dà spettacolo ha uno stile diverso da chi fa da spettatore, interpreta i fatti in modo differente.
Non nego che provo più simpatia per chi si trova nell’arena a combattere, come un condannato a morte, contro le bestie, che per lo spettatore che guarda da una posizione più sicura e protetta e che certamente non muoverà un dito per la sorte del “condannato”.
Si tratta solo di una mia opinione, discutibile, che posso anche modificare se qualcuno mi aiuta a comprendere meglio le varie situazioni al riguardo.
Saluti
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