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26/02/2006 02:06 | |
E’ sorprendente come la figura del Cristo si innalza, quando si parla di discriminazione. Gesù avvicinava tutti quelli che venivano allontanati per la loro “diversità”.
L’attenzione di Cristo era rivolta agli scomunicati, agli emarginati, quelli che erano respinti dalla comunità.
Gli allontanati dal gruppo non avevano speranza.
Erano condannati a precipitare nell’abisso del silenzio.
Questo tipo d’esclusione porta inesorabilmente alla morte sociale.
In Italia, come in diverse parti del mondo, ci sono milioni di persone precipitate in questo “inferno” sociale.
Mi riferisco al mondo dei Testimoni di Geova come organizzazione mondiale.
Mi riferisco ad individui che per aver espresso delle legittime perplessità hanno subito la punizione estrema: La “disassociazione”.
Nei testimoni di Geova cambiare opinione è un “crimine”!
Si tratta di un’espulsione scientifica, perché sei additato come un appestato, una persona da escludere da ogni attività sociale, persino con i propri parenti e amici.
Tutti coloro, che prima condividevano il proprio credo religioso con questo individuo, lo osservano come un trasgressore.
La loro occhiata è di disapprovazione.
Ecco perché si parla di inquisizione, discriminazione ed espulsione scientifica.
Il vuoto creato attorno al “trasgressore” è terribile.
Piano piano lentamente si trova in una condizione di “impurità contagiosa”.
Diventa un essere ripugnante.
Questo trattamento scaraventa il “lebbroso” in una situazione di grave disagio psicologico che preannuncia una morte sociale. Tale repressione porta inevitabilmente all’annientamento della persona.
Si tratta di una pena di morte a tutti gli effetti.
Il testimone di Geova che cambia opinione è colpevole di un “delitto”. Vorrebbe condividere con gli altri le sue “scoperte”, desidererebbe avviare un dialogo con i suoi compagni, ma gli viene impedito.
Trova un irrigidimento rabbioso di difesa.
Rivoltare le proprie convinzioni è un procedimento lento e doloroso.
E’ un trauma!
Per i testimoni di Geova questo mutamento è visto come una malattia infettiva e disgustosa.
Per loro diventi un “lebbroso”.
Ma la cosa sconcertante è che chi modifica le sue convinzioni non riconosce di aver preso una malattia, anzi si sente guarito. Solo che trattandosi, in ogni caso, di un disagio, significa rompere un equilibrio, cadere nel caos e dover faticosamente ricreare un nuovo equilibrio.
Questo, ripeto, è interpretato come una cosa negativa.
Qui non si tratta di cambiare opinione in modo congruente, così che uno tende a raccogliere informazioni per rafforzare il suo credo, seleziona solo i dati che confermano l’opinione che già possedeva su un argomento e non si fa condizionare da quelli contrari.
Ma la trasformazione è incongruente, si passa da una forte convinzione al sospetto che non sia più così.
Avviene in questo caso un rinnovamento, un passaggio da una posizione rigida, intransigente e ancorata.
Un soggetto che fino a ieri escludeva categoricamente l’ipotesi di rivedere le sue posizioni, oggi deve fare i conti con un’altra realtà.
Qualsiasi punizione inflitta, a chi ha espresso pacificamente le proprie opinioni sul pensiero religioso costituisce la violazione di un diritto fondamentale per ogni uomo: “la libertà di pensiero”.
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